16 Marzo 2016 -

LA MANTIDE OMICIDA (1957)
di Nathan Juran

A dispetto della progressiva digitalizzazione, dell’ingrandimento degli schermi di casa e della relativa facilità per qualsiasi internauta di reperire un intero universo di film per l’home video, la sala cinematografica è ancora un luogo fisico imprescindibile, una rara occasione di condivisione, un momento esperienziale e sociale che a volte riesce a travalicare quasi totalmente ciò che ne fa brillare lo schermo. Il film, in questi casi, passa quasi in secondo piano, conta solo la proiezione, conta solo il pubblico, contano solo le poltroncine rivolte verso un mondo folle, orrorifico, distorto. Un mondo giocoforza notturno, come l’orario di una proiezione che ancor prima di iniziare è già più emozionante delle altre, forte dell’entusiasmo sospeso fra una voglia di scoprire che ritorna fanciullesca e un adolescenziale gusto del proibito nell’essere in un luogo pubblico in un orario così “privato”. Di notte, del resto, il fisico è più debole e i nervi più scoperti, la fantasia prende il potere sulla razionalità, siamo esposti all’onirico: il film diventa un sogno e il nostro sogno diventa guardare un film, farci intrattenere, forse ridere, forse spaventarci, senza dubbio emozionarci.
Su queste basi e prendendo le mosse dai Midnight Movies della televisione e della distribuzione indipendente (quando non Grindhouse) americana degli anni Settanta, il Festival di Toronto inaugurava già nel 1988 la sezione Midnight Madness, portando nel giro di qualche anno buona parte delle altre kermesse cinematografiche ad aggiungere una o più proiezioni notturne. Frugando nei ricordi veneziani degli ultimi anni, vengono in mente diverse “midnight screenings” in Sala Grande che sarebbero state -e sono- grandi film a qualsiasi orario e su qualsiasi schermo, da Tetsuo III di Tsukamoto a Zebraman di Miike, da Machete di Rodriguez a Wolf Creek 2 di Greg McLean, fino all’emozionantissimo omaggio a Wes Craven a pochi giorni dalla sua scomparsa con la proiezione, questa volta in Sala Darsena, di Nightmare. Ma sovvengono anche diversi titoli decisamente più deboli e abbastanza rapidamente dimenticati, da Shark 3D a Tai Chi 0, per i quali la ragion d’essere era proprio l’orario, in grado di far apprezzare la paura, la risata, e se necessario anche il kitsch e il trash (volontario o meno) di prodotti imperfetti ma accorati nella loro granitica volontà di fare exploitation. Il film notturno, insomma, ha uno spirito diverso, capace di esaltare le caratteristiche di film anche mediocri e trasformarli in tuffi al cuore e a volte oggetti di culto. Era il caso dei Grindhouse che hanno avvicinato Tarantino alla serie B nostrana e asiatica, è stata la nostra tardiva riscoperta di Ed Wood anche grazie alle nottate al cinema del giovane Tim Burton, ed è ovviamente lo stesso spirito che anima la Fantamaratona del Bergamo Film Meeting, tradizionale appuntamento fisso della kermesse orobica che si spinge ben al di là del film di mezzanotte programmando fin quasi alle 5, e che dall’anno scorso ha trovato uno splendido alter ego nella Notte Horror del Torino Film Festival.

