«Gli stati di possessione demoniaca corrispondono alle nostre nevrosi»
S. Freud, Una nevrosi demoniaca nel secolo decimosettimo (1922), OSF, vol 9, Bollati Boringhieri, Torino 1977, pag. 525
«È mia, non me la puoi togliere». La stola del sacerdote sfiora la testa della donna, che si contorce in lamenti, grida disumane, insulti, dolore. «Ti ordino di andartene», e la donna cadde come corpo morto cade. Occorre molta cautela per approcciarsi al tema affrontato da Liberami, opera terza della regista spezzina Federica Di Giacomo già vincitrice del Concorso Orizzonti a Venezia73 e ora al DocLisboa. Moltissima, perché questa volta non sono gli esorcismi di finzione legati a una cultura horror che da William Friedkin in giù accompagna le nottate cinefile sin dai primissimi anni Settanta, né gli oscuri testi tramandati sin dal medioevo e ormai considerati alla stregua della caccia alle streghe, come una credenza passata, come un qualcosa di lontano e assurdo: questa volta, ad addentrarsi nella pratica più occulta di ogni grande religione monoteista – dove agli indemoniati liberati da Gesù nel Nuovo Testamento corrispondono le pratiche di esorcismo ebraiche, islamiche, cattoliche, protestanti e ortodosse – è (ufficialmente) un documentario, che per tre anni ha fatto avanti e indietro per la Sicilia filmando messe, crisi, sacerdoti e ghigni malefici. La macchina da presa è sempre mobile, empatica, vicina alle persone e alle loro convulsioni, vicina alle croci che vengono apposte sul loro dolore, curiosa quanto emotiva: liberaci dal male. Un male che, secondo i sacerdoti, è dovuto al non vivere in pace con Dio, all’opulenza, agli oggetti che andrebbero distrutti, ai quadri che «dovrebbero stare in una chiesa», e che vanno letteralmente cosparsi di acqua santa per allontanarne la tracotanza, mentre i peluches vanno bruciati e nel disordine della lavanderia si annida il demonio. Un male che, per la scienza, non è identificabile come patologia ben definita, e non resta quindi anche ai non credenti che tentare di rivolgersi a chi sta più in alto. Del resto, come dice uno degli ‘idemoniati’ incapace di controllare le proprie crisi di rabbia, «Dove altro puoi andare? Da Dylan Dog? Lo Stato ti farebbe al massimo un TSO, non ci sono in questi casi alternative alla religione».
Liberami nasce dalla scoperta di un dato totalmente inaspettato: negli ultimi anni, il numero di preti e frati esorcisti sta aumentando esponenzialmente, dimostrando come quello che generalmente si crede un semplice retaggio medievale sia invece un problema presente, attuale, e anzi proiettato verso il futuro. Fra Sigmund Freud e la Chiesa c’è una sorta di limbo, nel quale il confine fra la patologia psichiatrica e la possessione è nebuloso, labile, indefinito. «Se non sono posseduta, allora sono pazza», riflette la bionda Grazia, «posseduta al massimo grado» secondo Padre Cataldo, sacerdote esorcista palermitano che nel film emerge come una sorta di primus inter pares fra Padre Mario e Padre Carlino, il più esperto, il più bravo, colui che può esorcizzare anche al telefono, per poi, una volta passata la crisi, prodigarsi di seguito nei più sinceri auguri di Natale. La possessione demoniaca, a volte, è solo la necessità di trovare un nome a un disagio, a un malessere, a una patologia che né la scienza né la religione riescono a identificare. E infatti Liberami gioca intelligentemente sul bilico, sulle sovrapposizioni, sul sottile confine fra inquietanti eventi inspiegabili e irresistibile comicità che la loro stessa natura scatena, sul confine fra pratiche secolari e contemporaneità, sul confine fra disagio psichiatrico e demone interiore, sempre perfettamente bilanciato fra paura e risate. Sul confine fra credere e non credere, fra guardare e mettere in scena l’atto di guardare. Non sappiamo se ‘gli indemoniati’ siano davvero indemoniati, e nemmeno la Chiesa lo sa dire con certezza, con alcuni casi considerati posseduti da un sacerdote e non dall’altro. Ma gli eventi paiono accadere davvero davanti alla macchina da presa, le persone paiono stare realmente male fra convulsioni e grida agghiaccianti in sanscrito, o forse sono semplicemente versi senza senso, quando la psiche e l’autosuggestione prendono completamente il controllo del corpo, e chi ne è vittima non può che cercare di dare un nome alla propria isteria, cercare una spiegazione, quale che sia, per quanto assurda possa sembrare. Liberami rifiuta gli stilemi dell’horror, e si lancia in un viaggio nel mistero del reale, fra occultisti/gatti neri che avrebbero fatto la fattura e impazzimenti solo a sentir parlare della religione, fra code chilometriche di genitori che ritengono il loro figlio posseduto per via degli insuccessi scolastici e sacerdoti che hanno consacrato la loro vita alla privazione e all’aiuto del prossimo, fra l’assurdo che accade davanti all’obiettivo e il tangibile di un pippotto prima della discoteca su una scalinata.
