LA CASA SUL MARE (2017), di Robert Guédiguian
Now all my fathers they’ve gone down
True love they’ve been without it
But all their daughters put me down
‘Cause I don’t think about it.
Well, I return to the Queen of Spades
And talk with my chambermaid
She knows that I’m not afraid
To look at her
She is good to me
And there’s nothing she doesn’t see
She knows where I’d like to be
But it doesn’t matter
I want you, I want you
Yes, I want you so bad
Honey, I want you.Bob Dylan, I want you, dall’album
Blonde on Blonde
È impossibile non volere bene a un film come La casa sul mare (in questo caso più ancora che in altri proprio non si capisce perché abbiano dovuto cambiare il titolo originale La villa, ma ci si accontenta), nuovo lavoro di Robert Guédiguian che ha trovato la sua collocazione nel concorso di Venezia74. Certo, quello dell’autore francese non è un film perfetto, forse è diseguale, forse qua e là è un po’ retorico e didascalico, e di certo non è particolarmente moderno nei suoi messaggi, nella sua struttura e nella sua tutto sommato scolastica messa in scena, ma ben al di là dei suoi difettucci formali il cinema di Guédiguian, al pari o forse ancor più di quello del suo quasi omologo inglese Ken Loach, trasuda un cuore e un afflato Comunista tanto ostinati da diventare almeno a tratti commoventi, come pennellate nostalgiche e vibranti di un ideale di uguaglianza e libertà, come metafore di un’utopia mai abbandonata e anzi sempre più pulsante. Parte dalla riunione di un gruppo di amici e Compagni, La villa, con Guédiguian che richiama al suo fianco gli storici sodali Ariane Ascaride, Gérard Meylan e il sempre magnifico Jean-Pierre Daroussin per farli confluire, nella finzione, nella magnifica villa del titolo per accorrere al capezzale di un padre ridotto a un vegetale da un ictus. Una villa costruita al tempo rigorosamente da uomini del Popolo, secondo gli ideali socialisti seguiti da tutta la vita dal padre e trasmessa ai figli, nel pieno rispetto della conformazione naturale della costa; un locus amoenus nel quale invecchiare lontani dalla modernità e dalle sue derive, mantenendosi con un ristorantino di pesce rigorosamente popolare, la cui chiara politica è sempre stata quella di permettere a tutti di mangiare bene spendendo poco. La casa sul mare è un’utopia, è un ideale di uguaglianza, è un luogo di puntuale e continua resistenza fuori dal tempo, militante, convinta, e chi l’ha costruita, quel padre ormai catatonico e incapace di reagire a qualsivoglia stimolo, è in un certo senso il simbolo del Comunismo, la sua metafora, la sua incarnazione.
Il figlio minore Armand (Meylan) è uomo di tradizione e di passione, ed è l’unico che è sempre rimasto vicino al padre, pronto a subentrargli nella gestione del ristorante. Angela e Joseph (Doroussin), invece, hanno seguito percorsi di vita differenti, lei quotata attrice in giro per i teatri, lui ex operaio per ben precisa scelta ideologica, ora liquidato e pensionato ma con giovane e avvenente fidanzata al seguito, moderna e pragmatica e quindi accusata, probabilmente non a torto, di avere “il cuore a sinistra ma il cervello a destra”. Sono destinati a ritrovarsi nel momento del bisogno, riuniti ancora una volta nel loro eremo giovanile, nella villa-utopia di un presente e di un futuro diversi, animati da ideali di uguaglianza e da profonda convinzione marxista. Un luogo che in passato è stato anche luttuoso, e quindi non può che risvegliare il ricordo di ciò che non si vuole nemmeno nominare, ma che per i tre fratelli è un richiamo inafferrabile d’appartenenza e di ideali, un simbolo del loro orgoglioso vivere nel passato: disillusi, magari cinici, ma sempre resistenti, vivi e crepitanti negli ideali e nell’umanità. Guédiguian lascia muovere i suoi personaggi nei paesaggi delle “sue” calanche marsigliesi, disegnando una parabola dal ben preciso afflato politico sulla famiglia e sul rapporto con il territorio, sul conflitto generazionale e sull’amore al di là dell’anagrafe, sull’immigrazione, sull’antirazzismo e sulle scelte etiche di chi va ben oltre alle parole. Emerge sullo schermo una Francia campestre e marinaresca, fieramente lontana dalla quotidianità, fatta di pesca perché il ristorante possa continuare a sfamare ogni tasca, fatta di immacolate spiagge dalle quali nei giorni particolarmente limpidi si scorge la Corsica, fatta di malinconia verso l’idillio del passato in un presente (quello di Macron e della non-sinistra al potere) avido e corrotto, ipocrita e tendenzioso, nel quale anche i bambini orfani che sopravvivono ai barconi vengono rispediti, da soli, nei territori di guerra.
La casa sul mare mette in scena i dialoghi e i rapporti fra i personaggi senza particolari scossoni narrativi, scorrendo placido fra i piccoli litigi e le dimostrazioni d’affetto tra fratelli, fra il cinismo ostentato da Joseph come una sorta di protezione dalle angherie del mondo e i puri ideali di Armand, fra l’inaspettato sentimento che nasce fra Angela e il ben più giovane pescatore appassionato di teatro che da sempre la venera e l’arrivo di un nutrito gruppo di clandestini, fra i quali tre bambini che i fratelli non potranno che salvare. La villa è un film di spazi sterminati e di cure amorevoli a un padre che nemmeno se ne accorge, di dialoghi nei quali entrare dolcemente e di lutti da elaborare, di empatia e di granitiche convinzioni, fino alla memoria e alla tenerezza quasi insostenibile di un flashback giocoso e idilliaco, in cui il digitale lascia lo spazio alla vecchia pellicola, i volti ormai corrugati degli attori lasciano lo spazio alla loro versione giovane e con più capelli, ed esplode il Bob Dylan di I want you mentre sullo schermo scorrono le immagini di Ki lo sa, film di Guédiguian con lo stesso cast di quasi trent’anni fa. I personaggi vogliono vivere nel passato, ma non possono che fare i conti con il presente, destinato a bussare in due modi alla loro porta, prima con il soldato di colore che li accusa a torto di essere borghesi quando è proprio lui, difeso per tutta la vita dall’operaio, una pedina dello Stato, e poi con i bambini da curare e tenergli nascosti, rischiando gravi accuse per portare avanti quello che si ritiene giusto e umano. Solo a questo punto il padre-Comunismo, dalla sua sedia a rotelle piazzata sul terrazzo circolare de La villa, può risvegliarsi, riaprire gli occhi, scrutare ancora una volta, di nuovo, il Sol dell’Avvenire. La speranza non è ancora morta, e nonostante tutto non morirà. Viva il Compagno Guédiguian e il suo cinema popolare, accorato, umano. Intimamente marxista.
Marco Romagna