13 Febbraio 2015 -

IL FESTIVAL DEL NULLA
(e siamo tutti più buoni)

IL FESTIVAL DEL NULLA
E siamo tutti più buoni

Tra la fine degli anni ’00 e l’inizio degli anni ’10 sono coincisi due eventi di enorme valore storico in Italia, che un giorno studieremo sui libri di scuola: l’inizio della parabola discendente di B. e la massificazione dell’utilizzo dei Social Network.
Da quel momento la cosa che è più cambiata in Italia credo sia la televisione.

Come possono aver influito la rete e la politica sulla tv?
Essa, da medium di massa più importante e utilizzato, si è ritrovata, nel giro di pochissimi anni, ad essere doppiata, per importanza, seguito mediatico e quantità di tempo passato dagli italiani, dalla rete. Dall’altra parte, la perdita di credibilità del cavaliere e del suo mondo comunicativo – unita all’ascesa di Sky – ha portato ad una lenta ma inesorabile perdita d’ascolti da parte di Mediaset, soprattutto tra i più giovani.
Dunque, se le casalinghe di Voghera (molto rilevanti) e le classi sociali meno acculturate (sempre più sottili) hanno continuato ad accontentarsi di Quiz, polpettoni sentimentali, programmi di cronaca nera e Defilippi’s skills, i giovani e meno giovani dotati di spirito critico, sempre meno attratti dal tubo catodico, si allontanano piano piano, consapevoli di poter avere qualcosa in più.

In questo modo la tv si è dovuta rinnovare, ponendo fine in qualche modo a quel processo di bambinizzazione del telespettatore nato dagli anni ’80, e pescando, da un lato, proprio dai new media alcuni modus operandi e processi interattivi – questo soprattutto nei programmi di puro intrattenimento – mentre nella più piccola fetta del mondo dell’informazione e della tribuna politica avviando un processo di elevamento contenutistico per cui, in soldoni, Bruno Vespa perde terreno a discapito di un Zoro.

Questo processo, però, pare in forte virata proprio in questi giorni, nei giorni del Festival di Sanremo.
Un reale tuffo nel passato, hanno scritto alcuni, ma ciò che a me più colpisce è che, proprio nel periodo storico dell’interattività, il più importante programma televisivo italiano decide di far tornare bambino il videoascoltatore.
Così, il nostro idolo delle casalinghe e pensionate Carlo Conti, inanella una serie di sketch filocattolici, dai messaggi procreatori (come quello della famiglia più numerosa d’Italia), e fa grande leva sulla BONTA’ e pietas cristiana delle persone (tant’è che ad ogni ospite in scena viene fatta una sviolinata sui loro lati filantropici: ad esempio artisti che devolvono cachet in beneficenza e la Theron titolare di una associazione filantropica), il tutto condito da continui messaggi di ricordo ad artisti scomparsi, in un unicum di buonismo necrologico.

Poi finisce Sanremo, arriva Marzullo in terza serata e ci chiede: Sanremo, secondo voi, vi rende migliori o peggiori?
Io rimango a bocca aperta, e senza pontificazioni politiche mi viene un sano “coincidenze? Non credo proprio”.

Questa dovrebbe essere la cornice, ma come si sa, Sanremo è anche e soprattutto cornice. Sul piatto forte, gli artisti, sarebbe meglio stendere un velo pietoso. Da un lato i vecchi o vecchissimi volti noti, tirati via dall’armadio sotto naftalina, talvolta anch’essi di stampo filocattolico (Basti pensare ad Albano – ma siamo in Italia -) e dall’altro una sfilza di figli e figliocci di DeFilippi e Simon Cowell. Il livello è più basso del solito, e se negli anni di Fazio almeno si ritagliava uno spazio, seppur piccolo e political correct, per le realtà musicali di chi non solo sotto Sanremo si sporca le mani con club e bei dischi (Perturbazione, Marta sui Tubi, Riccardo Sinigallia, Afterhours e Marlene Kuntz per citarne alcuni degli ultimi anni) quest’anno quel risicatissimo spazio è riservato a una band semi-sconosciuta di nome KuTso, tra i giovani.

Sanremo si dimostra così come qualcosa di completamente distaccato dalla realtà sensibile del mondo, della cultura, della musica e della comunicazione, e dopo le piccole spinte progressiste degli anni precedenti ritorna a essere quel baluardo inespugnabile di fiori e plastica, di finzione e buonismo.

A vincere è di nuovo la rete, dove si creano giochi di opinionismo dilagante, dove il vero motivo per guardare Sanremo rimane commentarlo, con quel tipico cinismo e distacco pseudo-intellettual-radical-chic, di chi spera in un leaderismo mediatico da 140 caratteri.
E se gli ascolti continuano a dar ragione al generalismo televisivo, molto presto la Rai dovrà fare i conti con il nuovo che avanza. Non migliore, forse, ma più reale del pantone della pelle di Carlo Conti.

Simone Barisione

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