Onnicomprensivi sugli eventi del periodo scelto e oggettivi il più possibile: è il metodo di lavoro da sempre utilizzato, perlomeno come “mission”, dalla Tv pubblica svedese e di rimando anche da questo lavoro del cineasta svedese Ollson e della sua montatrice Britta Norell, che si pongono un obiettivo ambiziosissimo, quello di raccogliere tutto il materiale televisivo edito dal servizio pubblico sul conflitto tra Israele e Palestina e di ordinarlo metodicamente in forma di compendio, come lascito e punto fermo che aiuti la comprensione di una polveriera arrivata in questi mesi all’ennesimo, tragico, capitolo. E dunque Israel Palestine on Swedish Tv 1958-1989 è esattamente quello che il didascalico titolo promette, la messa in forma e in capitoli di una vicenda ottantennale ben lungi dal trovare fine e soluzione grazie ai nuovi eventi che tutti conosciamo, l’agguato terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023 e la distruttiva e sproporzionata reazione dello Stato d’Israele. Il meritevole lavoro svedese opera di sicuro una inevitabile sintesi, sorvolando su alcuni fatti e tralasciandone altri, ma nei suoi duecento minuti di durata offre allo spettatore gli strumenti (socio)culturali e geopolitici per provare a comprendere ragioni, colpe e scelte alla base dell’annosa contrapposizione, che ha il suo vero e proprio inizio nel 1948, con la fine del ventiseienne Mandato britannico sulla regione, ma trova origine alla fine del secolo scorso, con il famoso testo Lo Stato ebraico di Theodor Herzl del 1896, considerato fondativo per il Sionismo moderno. Il libro in pratica teorizzava e preconizzava l’attuale situazione, ovvero quella di uno Stato fortezza che accogliesse gli ebrei perseguitati in Russia, Romania, Germania e Austria, li salvasse dalla continue vessazioni a cui erano sottoposti, ne preservasse le diverse identità di partenza e li reintroducesse ad un’appartenenza nazionale da ricercare nel passato biblico, e quindi nella pura mitologia. L’altra ala del movimento sionista, che invece propagandava l’istituzione di un’entità statale spirituale e “morale” senza esercito sul modello del Vaticano, risultò da subito minoritaria e perdente. Gli abitanti della Palestina, invece, vennero spossessati da subito di larga parte del territorio e si persero quindi completamente il processo di decolonizzazione che di lì a poco avrebbe portato larghe fette di Africa e Asia a liberarsi dal secolare dominio delle potenze europee.
C’è subito da riconoscere la grande qualità dell’informazione proposta al pubblico svedese dalla SVT di Stato: inviati sul campo, riprese studiate e non meramente illustrative, commistione tra fredda narrazione, “emotional” con i casi singoli e illustri interviste e approfondimenti. Chiaro che, anche in fase di selezione, Ollson abbia scelto il meglio del materiale più adatto allo scopo, precisando però di non mirare ad un’impossibile oggettività assoluta ma a restituire un quadro il più chiaro possibile sull’approccio con cui si è narrata e riportata la vicenda, e sulle scelte che le varie redazioni e giornalisti nel corso dei decenni hanno operato per farlo. Pochi sono gli inserti aggiunti ad arricchirli, su tutti la celebre Angel dei Massive Attack come sottofondo alle immagini dei bombardamenti del primo grande conflitto armato tra Israele i suoi vicini, la Guerra dei Sei Giorni del 1967, quando con un blitz da guerra lampo l’esercito israeliano sottrasse Gaza e il Sinai all’Egitto, Gerusalemme Est e la Cisgiordania (West Bank) alla Giordania e la regione del Golan alla Siria. La risposta arrivò cinque anni dopo, nel 1972, con il contrattacco dello Yom Kippur, condito simultaneamente da Egitto e Siria contro Israele. Questi due conflitti sono anche conosciuti come terza e quarta guerra arabo-israeliana, in quanto preceduti da schermaglie (meno rilevanti) anche nel 1948/’49 e nel 1956. Il padre della patria, per gli israeliani, David Ben Gurion affermava in anzianità che il territorio ebraico era troppo vasto per gli attuali abitanti della zona, e che bisognasse organizzare massicce campagne d’immigrazione al fine di riempirlo: ecco, forse, uno dei concetti chiave della vicenda. Non essendo questo un pezzo di stampo storico mirato alla divulgazione, il nostro intento non è quello di (ri)operare la sintesi già messa in atto dal film di tutte le vicende, ma solo di tracciare linee generali che aiutino alla comprensione e, soprattutto, invoglino alla visione; e, dunque, l’inserimento di un brano di svariati decenni successivo agli eventi in colonna sonora come Angel, specie se unico esempio all’interno del minutaggio, ci sembra una marca autoriale abbastanza forte e da sottolineare. Come se da lì principiasse tutto, come se la tracotanza israeliana, fino a quel momento minacciata ma perlopiù inespressa, di allargare i suoi confini avesse rappresentato il superamento di una linea rossa da cui non si è più usciti, quantomeno fino al giorno in cui stiamo scrivendo questo articolo. Scorrono immagini su immagini di case distrutte, urla, gente ferita, la cui unica differenza rispetto a quelle odierne provenienti da Gaza è il bianco e nero in luogo dell’attuale colore.I jihadisti di oggi sono quei bambini di ieri costretti ad assistere ad orrori indicibili, gli israeliani di oggi hanno memoria dei razzi abbattutisi sulle città (di entità molto inferiore rispetto all’inverso, è da rilevare) e appoggerebbero chiunque e laqualunque gli promettesse la sicurezza quantomeno percepita, anche il criminale di guerra riconosciuto Bibi Netanyahu attualmente in carica.
