Ikarie XB 1 sono i lunghi corridoi che sembrano quasi prendere vita dalla grana in bianco e nero del formato panoramico. Ikarie XB 1 è una crisi di nervi, è una crisi di sonno, è una crisi magnetica, è un’umanità distruttiva e distruttrice, ma soprattutto è quella cooperazione internazionale, qui traslata sull’intergalattica, di cui il mondo nei primi anni Sessanta aveva un bisogno assoluto. Ikarie XB 1 è uno sguardo oltre la cortina di ferro, è un’allegoria della guerra fredda e della tensione internazionale giunta direttamente dal cuore europeo del blocco sovietico, è una ricerca ora disperata e ora ottimistica di quell’umanità che stava drammaticamente andando smarrita, e che si troverà in una protezione interplanetaria insperata. Ikarie XB 1 è il caposaldo della sci-fi cecoslovacca, in cui nella scenografia imponente e negli effetti visivi sorprendenti per il tempo Jindřik Polàk riuscì a incastonare una sontuosa space opera profondamente umana, politica e filosofica, presentata nel ’63 all’allora Festival della Fantascienza di Trieste, orrendamente mutilata e modificata nella versione statunitense – 9 minuti arbitrari in meno e un finale fuorviante, virato al verde e vistosamente posticcio nel quale appariva persino la Statua della Libertà – uscita con il titolo Voyage to the end of the Universe, e ora finalmente ritornata allo splendore originario – comprese le piccole e inevitabili imprecisioni tecniche dovute al periodo, i segni su pellicola per i proiezionisti e qualche piccola rientranza nel quadro in 2,35:1 – con un eccellente e squisitamente filologico restauro digitale presentato a maggio in Cannes Classics e che ora torna in Italia, due settimane fa al Science+Fiction di Trieste e ora al Torino Film Festival nell’ambito della retrospettiva “Cose che verranno”. È un film splendidamente artigianale, in cui i limiti tecnici del periodo sono sostituiti da scenografie e costumi perfettamente credibili, splendidi robot tuttofare “Con me da ottant’anni”, modellini, ricostruzioni, set geometrici, punti di fuga centrali, personaggi sul bordo dell’inquadratura: talento visivo e narrativo. E si anticipano Alien, 2001 Odissea nello spazio, Star Trek, Solaris, giù fino a Interstellar
Nel 2163, l’Ikarie XB 1 parte alla volta del Pianeta Bianco, in orbita nella galassia Alpha Centauri. Non è solo una navicella spaziale, ma è una vera e propria città semovente, pronta a sfrecciare a una velocità di molto vicina a quella della luce in un viaggio di miliardi di chilometri. Per chi è rimasto sulla Terra passeranno 15 anni per poter rivedere i propri cari in missione, per gli scienziati facenti parte dell’equipaggio, invece, il viaggio spaziale durerà all’incirca 28 mesi, in piena rottura della Teoria della Relatività. In un perfetto circuito spaziotemporale, il Comandante sarà costretto a partire lasciando a casa la moglie incinta e sa che potrà rivederla solo quando ormai sarà alle porte della senilità, e che potrà conoscere sua figlia solo quando sarà ormai adolescente, mentre fra gli esperimenti compiuti sulla navicella ci sarà proprio quello di far nascere un bambino durante un viaggio talmente lungo e veloce da interrompere la linea del tempo. Ma non è ‘solo’ un film sul tempo, Ikarie XB 1. Il film di Polàk, tratto da La nube di Magellano, romanzo del ’55 nato dalla geniale penna dello scrittore polacco Stanislaw Lem che solo due anni prima del film aveva dato alle stampe Solaris, ha già tutte le complessità e le capacità filosofiche, politiche e metaforiche che pochi anni dopo traslerà in immagini, con il plusvalore il suo insostituibile genio, anche Andrej Tarkovskij. Ma se in Solaris il misterioso pianeta nebuloso spedirà agli uomini i propri desideri più reconditi facendoli interrogare sul senso stesso dell’umanità, il Pianeta Bianco di Ikarie XB 1 sarà invece l’apertura di pace e internazionalismo che schermerà parzialmente gli effetti devastanti di una mortale stella oscura in grado, con le proprie radiazioni, di far cadere chi vi è esposto in un profondo sonno, poi bruciarlo, e infine far crollare i nervi degli uomini.
Ma soprattutto, fra i pericoli che i membri dell’equipaggio devono affrontare in questo romanzo d’avventura e tensione, c’è l’impatto con una navicella spaziale del ventesimo secolo che trasporta testate nucleari, e che permetterà di interrogarsi su quali e quanto gravi siano stati gli orrori del ‘nostro’ tempo (anche se nel frattempo siamo da oltre 15 anni nel ventunesimo) nella decisione dei piloti, in carenza di ossigeno, di uccidere con un gas istantaneo il resto dei passeggeri, e successivamente di scannarsi fra di loro trovando entrambi la morte. Fino a quando, durante la difficoltosa fuga a gravità ridotta dei due cosmonauti incaricati dell’esplorazione del relitto, scoppierà una bomba, e poi sarà solo silenzio, morte, amarezza. È una sequenza forte, potente, drammatica, una sequenza che forse, a 53 anni dalla realizzazione del film, arriva ancora più pungente: è passato oltre mezzo secolo, la guerra fredda è un ricordo, ma l’uomo non si è evoluto, non è cambiato, siamo ancora allo stesso punto, siamo ancora all’autocritica mentre assistiamo impotenti ai giochi di potere e alla putrescenza politica e sociale, mentre produciamo bombe, mentre fomentiamo l’odio, la paura, la violenza, mentre distruggiamo. Il viaggio dell’Ikarie XB 1 verso un universo che vive sulla contrapposizione di una forza maligna e di una benigna nient’altro è, in fondo, che quello dell’intera umanità dalla propria natura folle e distruttiva verso un orizzonte di speranza che sappia bilanciare i due blocchi del mondo, le istanze progressiste e quelle conservatrici, la volontà di cambiare e quella di rimanere fedeli alle proprie radici, geografiche, culturali e filosofiche. La corsa verso un mondo libero e finalmente umano dell’Ikarie XB 1 è una compiuta parabola politica, è il tentativo estremo di abbracciare quello che rimane in fondo alle nostre anime, di farlo emergere per cooperare, partecipare, aiutarsi a vicenda, salvarsi, da un istante di follia o dalle onde elettromagnetiche, da una bomba atomica o dal pazzo omicida che ha deciso di sganciarla. “Il ventesimo secolo è stato quello di Hiroshima”, ma anche un disastro nucleare lo si può lasciare alle spalle, quando finalmente si riesce a scorgere, al di là delle nubi, un futuro di reale cooperazione, internazionalismo e puro umanesimo.
Marco Romagna