20 Febbraio 2020 -

HOUSTON WE HAVE A PROBLEM! (2016)
di Žiga Virc

Verità e finzione, documentario e mockumentary. Li separano confini sottili, che risentono di fattori ponderabili ma spesso non facilmente identificabili: l’onestà intellettuale e le effettive conoscenze di chi decide di narrare una storia; la volontà di provocare o quella di procurare reazioni. C’è tutto questo in Houston, We Have a Problem!, opera dello sloveno Žiga Virc che, partendo dalle notizie – più o meno verosimili – relative a un presunto programma spaziale jugoslavo sviluppato negli anni Cinquanta, costruisce un mockumentary che attacca il processo di creazione delle fake news in un modo del tutto peculiare, interfacciandosi con la Storia e le supposte verità storiche. La vicenda alla base del film viene presentata in modo molto semplice, in perfetto stile documentaristico. Tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta i russi sono nettamente in vantaggio sugli americani nella corsa allo spazio. La NASA, dopo aver incamerato un fallimento dietro l’altro nei primi test missilistici, è costretta a correre ai ripari, volgendo lo sguardo altrove e in particolare al programma spaziale jugoslavo, in pieno sviluppo e portato avanti in gran segreto, ma che soffriva la scarsità di fondi a disposizione. Lo Zio Sam giunge così nei Balcani con un assegno da 2,5 miliardi di dollari per accaparrarsi progetti, stato dell’arte e know how della missilistica slava, che vantava, quanto a esperienze concrete, poco più che un lancio nella stratosfera di un tristadio con a bordo un maialino da latte, schiantatosi poi nell’Adriatico, non distante dalle coste romagnole. Niente più, niente meno. Ma più che altro, il programma vantava un’invidiabile riservatezza sui piani, imperscrutabili persino per la CIA. Pertanto, la strada capitalistica dell’acquisto a prezzi non sicuramente da saldo (un equivalente di 50 miliardi di dollari di oggi) restava l’unica percorribile. Anche perché, nel frattempo, i sovietici avevano mandato Gagarin nello spazio. Non c’era tempo da perdere, insomma.
Da lì a qualche mese si scoprirà che la Jugoslavia del Maresciallo Tito (che con quei soldi aveva ridato lustro al socialismo balcanico, entrato in affanno) aveva in realtà rifilato un pacco clamoroso a Kennedy (il quale, divenuto nel frattempo presidente, si era speso in prima persona con il famoso discorso sullo sbarco sulla luna da portare a termine entro la fine del decennio). I progetti made in Jugoslavia erano infatti fallimentari e praticamente inutilizzabili. Kennedy invita così Tito a Washington, per minacciare la trasformazione dell’elargizione americana in un semplice prestito. Tito prende tempo, mandando il fior fiore degli ingegneri jugoslavi a tentare di mettere una toppa, ma soltanto dopo averli fatti svanire dalla circolazione inscenando finte morti, incidenti, fughe.

Cosa c’è di vero in ciò? Tutto, qualora si prendesse il film come un documentario. Ma lo è veramente? No, non lo è, trattandosi soltanto di uno dei molti mockumentary così in voga negli appena tramontati anni Dieci. Anche se questo, in particolare, ha dei connotati decisamente peculiari, che si uniscono al consueto messaggio di fondo meta-documentaristico: cosa è vero e cosa non lo è nella rappresentazione di ciò che si discosta dal prodotto di pura finzione? E come è possibile identificare verità e bufala? Ma Žiga Virc fa un passo in più, perché costruisce un vero e proprio saggio sulla costruzione del mockumentary, inserendo al suo interno alcuni passaggi che di fatto rivelano l’artificiosità dell’intera costruzione. All’inizio e verso la fine del film Slavoj Žižek – il filosofo sloveno dai connotati pop, che ormai si trova un po’ ovunque – con due interventi particolarmente emblematici affronta i temi della verità e della finzione, delle credenze popolari e delle fake news. In un modo un po’ banale, forse, soprattutto nell’incipit, in cui scomoda niente meno che Babbo Natale per le sue elucubrazioni epistemologiche. Ma tant’è, e Žižek ritorna periodicamente sullo schermo sia in alcune immagini di repertorio (in cui viene mostrato il filosofo nel suo passato di attivista), sia nelle scene in cui si atteggia ad opinionista illustre (in un’asettica stanza completamente bianca, à la Matrix: una scelta di scenografia chiaramente fatta per distinguere, anche graficamente, le scene di commento dalle immagini di repertorio e dalle sequenze di ricostruzione documentaristica standard).
Ma rieccoci al punto: cosa è vero e cosa non lo è, in ciò che abbiamo visto? Difficile operare una netta distinzione, soprattutto per vicende risalenti nel tempo e ammantate di segretezza. Ma tanto vale snocciolare fatti veri e presunti, e non per soccombere (ancora una volta) alla “vertigine della lista”. Piuttosto, perché la precisazione si rende fondamentale per comprendere appieno la costruzione registica di Žiga Virc. Un programma spaziale jugoslavo effettivamente ci fu, pur se embrionale, sviluppato a partire dalle ricerche dell’ingegnere sloveno e pioniere della missilistica Herman Potočnik, pubblicate nel 1929 con il nome di Hermann Noordung. Ricerche avveniristiche per l’epoca ma che diedero qualche contributo, anche importante, ai successivi studi nel campo della missilistica (tra cui quelli, nefasti, compiuti dai nazisti). Che poi ciò abbia portato allo sviluppo di un vero e proprio programma spaziale è la parte su cui il mockumentary innesta ampi sprazzi di finzione, potendosi dunque affermare – senza timor di smentita – che un programma spaziale come quello descritto nel film non ci fu per nulla. Vero è poi che Tito era alla continua ricerca di aiuti economici per il suo Paese, e reale è la sua costante opera di equilibrismo tra i due blocchi della Guerra Fredda. Veri sono gli aiuti americani alla Jugoslavia negli anni Sessanta, come reale è l’attentato a Tito, avvenuto quando questi era in visita ufficiale negli Stati Uniti (un mese prima dell’assassinio a Dallas di JFK). Vero è infine il fatto che molti ingegneri provenienti dalla Jugoslavia lavorarono per la NASA negli anni delle missioni Apollo.