Ollson è molto attento all’equilibrio tra le parti, che in un lavoro di questo stampo è tutto perché non bisogna restituire un’impressione di marcata partigianeria, anche quando, come nel caso del massacro di Sabra e Shatila del 1982 da parte della Falangi libanesi alleate d’Israele verso palestinesi e libanesi sciiti, c’è davvero poco dubbio sulla condanna morale totale e incondizionata. Così come, nell’ultima parte del film, la prima e la seconda Intifada del 1987 e ’88 non possono che venir narrate con l’abusata metafora di Davide contro Golia, e le immagini accompagnano da par loro mostrando cingolati investiti da nugoli di pietre. Alcuni materiali furono girati senza poi mai andare in onda e quindi rappresentano degli assoluti inediti, come alcune interviste che documentano gli avanzati rapporti tra Yasser Arafat, leader dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) e grande protagonista politico e mediatico per due decenni, e il ministro degli Esteri d’Israele Azza Eban. Inutile specificare, quindi, che attraverso i vari reportage si sbozzano ritratti abbastanza esaustivi dei tanti protagonisti politici che hanno rivestito un ruolo: Golda Meir, Yitzhak Rabin, Menachem Begin, Shimon Peres, Ariel Sharon (nelle vesti ancora di militare fino all’89) da una parte, lo stesso Arafat, Ahmad Shuqayri e Yahya Hammuda dall’altra, più il protagonismo dei leader degli Stati confinanti, su tutti l’egiziano Nasser. Ci si permetta una considerazione che può apparire semplificatoria, ma che invece è soltanto l’umana reazione alla rievocazione della mole di eventi in un racconto coerente e unitario: la slavina si è ormai talmente ingrandita, gli odi e i rancori incistati da generazioni su sangue e dolore, che per un’eventuale risoluzione senza ulteriori spargimenti di sangue si necessiterebbe di giganti della diplomazia che non paiono in vista.
Il momento in cui tutto questo pareva possibile rappresenta anche l’unico breve salto “in avanti” dell’opera dopo il 1989, ovvero gli accordi di Oslo del 1993 (tenutisi lì, tra l’altro, grazie al lavoro dei partiti socialisti di Svezia e Norvegia, a saldare ancora di più il rapporto delle due nazioni con le vicende medio-orientali benissimo esplicitate nel film), con il presidente Usa Clinton a sovrintendere la stretta di mano tra Arafat e Rabin. L’assassinio di quest’ultimo, nell’anno successivo, farà ricominciare tutto da capo…
Due riflessioni a margine: la Tv svedese, come già si vedeva nel bellissimo documentario The Soul of a Man di Wim Wenders riguardo alla riscoperta di tanti bluesman neri del Delta del Mississippi come J.B. Lenoir proprio da parte di conterranei di Ollson, è(ra?) davvero una tipologia di servizio pubblico invidiabile e da prendere a modello; durante il montaggio del film la brutale e acefala reazione d’Israele alla provocazione di Hamas ha fatto interrogare il cineasta sull’opportunità di continuare il lavoro. Per nostra fortuna, la risposta è stata positiva. Auspichiamo (vista la difficile collocazione di un prodotto così in sala) un’acquisizione da parte di RaiPlay, magari tramite Fuori Orario (cose mai viste) e un secondo capitolo (che siamo sicuri arriverà, prima o poi) che porti il racconto fino ai giorni nostri.
Donato D’Elia