IL POTERE (1972), di Augusto Tretti
“Oggi, un giudice come me,
lo chiede al potere se può giudicare.
Tu sei il potere.
Vuoi essere giudicato?
Vuoi essere assolto o condannato?“Fabrizio De Andrè, Sogno numero due
Seduti sul velluto rosso di tre poltrone gentilizie, il potere militare, quello economico e quello agrario appaiono come tre fiere dantesche, ingioiellati e impellicciati fino alle teste di felino. Discutono fra di loro da sempre, inesauribili cospiratori sin dall’età della pietra, sempre pronti a trovare le contromisure reazionarie alle rivoluzioni sociali per poter continuare a schiacciare le classi più deboli, ridicoli e vuoti nel loro continuo arricchirsi eppure talmente ipocriti da risultare affascinanti al Popolo, trovando paradossalmente nelle stesse vittime dei propri soprusi i più improbabili alleati. In retrospettiva al trentatreesimo Torino Film Festival ritrova la luce uno dei più sardonici film italiani di sempre, ostracizzato e combattuto fin dalle riprese da quello stesso potere che racconta e mette alla berlina, interrotto per diverso tempo a causa del fallimento della Titanus, uscito in una manciata di copie nel 1975 e accantonato prima possibile, tanta era la sua scomodità. Sono passati 43 anni, e Il potere, secondo film di Augusto Tretti, brilla ancora oggi della propria potenza politica surreale, umana e crudele, lungometraggio militante scritto e diretto da chi è stato reale militante partigiano. Irresistibilmente spassoso e drammaticamente attuale, Il potere mette in scena il titolo con una libertà sconfinata, dall’età della pietra fino ai tempi moderni, passando per l’impero Romano, la Rivoluzione Francese e il fascismo. Anticipando genialmente uno stile a metà fra i Monty Python e Franco Maresco, il capolavoro di Tretti pulsa di una vitalità politica ed eretica che ridicolizza il sistema, ne fa emergere tutte le contraddizioni, lo combatte dal basso con le armi della metafora e dell’ironia. Con una lucidità ed una profondità a dir poco straordinarie.
Del resto, Augusto Tretti è stata la prima vittima dei poteri messi alla berlina dal film. Il suo passato sulle montagne e i suoi precisi e scomodi ideali politici lo hanno reso agli occhi dei poteri forti un regista scomodo, inviso, fastidioso. Tant’è che in oltre vent’anni di carriera gli è stato possibile completare solo quattro film, e leggenda narra, per quanto riguarda Il potere, di bobine già girate rimaste nascoste per anni sotto al letto del regista in attesa di trovare i fondi per terminare il lungometraggio già iniziato. Il suo caso di regista sommo quanto ostracizzato ricorda quello di Claudio Caligari, tre soli film -sublimi- all’attivo ed una riscoperta parziale solo dopo la morte con Non essere cattivo candidato agli Oscar, ma anche quello di Giulio Questi, omaggiato dal Torino Film Festival dello scorso anno subito prima della scomparsa e tutt’ora relegato in un oblio talmente immeritato da rasentare lo scandalo. Perché il grande Cinema italiano è esistito ed esiste ancora, ma la grande distribuzione preferisce ignorarlo, considerarlo inutile, negarlo al grande pubblico per il terrore che possa capirlo e, in massa, reagire. Il film di Tretti vede, nella propria incontenibile libertà cinematografica, un gruppo di attori caratteristi che interpretano, sempre uguali ma sempre differenti, vari ruoli, varie microstorie, varie epoche. Ma in realtà a decidere le sorti è sempre Il potere delle tre fiere, eterne e immutabili, pronte a intervenire ogni volta che l’ordine viene sovvertito con nuove guerre, nuovi latifondi, nuove tecnologie. I Tribuni del Popolo vengono uccisi da un Senato romano già in cocca con i patrizi, la produzione industriale fa venire meno la necessità di contadini, allevatori e braccianti, la figura di Benito Mussolini viene irrisa in tutta la sua vacuità fino all’inevitabile epilogo a testa in giù.
Il potere, nel frattempo, rimane sempre guardingo, furbo, pronto a controbattere per mantenere il proprio status. Finge di stare con il Popolo e lo manipola a proprio piacimento. I poteri dell’economia e dell’agricoltura, quindi, sotto lo sguardo benevolo della fiera militare, incrociano falce e martello mentre una bandiera rossa viene issata alle loro spalle: Il potere impara a fingersi Popolo, la destra impara a fingersi sinistra, e risulta a questo punto difficile non vedere una drammatica anticipazione dell’era politica attuale, spartito fra una pseudosinistra renziana ed una destra sempre più smaccatamente xenofoba e aggressiva. Rivelando, drammaticamente, quanto Augusto Tretti ci vedesse lungo, capace di prevedere già nei primissimi anni Settanta il prosieguo della strada burrascosa intrapresa dall’Italia. Il potere è fra i migliori film italiani di sempre, immeritatamente relegato in un circuito underground e di addetti ai lavori. Nel nostro mondo ideale, per lucidità politica e libertà cinematografica, dovrebbe essere proiettato nelle scuole e programmato in prima serata, dovrebbe essere diffuso in maniera capillare, dovrebbe giungere agli occhi e alle orecchie degli spettatori, accendendo con l’arma dell’ironia quei vagiti di Resistenza che Tretti così bene conosceva. Ma viviamo nel mondo vero, quello gestito esattamente da ciò che il film irride e combatte: chi alle sale cinematografiche preferisce piuttosto le stanze dei bottoni, dal velluto delle comode poltrone gentilizie sulle quali siede, questo film continuerà invece ad insabbiarlo.
Marco Romagna