Precisazioni indispensabili, si diceva, perché Žiga Virc utilizza ampiamente immagini di repertorio, fotografie, documentari (veri) dell’epoca e riprese televisive, combinandole, mediante un sapiente uso del montaggio e l’immancabile voice over, per raccontare, di fatto, ciò che si propone. Una tecnica volutamente tendenziosa e manipolatoria, che denuncia il processo di creazione delle fake news con il quale si sfruttano fatti e questioni reali per (ri)costruire accadimenti fasulli. E così le visite di Tito negli States diventano le missioni del Maresciallo per tenere a bada l’ira dello Zio Sam dopo l’imbroglio rifilato agli americani. Il viaggio di Tito in Marocco sarebbe una copertura per il trasferimento dell’intero impianto missilistico balcanico oltreoceano, tramite navi di appoggio. Ma il regista vuole strafare e inserisce nel film addirittura una tesi complottista (rimasta tale persino nei confini grigi del finto documentario): l’omicidio Kennedy come presunta rappresaglia dell’attentato a Tito di un mese prima, a dispetto dei sorrisi di circostanza delle uscite ufficiali. E poi Nixon che minaccia di bombardare i Balcani. E gli ordigni nelle sedi diplomatiche jugoslave in territorio americano. E Tito che corre ai ripari cercando di ripagare il debito esportando oltreoceano la famigerata (e inaffidabile quanto il presunto programma spaziale) Yugo, l’utilitaria prodotta dalla Zastava e ispirata alla Fiat 127. Insomma, siamo dalle parti del mockumentary che scimmiotta se stesso, siamo nel complottismo al quadrato, e tutto per far passare ancora meglio il messaggio e gli obiettivi di fondo: diffidare dal materiale mediatico, o comunque consumarlo in maniera più consapevole e critica; denunciare la manipolazione che non si rivela come tale; smascherare quel processo di creazione delle bufale che agisce mediante il meccanismo subdolo della correlazione tra fatti reali, presentati abilmente in modo da far risaltare una presunta causalità che in realtà non esiste.
Ma oltre ad essere un mockumentary, il film è anche – dichiaratamente – un (meta) docudrama. O meglio: un’opera “basata su fatti reali con una parte di fiction”. Si presenta, infatti, per quello che è, con la troupe che si aggira per i Balcani per ricostruire fatti veri e presunti, in compagnia di un vecchio scienziato sulla sedia a rotelle, uno di quelli inviati da Tito negli Stati Uniti dopo averne simulato la morte, e che a decenni di distanza rompe la consegna del silenzio, tornando nel Paese natio per incontrare la figlia mai conosciuta. Uno sviluppo che, per certi versi, emula la struttura della spy story romanzata, con il regista che costruisce atmosfere da noir non soltanto combinando artificiosamente le immagini del passato, ma anche e soprattutto innestandole nel presente narrativo. C’è la visita a una base segreta, al confine tra Croazia e Bosnia, dove si sarebbero svolte in allora le attività di sviluppo del programma spaziale. C’è l’intervento di un poliziotto che inizia a fare domande. Insomma, un’operazione scaltra (come scaltra è la scelta del titolo) e sicuramente riuscita, che finisce per confondere le idee del pubblico in un circuito escheriano, facendo diventare l’intera operazione – quanto meno, e volendo estrarre un minimo comun denominatore di inattaccabilità storica – uno sguardo retrospettivo sulla Jugoslavia di Tito e su quello che il Paese sarebbe diventato dopo la sua morte, con l’implosione etnico-nazionalistica che causò il violento conflitto dei Balcani. Quello sì, assolutamente reale.

Vincenzo Chieppa

“Houston, We Have a Problem!” (2016)
88 min | Documentary, Drama | Slovenia / Croatia / Germany / Czech Republic / Qatar
Regista Ziga Virc
Sceneggiatori Bostjan Virc, Ziga Virc
Attori principali Slavoj Zizek, Josip Broz Tito, John F. Kennedy, Lyndon Baines Johnson
IMDb Rating 7.9

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