Durante le crisi, i “posseduti” tossiscono nervosamente, emettono grida soffocate e versi di dolore, cambiano voce, si contorcono, cadono a terra, scalciano come muli, mentre gli occhi girano e sul volto si dipinge un ghigno satanico: «Non mi fai niente, stronzo!». L’adolescente Giulia, che secondo il padre durante le crisi «sembra proprio una prostituta» – quasi a sintetizzare, con quella sottolineatura sui costumi e non sulla follia, come di fronte all’inspiegabile sia quasi impossibile non tornare a una mentalità retriva, ancor più radicata nell’estremo Sud d’Italia – perde il controllo in Chiesa durante una messa comune e poi in casa, con i genitori che si ritroveranno a improvvisarsi esorcisti sul divano del salotto. Come un vampiro, come un cane che ringhia, la crisi è di ruggiti e grida, di turpiloqui e di tosse, di dolori addominali e di frasi apparentemente insensate, di suoni gutturali fra il conato e il pianto, di isteria e di profondo disagio, ma poi passerà, degradando in uno stato di sonno. Verso la fine di Liberami Giulia tornerà apparentemente guarita a far visita a Padre Cataldo che tanto l’ha aiutata, ma durante la messa accuserà mal di testa ricominciando a preoccuparsi. Perché «Il demone può sempre tornare», e bisogna sempre fare attenzione. Non c’è nulla di definitivo, nemmeno nella Fede: c’è quello che non capiamo, c’è quello che non sappiamo spiegarci, c’è il dubbio, la paura, ci sono le potenzialità pressoché infinite della psiche, e altro non è dato sapere, possiamo solo guardarlo attoniti, registrarlo, portarlo sullo schermo. L’ottimo Liberami, nel seguire gli esorcismi di oggi in Sicilia, mostra l’inspiegabile, l’incredibile, rimanendo sempre sospeso fra patologia psichiatrica e spirituale, fra inquietante reportage e irresistibile commedia, fra il demone Asmodeo che renderebbe pervertiti sessuali e il palese ritardo mentale di chi dichiara di esserne affetto, rivelandosi come uno fra i migliori film italiani dell’annata. Gli esorcizzati cadono uno sull’altro come zombie goffi, mentre qualcuno sta meglio, qualcuno sta peggio, e Padre Cataldo, ma come lui migliaia di altri nel mondo, si ritrova ogni giorno decine di persone sofferenti di fronte, di fronte alle quali ripetere – o forse sarebbe meglio dire recitare, perché di questo in fondo si tratta – le solite formule di rito. Preti e frati normalissimi, per nulla eversivi, che ben conoscono e bene sanno mettere in pratica le regole della partita di scacchi con chi lasciato entrare il Male nel proprio corpo – o più probabilmente, secondo il nostro materialismo – nella propria mente. Fino al gran finale a Roma, insieme ai colleghi di tutto il mondo, per un convegno/corso con cui formare gli esorcisti del futuro, nuovi attori che devono necessariamente essere ancora più convincenti di Satana per batterlo in dialettica e potenza. Forse perché il medioevo non è mai finito, e l’unica certezza è che avere certezze non ha alcun senso. O forse perché Liberami è uno straordinario trattato filmico sulla finzione. Che sia “vera” oppure no.
Marco Romagna