I cormorani è un film di contrasti e sovrapposizioni, è la giocosa inadeguatezza del bambino che inizia a trovarsi di fronte i primi sprazzi di se stesso adulto, è un passaggio, è un eterno confine, è un momento fondamentale e irripetibile fra la scoperta e il disagio atterrente – viene abbandonata l’innocenza fanciullesca ma l’uomo non è ancora pronto a sbocciare e assiste, come impotente e stupito, ai cambiamenti del corpo e della voce, alla nascita delle pulsioni, alle risate d’immaturità davanti a una puttana ma anche agli sguardi fugaci che diventano sempre più insistiti con la biondina ripetutamente tamponata agli autoscontri. I cormorani è la sospensione di un’estate uguale alle altre eppure unica, è un bagno nel fiume, è un bosco nel quale creare il proprio microcosmo e dal quale fuggire solo per i pochi squarci metropolitani offerti da una provincia semideserta: una puntata al Luna Park, un gelato, la vetrina dei videogiochi in offerta al centro commerciale. Ma poco importa che non ci sia o quasi gente in giro, perché il mondo di Matte e Samu, vissuto nell’estate dei 12 anni, è quello di un’amicizia fraterna e quasi simbiotica, in cui ‘gli altri’ non sono che un contorno, non fanno parte del percorso di crescita se non come cornice o poco più. ‘Gli altri’ sono come spettri, apparizioni che inseguono i protagonisti in giro per il bosco e poi li circondano in un prato con il palese intento di fare a botte, o forse gli spettri sono proprio Matte e Samu, vitali ma al contempo come intrappolati nella transizione più importante e drammatica della loro intera esistenza. L’adolescenza è una fase di adattamento come quello dei cormorani ai vari climi, è la scoperta progressiva di se stessi, ma è anche la necessità di lasciare una traccia del (proprio momento di) passaggio, una mano intinta nella vernice e una pittura rupestre così identica a quelle eterne di migliaia di anni fa che ci ha mostrato Werner Herzog in Cave of forgotten dreams: la mano del bambino che non ci sarà (mai) più.
I cormorani, sorprendente esordio di Fabio Bobbio che trova in questi giorni la distribuzione in una manciata di sale con la Strani Film dopo i passaggi festivalieri inaugurati a Nyon a Visions du Réel, è una fotografia dell’adolescenza che prima di tutto osserva i propri protagonisti nell’apice del momento di passaggio, ma che non disdegna affatto elementi di pura messa in scena a incorniciare i pedinamenti, in un meticciamento di linguaggi fra finzione e documentario alla ricerca di un cinema-verità che in un certo senso è proprio come l’adolescenza: un continuo passaggio e sconfinamento, un passo avanti e mezzo indietro fra la presa di coscienza e le piccole bugie che (ci) si raccontano, ora audaci e ora bambini, ora all’attacco e ora in fuga, ora in osservazione e ora in attesa. I cormorani è un film di contrasti e sovrapposizioni, si diceva, un film di confini, costantemente sospeso fra l’innocenza del bambino e la voglia d’adulto che fa capolino inesorabile, fra la natura avviluppante e (quasi) pacifica del bosco in cui costruire il proprio rifugio di rami e foglie e la desolazione (sub)urbana del centro commerciale o dei pochi tamarri che popolano i baracconi, fra il documentario e la finzione, fra la scoperta dell’uomo che sta emergendo e la distruzione quasi apocalittica di quel bimbo che non si sarà più. Guardando I cormorani viene quasi naturale, per ambientazione e poetica, pensare a quello che (per ora) è il dittico cinematografico di Alessandro Comodin, L’estate di Giacomo e l’ultimo I tempi felici torneranno presto, ma sarebbe azzardato lanciarsi in un vero e proprio paragone. Quello di Fabio Bobbio – già montatore per Mirko Locatelli che è produttore esecutivo di questo film – è un esordio estremamente importante, un ufo nella realtà cinematografica italiana, un film da sostenere per diversi motivi, ma la sua indubbia capacità di fotografare l’adolescenza fra l’atmosfera primordiale della natura e le schegge di una civiltà grigia non vuole giungere alle stesse ambizioni metaforiche di Comodin, rimane un passo indietro, si pone come paradigma dell’adolescenza e non come allegoria-altra della vita, della guerra e della Storia. Rispetto a Comodin, pur sfruttando in maniera simile la natura, Bobbio fa in questo suo esordio un cinema che punta (ancor) più alla verità e meno alla filosofia, più all’osservazione e meno alle metafore, più alla reiterazione come continua scoperta e meno all’evento unico esemplare. E questo non è certo un limite, è semplicemente un’altra prospettiva, un diverso punto di vista, un diverso messaggio da portare avanti, un diverso modo di raccontare, forte di una lirica altrettanto immersiva, potente ed efficace.
Perché I cormorani è un film che arriva e cattura, uno squarcio inedito nel panorama cinematografico che riesce a portare sullo schermo tutta l’inquietudine dell’adolescenza e tutta la tenerezza quasi commovente di una fuga a perdifiato quando non sai che fine abbia fatto il tuo amico. È uno sguardo inedito, prezioso, accorato, folgorante. Matte e Samu si fanno scherzi reciproci, sfrecciano in bicicletta, ‘giocano’ a fare gli adulti prima fantasticando (“Chissà quanti cazzi ha preso nel culo”) e poi scoppiando a ridere, appunto come bambini, non appena la puttana si sfila il reggiseno. Scappano da un gruppo di ragazzini rivale, scavalcano cancelli, conversano di ex-fidanzatine mentre si scrivono con altri amici, hanno molto (troppo) spesso lo smartphone in mano, sparano al luna park e discutono di pesca. Nella loro reiterazione dei luoghi e dei passatempi, ogni giorno identici eppure sempre diversi, c’è la progressiva caduta di un mondo fatto di giochi e soli amici, mentre altrettanto progressiva è l’apertura a quello degli adulti, prima pazientemente osservati e poi emulati al punching ball, oppure all’altro sesso prima denigrato perché “È una puttana, non ci andrei mai”, salvo poi scommettere “Chiedile quanto prende” e portarla a casa senza essere pronti, in attesa degli sguardi giusti da parte della coetanea giusta, magari sugli autoscontri. Matte e Samu sono come novelli Les Mistons, impegnati nelL’età difficile – questo il titolo italiano del cortometraggio d’esordio di François Truffaut – con le stesse apprensioni e incertezze dei loro coetanei nella Francia della seconda metà degli anni Cinquanta. E, proprio come loro, l’ingresso nell’adolescenza è un’immersione progressiva e inevitabile, fatta di risate e paure, di isolamento per prepararsi all’ingresso in società e al rapporto con il resto del mondo. Matte e Samu ora non sono più soli nel loro vagare per il luna park, ma la gente lo affolla. Ancora fuori fuoco, ma visibile, presente, fisica e gioiosa quasi come nella Festa secondo Franco Piavoli. Bisogna rapportarsi con l’esterno, bisogna iniziare a guardare le altre persone e con altri occhi. L’abbandono dell’infanzia, però, non vuol dire certo abbandonare la componente ludica della vita, solo spostarla, aggiornarla a un corpo ormai cambiato e ancora in rivoluzione. I cormorani è un film immersivo e sognante, poetico e audace, riflessivo e lirico. Un film profondamente sincero, nel quale perdersi e lentamente adattarsi. E che si pone come il luogo ideale dove un nuovo cinema italiano possa fare il nido e crescere ancora.
Marco Romagna