Quest’anno, la scelta del BFM è stata chiara, regalando al proprio pubblico la proiezione di un capolavoro ben noto ma sempre sorprendente come Gli Uccelli di Alfred Hitchcock, ulteriormente valorizzato dall’inizio quasi all’1 e dall’Auditorium gremito, seguito da una chicca quasi mai vista, gioia assoluta per insonni, cinefili d’assalto e amanti dei B-movies. Ecco quindi che anche un film come La Mantide Omicida di Nathan Juran, flop Universal già nel 1957 per via delle tante ingenuità e di un’adesione troppo pedissequa a un filone cinematografico forte dai Trenta ai Cinquanta ma che si stava ormai esaurendo, se visto dalle 3 alle 4 e mezzo del mattino può entrare nel cuore dello spettatore con la stessa irruenza dei film fondamentali.
A causa di un’eruzione vulcanica da tutt’altra parte del mondo, si scongela una parte di Artide, nella quale era imprigionata una gigantesca mantide religiosa preistorica. Un predatore gigante, capace di volare e saltare, sempre affamato, parzialmente corazzato: un predatore apparentemente inarrestabile, che punta diretto verso il cuore degli Stati Uniti. Nel film di Juran, si sommano echi dai migliori monster movies della tradizione, dalle basi militari de La cosa da un altro mondo al pericolo incombente de L’invasione degli ultracorpi, senza dimenticare suggestioni che vanno da King Kong a Godzilla con la terribile mantide che si arrampica sullo skyline di Washington. Ma è anche tanta l’ingenuità di fondo, da teorie scientifiche accettate immediatamente e mai messe in dubbio da parte dell’esercito -come se fosse normale avere in giro per il mondo giganti mostri preistorici scongelati e ancora in vita- alla profusione di proclami sensazionalistici (su tutti: “Credo che non esista fra i viventi nulla di più mortale”). Come pure risulterebbe poco credibile, a un’analisi superciliosa, come tutta la società sia votata solo a uccidere il mostro, senza che nessuno voglia semplicemente catturarlo per studiarlo. Sarebbe ingeneroso tuttavia considerare queste iperboli narrative come difetti, perché non è questo il punto del film, e anzi sono forse proprio le sue cadute nel trash a garantirne ancora oggi la spettacolarità. La mantide omicida è in questo senso un film forte delle sue imperfezioni, una gemma kitsch sospesa fra (poco) horror, (blanda) fantascienza e vaghi echi amorosi, pronta a deflagrare nel cuore di chi ha passato parte della nottata a guardarla. Perché alla base di un film come quello di Juran non c’era certo l’intenzione di impostare critiche sociali né tantomeno autorialità o intellettualismi di alcun tipo, ciò che interessava era semplicemente intrattenere il proprio pubblico con un ibrido di generi e costruendo a basso costo una mantide gigante che funzionasse -volo compreso- al cinema. Un compitino, forse, ma pur sempre un compitino che quasi 60 anni dopo, quantomeno durante la notte, incolla ancora occhi e cuori allo schermo, illude, diverte, a tratti esalta.

Nell’alternanza di sequenze d’azione riuscite (per il tempo, i mezzi e il budget) sorprendentemente bene con istanti kitsch che si spingono ben oltre il confine della comicità involontaria -si veda la scena nella quale i protagonisti fanno ipotesi sulla mantide senza vederla per lungo tempo dal vetro della finestra fino all’immancabile grido femminile-, non mancano inserti quasi documentaristici sulla difesa radar degli Stati Uniti né i consueti topoi su quanto siano integerrime le figure dei giornalisti (in questo caso, la fotografa al seguito della spedizione scientifico-militare) e soprattutto degli scienziati, con il luminare della paleontologia Jackson che identificherà la mantide da un frammento di artiglio e suggerirà come finirla, al termine di strenue battaglie, con il gas nervino. Ma è nella sequenza finale che il film trova il suo apice, quando la mantide giace ormai senza vita nel tunnel ma il riflesso incondizionato di una zampa rischierà di tranciare a metà gli eroi appena vittoriosi. Mentre ormai, a Bergamo, l’alba era ormai vicina, e all’uscita dall’Auditorium nessuno si sarebbe stupito di vedere davvero mantidi e pennuti a cercare un altro applauso dal pubblico divertito ed estasiato.
Perché fra nottambuli incalliti, insonni cronici e cinefili appassionati il passo è molto breve: nelle proiezioni notturne si respira uno spirito strano e romantico, la consapevolezza di essere presenti a un momento facilmente replicabile, eppure sempre unico e mai davvero ripetibile. Un momento nel quale il cinema d’intrattenimento assurge all’apice della sua efficacia, la follia e il sogno salgono sul trono, e non possiamo fare altro che immergerci e lasciarci trasportare nel mondo -tradizionalmente horror o fantascientifico- messo in scena. Fino a meticciarlo con il nostro, e non sapere più distinguere davvero fra la finzione e la realtà, fra il sogno e la vita, fra il film e la magia. Rimane una gigantesca mantide preistorica ormai senza vita, intrappolata dal ’57 nel bianco e nero di Juran e da qualche giorno, per sempre, nel cuore di chi ha rinunciato al sonno per vivere questo momento.

Marco Romagna

“The Deadly Mantis” (1957)
79 min | Horror, Sci-Fi, Thriller | USA
Regista Nathan Juran
Sceneggiatori Martin Berkeley (screenplay), William Alland (story)
Attori principali Craig Stevens, William Hopper, Alix Talton, Donald Randolph
IMDb Rating 4.7

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