14 Settembre 2019 -

IL SINDACO DEL RIONE SANITÀ (2019)
di Mario Martone

Affrontare un classico è spesso un’operazione rischiosa, ed emozionante per la stessa ragione. È infatti un cimento indubbiamente affascinante, specie se poi ci si pone sul doppio crinale di una contaminazione tra diverse modalità narrative. Il sindaco del Rione Sanità di Mario Martone si colloca su questa strada, traducendo in cinema un noto testo teatrale di Eduardo De Filippo, ma purtroppo s’infrange contro un fatale scoglio: non riuscire a trovare un nuovo veicolo, una nuova forma e nuova veste, un’urgenza profonda che ne giustifichi la rilettura a quasi sessant’anni dalla sua prima comparsa sul palcoscenico. Prima di dedicarsi alla sua riproposizione cinematografica, nel 2017 Martone ha portato in teatro il testo di Eduardo De Filippo, e questo forse inquadra meglio la natura della sua attuale forma-cinema: così come si propone al pubblico, Il sindaco del Rione Sanità non si allontana molto dal teatro filmato, benché siano più che evidenti anche gli sforzi compiuti da Martone per aggiornare il testo alla modernità e fornirlo di un consono contesto scenografico. Da quegli interni, da quegli abbigliamenti, dalla scelta degli attori e dei loro volti si respira una neo-volgarità che molto ha a che fare con l’opulenta Napoli della criminalità attuale, soprattutto con la sua versione comunemente divulgata dalla più recente produzione audiovisiva italiana. Eppure, è anche una Napoli fuori dal tempo, in cui magari Martone s’impegna a emendare i dialoghi dagli elementi più vistosamente superati per condurre però il discorso verso una strana e inerte atemporalità. È probabile che in questo abbia giocato un ruolo fondamentale la stessa genesi del film, che viene dritto dall’allestimento teatrale di Martone; in questa direzione sembra indirizzarsi anche la scelta distributiva nelle sale, poiché la Nexo Digital proporrà il film solo per tre giorni secondo le linee di una proiezione/evento come per certi balletti, concerti o veri e propri esempi di teatro filmato. Tuttavia, Il sindaco del Rione Sanità di Martone resta e vuole essere anche cinema (di certo non è stato scelto per il concorso dell’ultima Mostra di Venezia solo per un fortunato caso), e paradossalmente sta proprio qui la sua maggiore debolezza. È infatti assai faticosa e accidentata la natura globale dell’intera operazione, incapace di fuggire dal teatro verso il cinema e altrettanto a mezza via per quel che riguarda la portata del suo discorso, che non riesce mai a farsi universale e non si riduce nemmeno alle linee comunque nobili di un’efficace urgenza contingente. L’inattualità, in ultima analisi, finisce per condannare il film. La trasposizione della vicenda ai nostri giorni resta infatti lettera morta, poiché sono del tutto incomunicanti le due idee di criminalità che soggiacciono alla Napoli di De Filippo e a quella coeva a Martone. Non hanno molto da dirsi, quella Napoli lontana e quella odierna. Soprattutto non hanno molto da dirsi tramite le indecisioni del film di Martone, che resta ampiamente (e diremmo, sotto questa ottica, “inutilmente”) fedele ai dialoghi e alla struttura narrativa dell’originale per poi tradirlo arbitrariamente sul finale. Il tradimento non è un peccato di per sé, anzi semmai viene da rimpiangere che Martone non abbia trovato il coraggio e l’ispirazione di rovesciare letteralmente il testo di partenza per farne vera occasione di rilettura, riflessione, personalizzazione, materiale di una propria motivata revisione e, soprattutto, oggetto di una radicata (e magari radicale) riscrittura filmica. Invece il film si mostra come un monumento a un balbettato compromesso, dove si cerca magari di rispettare De Filippo tramite una strana forma di “ossequioso tradimento” ma si rintraccia con grande fatica la reale motivazione profonda dell’intera operazione.

