20 Maggio 2019 -

I DANNATI DI VARSAVIA (1957)
di Andrzej Wajda

«Lasciate ogni speranza, o voi che entrate»
[Dante, Divina CommediaInferno, Canto III]

La trilogia cinematografica con cui Wajda ha esordito, facendo breccia nel cuore della cinefilia europea con uno sguardo antibellico unico, è cominciata nel 1955 con la propaganda comunista di Generazione, per poi confluire in Kanał e in Cenere e diamanti, uno dei maggiori capolavori del cinema. Kanał, in italiano I dannati di Varsavia, presentato in un nuovo restauro a Cannes Classics 2019, è dunque il punto di snodo, tra la versione idealistica delle organizzazioni di sinistra del film dell’esordio e l’esistenzialismo fuori dal tempo di Cenere e diamanti; ed è un esempio notevole di cinema di guerra puramente basato sull’esperienza dell’orrore, confluendo nel filone che probabilmente è meglio rappresentabile da Va’ e vedi. Ma se il film di Klimov adotta un punto di vista unico e infantile per mostrare la follia della guerra mediante il modo in cui può trasformare un individuo, I dannati di Varsavia decide invece di dare spazio a una pletora di personaggi, in un sistema corale anticipato da una sadica voce narrante all’inizio, che annuncia che stiamo per assistere alle ultime ore di vita di queste persone. L’ineluttabilità del destino pone subito lo spettatore all’interno di una logica priva di qualsiasi speranza, ma, com’è giusto che sia nel contesto di un’arte come il cinema che così tanto affida la propria potenza all’empatia degli spettatori, la visione è comunque costellata di momenti in cui la tensione crea l’illusione di una possibilità di sbocco utopico dall’orrore. La voce parla mentre la macchina da presa carrella all’indietro, mostrando i protagonisti, indirizzati verso un fato comune, andare insieme all’indietro, verso il passato, accompagnati dal vento disperato degli eventi. La sceneggiatura è stata scritta da Jerzy Stefan Stawiński, superstite delle fughe nelle fogne durante la rivolta di Varsavia, e molti degli eventi rappresentati sono ispirati da eventi reali – ma più che questo ci pare degno di nota il realismo con cui Wajda, con il direttore della fotografia Jerzy Lipman (che lavorò poi con Munk e Polanski), è riuscito a rappresentare la degenerazione, la follia e la violenza, senza mai ricorrere a spietata pornografia del dolore nonostante l’inevitabile pesantezza del fatalismo. A ogni pedina della storia è riservato un epilogo differente, dall’artista/pianista che, folle, vaga per i tunnel suonando l’ocarina al capitano che, risorto sulla superficie, viene immediatamente fucilato dai tedeschi. In un modo o nell’altro, è un’esperienza sfiancante e infernale, che non libera mai lo spettatore dalla sensazione di un’impossibilità di chiusura. Ma la verità è che la chiusura era già nell’inizio, e il resto non è una descrizione esagerata di una morte collettiva ma un appunto realistico su come le vite di questi uomini sono cambiate, come il loro senso ideologico è stato soffocato nella situazione massima di pericolo.

I dannati di Varsavia mostra l’orrore della guerra senza dedicarsi alla sua analisi, è solo un flusso in cui il significato viene a perdersi. Diventa un gioco di gatto e topo. E per meglio esemplificarne i ritmi, la struttura e l’essenza, Wajda descrive lo spazio stesso del tunnel fognario con un’aura quasi espressionista: l’imprevedibilità dei suoi canali segue e prosegue con le diverse lotte dei personaggi. Chi vaga, chi scappa, chi ci muore, ogni atteggiamento è strettamente legato allo spazio, e ogni inquadratura pone personaggi e spazio in modo che si leghino in modo indissolubile, sempre coerentemente col percorso graduale di perdita di speranza di ognuno – prospetticamente o tramite ombre e posizionamento dei corpi in profondità di campo. Alla fine la “luce alla fine del tunnel” allegorica si unisce a quella letterale, e il film comincia a descrivere la propria dimensione di trascendenza emotiva mediante gesti, dettagli e composizioni geometriche date dai tagli di luce o dalla scenografia; come nella splendida inquadratura finale che segue uno dei personaggi che dal mondo esterno torna sotto terra, gesto dalle mille implicazioni, mentre in sottofondo ci sono un edificio in fiamme, un cadavere di un suo sottoposto e un traliccio pendente a forma di croce. Di fronte alla devastazione, scompaiono la Fede, il paese, i rapporti umani… cosa si può fare se non tornare sotto terra? A cercare un’altra speranza ritrovando l’altro, vivendo nell’eterna tensione di questa perdita di speranza. Il tunnel così diviene manifestazione allegorico-letteraria moderna proprio della disperazione e dell’angoscia depressa che derivano dal dolore e dall’orrore – dalla necessità di sopravvivenza a tutti i costi dell’inizio, ben presto si giunge alla rassegnazione, le inquadrature si fanno più lunghe. I tunnel sono come la prigione di Un condannato a morte è fuggito (1956) di Bresson, anche se in questo film il titolo anticipa la presenza della speranza. Sono le gestualità, i suoni e i tagli delle inquadrature a costruire un mondo oscuro e senza speranza, non la narrazione.

L’Ade fangoso costruito da Wajda è l’ideale anticamera per le trincee di Orizzonti di gloria, il deserto di Fuochi nella pianura, la cella de L’ascesa e numerosi altri luoghi fisici usati dal cinema di guerra successivo per descrivere la condizione umana. Maciek, il protagonista di Cenere e diamanti, è un sopravvissuto dei tunnel, cosa che lo ha portato a un drastico cambiamento ideologico, a un percorso vitale caotico, a un destino tragico egualmente inevitabile. Come se fosse comunque già morto prima, in quei tunnel. Nel Kanał. Cenere e diamanti è un film più denso, e il suo maggiore impatto sul cinema è comprensibile, ma I dannati di Varsavia è la messinscena drastica e cruda di quello che il poema disperato del film successivo solo suggerisce, preferendo muoversi sui binari della riflessione oltre la retorica delle ideologie. Qua l’orrore è puro, governa e resiste oltre gli uomini. E, per quanto possa essere incompleto, permane come una visione ossessiva e disturbante. E gli eroi della tragedia hanno almeno questo come memoria, quindi è giusto ascoltare la voce narrante: «Watch them closely…».

Nicola Settis

“Kanal” (1957)
91 min | Drama, War | Poland
Regista Andrzej Wajda
Sceneggiatori Jerzy Stefan Stawinski (screenplay), Jerzy Stefan Stawinski (story)
Attori principali Teresa Izewska, Tadeusz Janczar, Wienczyslaw Glinski, Tadeusz Gwiazdowski
IMDb Rating 7.8

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