Conosciamo da parecchi anni Robert Guédiguian e il suo cinema, sempre pieno di personaggi e di politica. Un cinema che, un po’ come quello che ha sempre fatto Ken Loach dall’altra parte della Manica, pone l’autore francese nella cerchia di quei pochi cineasti militanti contemporanei che, magari con qualche alto e basso qualitativo ma sempre con un ben preciso cuore nello schierarsi apertamente con gli ultimi, si confrontano con la società attuale a volte immaginando un mondo migliore, e altre raccontandoci l’orrore del contemporaneo.
Con Gloria mundi Robert Guédiguian sceglie di mostrarci il mondo meschino in cui viviamo, e per farlo ricorre a tutti quegli elementi che sono diventati familiari a chi conosce la sua filmografia: la città di Marsiglia e il suo cast di attori che hanno fatto la storia del suo cinema. Anaïs Demoustie è Mathilda, la moglie di Nicolas che fa la commessa in un negozio di abbigliamento ma aspira a qualcosa di più; Robinson Stévenin è il marito, Nicolas, che cerca fortuna facendo l’autista di Uber ma subirà un’aggressione da parte di alcuni tassisti determinati a disincentivare con le cattive la ‘concorrenza sleale’; Arianne Ascaride (probabilmente generosa, eppure perfettamente sensata nel discorso prettamente politico suggerito dal Palmarés stilato a Venezia76 dalla giuria capitanata da Lucrecia Martel, Coppa Volpi come migliore interpretazione femminile) è Sylvie, la mamma di Mathilda e interpreta una donna cinquant’anni che ha sofferto nella vita ed è costretta ancora a fare la donna delle pulizie; mentre Jean Pierre Dourussin è Richard, il marito di Sylvie, un autista di autobus che vorrebbe vivere tranquillo. Le storie di questi personaggi si incroceranno con quella di Daniel (Gérard Meylan), un uomo che esce di prigione dopo vent’anni che scopriamo presto essere il padre di Mathilda, e quando quest’ultima avrà un bambino lui proverà a ristabilire una relazione con la figlia che non vede da anni.
A due anni di distanza da La casa sul mare, Guédiguian ci racconta che nella Marsiglia di oggi neanche la gioia per la nascita di un bambino fa fermare i tempi duri della crisi, del razzismo, della mancanza di solidarietà. Ed è interessante come l’inizio del film sia un evidente omaggio a Artavazd Pelesjan e al suo cortometraggio Vita (visibile qui), un parto di sette minuti scandito dal battito del cuore della madre con a commento la musica della messa a requiem di Verdi. Il regista francese replica il film di Pelesjan, ma dimezzandone la durata e eliminando quasi totalmente il battito del cuore che nel cortometraggio del regista armeno era insistente e perturbante. Pelesjan girò quel film nel 1993, quasi alla fine della sua carriera, ed era un vero e proprio inno alla vita e alla nascita. Guédiguian lo omaggia ribaltandone però del tutto il senso, per dire che oggi il cuore non è l’organo più utilizzato e che forse, anzi senz’altro, servirebbe riscoprirlo.
Gloria mundi è un film morale in cui tutti lottano per uscire dalla loro difficile situazione economica e sentimentale, in cui Guédiguian guarda a Marx e lo dice chiaramente commentando il film: «Ovunque regni, il neocapitalismo ha schiacciato relazioni fraterne, amichevoli e solidali, e non ha lasciato altro legame tra le persone se non il freddo interesse e il denaro, annegando tutti i nostri sogni nelle gelide acque del calcolo egoistico». Parole che non possono che essere confermate con il racconto di questa famiglia ricostituita, fragilissima come un castello di carte.
Rispetto agli ultimi lavori dove i temi erano sempre i medesimi ma i personaggi si muovevano più agilmente tra passato e presente, illusioni e cadute, qui ci sono divisioni decisamente più nette e forse un po’ troppo schematiche. È evidente come Guédiguian veda i giovani trentenni di oggi: ce li mostra attenti solamente al denaro, con una sessualità che lui condanna, pieni di quella voglia di esibizionismo via web che lui non capisce; per loro l’umanità sembra non esistere, e aprire un negozio di articoli usati è il modo migliore per fregare gli altri. Al contrario i “vecchi” sono i personaggi che interessano più al regista francese, si sofferma su di loro e ne cerca l’umanità che gli altri hanno perso, come depositari di ideali da troppi anni sepolti nel cassetto. Mentre il personaggio della Ascaride percorre il film con le sue contraddizioni, sono soprattutto i due uomini che compiono i gesti morali che servirebbero per fare andare avanti questa società: Dourussin convince la moglie a chiamare l’ex marito per farle conoscere la nipote, Meylan invece compierà l’ovvio sacrificio finale che è necessario per continuare a vivere.
È forse un film meno riuscito rispetto agli ultimi, anche registicamente abbastanza debole, ma è evidente come Guédiguian voglia mettere in dubbio lo stile di vita che ci siamo costruiti in questi ultimi decenni. Con un film che ci spinge a interrogarci più che mai in questi anni difficili, per evitare di soccombere all’illusione che ci sia qualcosa di naturale nelle società in cui viviamo. E di fronte a così tanta preoccupazione, di fronte a così tanta umanità spaesata fra i muri del mondo, di fronte a tanta ostinata e idealista buona fede, è impossibile, pur con tutti i suoi limiti di retorica, pur con tutti suoi schematismi, pur con tutto il suo essere “vecchiotto” e forse un po’ ingenuo, non voler bene a un film come Gloria mundi e al suo autore Robert Guédiguian. Un brav’uomo, per davvero e fino in fondo.
Claudio Casazza