L’Antonio Barracano di Mario Martone è assai più giovane dell’originale, ha il corpo e il volto del quarantenne Francesco Di Leva e sfoggia abiti in linea con la criminalità cool degli ultimi anni. Tuttavia, le dinamiche interne al suo clan sono decisamente fedeli al testo di De Filippo, e soprattutto si conserva lo spirito ambiguo e interrogativo della figura di Barracano, protettore del quartiere che si prodiga per ridurre i danni e le violenze di un contesto sociale e para-criminale dichiarandosi difensore degli ignoranti. Il discorso di De Filippo, che come spesso nel suo teatro vuol sollevare anche quesiti di scottante urgenza e attualità, costeggia scacchi etici e una costante interrogazione intorno al Bene. Su note un po’ meno evidenti che in altre occasioni, il testo di De Filippo conserva anche una riflessione più universale intorno al tema della verità e della maschera, con qualche risonanza pirandelliana ma sempre calata in un contesto più scopertamente sociale. A volte De Filippo tradisce il quadretto, e anche “Il sindaco del Rione Sanità” non ne è esente, sia pure in un orizzonte totalmente drammatico, senza alcuna concessione al garbato sorriso ai limiti del colore locale rintracciabile, ad esempio, anche in un dramma pungente e commovente come Filumena Marturano. Con ogni evidenza Martone vorrebbe conservare tutto il portato dell’originale, tra etica e universalità. Dell’originale di De Filippo, Martone ripercorre il rispetto per il cuore del protagonista Barracano, che è seguito e compreso nei suoi trasalimenti emotivi, e che s’impegna davvero in prima persona (e fino alla morte) per salvare un giovane intenzionato a uccidere il proprio padre ritrovando in lui la stessa ferocia determinante negli anni acerbi di Barracano per il tracciato del suo futuro destino. Con ogni evidenza De Filippo rispetta e diffida del suo protagonista; Martone magari non esprime sentimenti o inclinazioni nei confronti di Barracano, ma lo indaga e lo comprende come fenomeno socio-individuale. Il problema è che il discorso di De Filippo, riletto secondo la linea astratta e indefinita di Martone, si appanna e si disperde rischiando di apparire nient’altro che un’ossequiosa e ingessata riproposizione di un classico, che non ha molto di più (o di nuovo) da offrire rispetto al già noto del testo di partenza. Testo, oltretutto, che ha perduto molto della sua stringente “psicologia dell’attualità” e che oggigiorno fa qualche fatica in più a conservare anche il proprio afflato universale rispetto ad altre opere di De Filippo. Se tra le intenzioni di Martone vi è di rileggere l’oggi tramite una risalita alle fonti del passato, è da registrare tuttavia che dal passato al presente i legami non sembrano neanche troppo diretti né scaturiti da una deterministica genalogia del crimine. Sicuramente a fare da trait d’union resta l’idea della protezione, dell’uomo forte al di sopra della legge e dello Stato al quale asservirsi e affidarsi per avere una vita migliore – questo è, in fondo, il germe sociale della criminalità organizzata. Ma la filiazione finisce qui, e il passato di De Filippo non trova significative riletture nell’oggi narrativo di Martone. A fronte di un’operazione così indefinita e potremmo dire “illeggibile”, Martone opera poi una brusca e sorprendente sterzata sul finale, fermandosi un attimo prima del testo di De Filippo e omettendo totalmente la svolta del professor Della Ragione, che rinnega l’ideologia di Barracano sposando la verità e la giustizia pubblica in luogo della morale privata del “sindaco”. Benché il tradimento di una fonte sia tutto fuorché un difetto in assoluto, di fatto il racconto ne esce immotivatamente snaturato, affidato a un arrendevole pessimismo che cancella il profondo coraggio civile e politico dello scioglimento ideato da De Filippo. Da parte di Martone è probabilmente la registrazione di una sconfitta (questa sì, tutta contingente); nell’Italia di oggi il professor Della Ragione ha perso, nessuna verità e nessuna giustizia pubblica ha prevalso trionfalmente sulla morale della scorciatoia promossa da Barracano. Il sindaco ha vinto, e Martone non può che registrarne il trionfo, smentendo il fiero e polemico intento morale, pieno di magnifiche sorti e progressive, promosso da De Filippo nel suo finale. Questa è una lettura tra le possibili, ma va anche detto che nel film la modifica del finale originario rimane in un territorio confuso e poco definito. Più in generale, Il sindaco del Rione Sanità di Martone si colloca in un orizzonte di ambiguità mai davvero produttiva. Di nuovo, l’assenza decisiva è sostanzialmente di sguardo, di profondità d’analisi, di rivitalizzazione di un classico. Una riproposizione professionalmente dignitosa, ma sostanzialmente senza una vera anima. E Mario Martone ci aveva abituato a ben altro. Peccato.

Massimiliano Schiavoni

“The Mayor of Rione Sanità” (2019)
115 min | Crime, Drama | Italy
Regista Mario Martone
Sceneggiatori Eduardo De Filippo (play), Mario Martone (adaptation), Ippolita Di Majo (adaptation)
Attori principali Massimiliano Gallo, Francesco Di Leva, Roberto De Francesco, Ernesto Mahieux
IMDb Rating N/A

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