Forse non è proprio tutto da buttare, in Dopo l’amore. Da salvare, nell’opera settima del belga Joachim Lafosse presentata a Cannes alla Quinzaine des Réalizateurs, c’è sicuramente un’idea di regia asciutta e dilatata, fatta di mediamente lunghi ma non articolati pianisequenza, fisse e panoramiche con solo sporadiche carrellate e poi una macchina che diventa a mano nelle fasi più concitate; ci sono interpreti che sfruttano la vetrina per dimostrare di essere attori veri, da una Bérénice Bejò che funziona in ogni lingua (spagnola di nascita, l’abbiamo vista giusto ieri in italiano in Fai bei sogni di Marco Bellocchio e la ritroviamo oggi in francese nel film di Lafosse) a un Cédrick Kahn più che discreto co-protagonista; e ci sono almeno un paio di sequenze – fra la danza ‘in famiglia’ e i momenti lirici di pura messa in scena accompagnata da sonate per pianoforte extradiegetiche – in cui il film riesce ad andare davvero a segno, aprendo un minimo a una sincerità purtroppo, in giro per la pellicola, rara. I problemi infatti iniziano quando i pur bravi protagonisti si mettono a parlare, e non di rado a urlarsi contro. È un problema principalmente di script, di una sceneggiatura in sostanza fredda e incapace di creare empatia – e a tratti nemmeno interesse – nei confronti dei personaggi, è un problema dovuto ai troppi litigi a cui bisogna assistere, e pure a qualche caduta nel cattivo gusto. Ed è decisamente troppa la confusione nei messaggi che il film lancia allo spettatore, per cui a visione terminata rimangono i dubbi fra l’aver assistito a un film contro il matrimonio in quanto apertura delle porte di un inferno o, più probabilmente, a un blando saggetto più che vagamente moralista e bacchettone contro il divorzio e le sofferenze che comporta. O forse, a nulla di questo. Perché è a nulla che il film porta.
Alla fin fine, L’économie du couple – titolo internazionale, decisamente meno evocativo, After Love, ripreso pari pari in Italia con Dopo l’amore – gira intorno a un tema solo: quello del matrimonio che finisce. Ovviamente, con le difficoltà amplificate dai figli, in questo caso due gemelle di 7 anni, e dall’opposta estrazione sociale dei due coniugi in via di separazione: lei ricca borghese, lui squattrinato e indebitato muratore – probabilmente ancora innamorato, per giunta, nonostante la decisione consensuale – che trova difficilmente lavoro e non può permettersi un affitto. Un tema, quello della crisi di coppia, che il cinema transalpino – Lafosse è belga, ma il film, per co-produzione, tematiche e difetti, può tranquillamente considerarsi più che francese – ha già messo in scena in tutte le salse, raggiungendo poche – ma nemmeno pochissime, va detto – vette sublimi ma molti sonori tonfi. L’économie du couple in questo senso abbonda di litigi coniugali infiniti e ben presto stancanti, cliché d’amore infinito da e verso i figli, imbarazzanti cene con amici, schegge di retorica e robuste dosi di moralismo, riuscendo ad aggiungere in sostanza al già visto solo una sorta di focus, suggerito dal titolo, sulla spartizione dei beni, con quella sorta di ricatto “Non me ne vado finché non mi paghi metà del valore della casa” come unico modo per sbloccare la situazione della coppia. In mezzo, la gratuità, per fortuna lunga solo pochi minuti, di una figlia che si sente male mentre è con il papà per le “maledette pastiglie” della madre e un solo momento, illusorio e ben presto sopito, di ritorno della passione antica.
Dopo l’amore è senza dubbio un film di pura messa in scena, certosino nella lentezza dei movimenti e nelle ritualità del cuscino preso dal letto per dormire sul divano così come nelle peregrinazioni notturne verso il frigorifero, ben architettato nelle lunghe sequenze fitte di dialoghi e di gesti da compiere per tutti i protagonisti, abile nel creare una prigione domestica fatta di una tensione continua sempre pronta a esplodere, di separati in casa, di regole ferree imposte dalla Bejo a cui Kahn non riesce né vuole più stare, di un’ostilità rampante che finisce per tirare fuori il lato peggiore di tutti e due. La continua reiterazione di queste tematiche però, fatta di duri litigi e di gesti più o meno nervosamente ripetuti all’infinito, finisce ben presto per trascinare il film su un binario morto di lungaggini, dal quale non basta certo la lettura finale della sentenza per riuscire a scartare. Insomma, con L’économie du couple/Dopo l’amore Joachim Lafosse confeziona un prodotto senza dubbio con velleità autoriali, senza dubbio forte di qualche buon momento e di una visione incubale della vita in una famiglia che non si ama più. Ma i difetti, fra una costruzione troppo martellante e una gestione confusionaria delle idee alla base, superano nettamente i pregi. Rimangono due bambine, Margaux e Jade Soetjens, che reggono perfettamente il confronto con gli attori più grandi e navigati facendo presagire un probabile futuro, rimane la lettura insolita della divisione dei beni in comune, rimane la messa in scena quasi austera di un regista che indubbiamente sa girare i film. Ma non basta per elevarsi dalla mediocrità.
Marco Romagna