23 Febbraio 2024 -

GLORIA! (2024)
di Margherita Vicario

Margherita Vicario, al suo esordio assoluto nella regia di lungometraggio, nonostante l’ancor giovane età ha già maturato nel recente passato esperienze in vari campi, dalla recitazione al teatro, dalla produzione musicale alla conduzione di podcast. Proveniente da una famiglia di artisti (nipote di Rossana Podestà e Stefano Vicario, regista televisivo anche alla guida di svariate edizioni del Festival di Sanremo, e figlia di Francesco, primo regista della fiction I Cesaroni che la lanciò nel panorama attoriale), cerca d’inserire in Gloria! vari elementi del sincretismo culturale nel quale muove i primi passi, con la musica come elemento centrale dello script realizzato a quattro mani con Anita Rivaroli. Aiutata dalla raffinata direzione fotografica di Gianluca Palma, viene subito selezionata nel Concorso principale dalla Berlinale 2024, e l’ambizione del progetto giustifica ampiamente la presenza in un così prestigioso proscenio. Come accade in genere negli esordi, l’opera sconta un po’ la voglia di dire tutto e subito, dispiegandosi attorno a tre linee guida principali: il film in costume (siamo tra la fine del Settecento e il principio dell’Ottocento), la musica come protagonista anche del ritmo interno alle sequenze grazie all’attento montaggio di Christian Marsiglia, e l’intenzione di dare lustro e nuova visibilità alle protagoniste della vicenda, schiacciate nelle ambizioni da un’epoca che le relegava inevitabilmente a ruoli ancillari. Troppo per un film solo? L’analisi sottostante cercherà di arrivare ad una risposta univoca.
La location principale (quasi unica) è l’istituto di S. Ignazio, ricostruito perlopiù nella villa Steffaneo Roncato a San Vito al Torre, che ospita ragazze orfane o abbandonate dalle famiglie e le inizia all’esecuzione musicale, guidate dal direttore/padrone e maestro di cappella Perlina, interpretato da un sulfureo Paolo Rossi in un ruolo totalmente drammatico. Non è l’unico rappresentante della scena comico/musicale milanese degli anni Ottanta e Novanta reclutato per l’occasione: in ruoli minori troviamo anche Natalino Balasso, riciclatosi in guru internettiano simil Beppe Grillo dopo le glorie di Zelig e Mediaset, e Elio, che dopo l’uscita dalle scene della sua storica band Elio & le Storie Tese (che periodicamente si riunisce comunque ancora, saranno in un piccolo tour anche quest’estate) interpreta  qui il servo Romeo, praticamente muto. E muta, o apparentemente tale, è anche la protagonista Teresa (Galatéa Bellugi), presa come domestica dopo uno scandalo di cui conosceremo i particolari nel corso della proiezione. Sulla scia del film ormai di culto Lezioni di piano di Jane Campion, a un certo punto entra in scena un pianoforte, all’epoca di recente invenzione, regalato all’istituto e relegato da Perlina in uno scantinato. Teresa e le studentesse del convitto (segnaliamo su tutte la Lucia di Carlotta Gamba e la Bettina di Veronica Lucchesi, nota altrimenti come La Rappresentante di Lista – il suo “socio” Dario Mangiaracina appare solo fra gli autori di una canzone fra i migliori momenti del film) se ne appropriano e nottetempo cominciano a provare e sperimentare con quello che ai loro occhi appare come un vero e proprio prodigio della tecnica. Il fresco di elezione papale Pio VII, al secolo Gregorio Chiaramonti e di nobili origini, sta per fare una visita di cortesia al convitto e a Perlina è stata commissionata una composizione da presentare in anteprima per l’occasione. Riuscirà il novello Salieri, per nulla posseduto dalla musa dell’ispirazione, ad assolvere al compito o dovrà forse “rassegnarsi” a prendere in considerazione il contributo delle sue brillanti allieve? La risposta, anche senza aver visto il film, non è difficile da anticipare…

L’intento principale di Gloria! è quello di ridare voce a donne a cui la società dell’epoca l’aveva tolta, rimettendole al centro della Storia: lo spunto è dato (anche) da quel che si narra intorno alla carriera del celebre e iperprolifico compositore Antonio Vivaldi, che per tutta la vita intrattenne rapporti con istituzioni femminili come quella qui mostrata, magari appropriandosi inopinatamente dei loro contributi per apporvi in calce la sua celebre firma. La stessa Vicario, nelle note di regia, fa l’esempio di compositrici come Francesca Caccini da Mantova, oggi praticamente dimenticata. La musicista del presente, dunque, con già due album e due EP all’attivo, si pone l’obiettivo di rendere giustizia quantomeno simbolica alla pletora di ragazze ingiustamente rinchiuse spesso per la vita intera (avevamo già visto situazioni diverse ma simili al cinema, citiamo per tutte il Leone d’Oro del 2002 Magdalene di Peter Mullan, ambientato in Irlanda nella seconda metà del Novecento) e relegate, nella migliore della ipotesi, a fare da maestre e istitutrici per i rampolli dell’alta borghesia. Le ragazze che vediamo nel film, alcune orfane, altre abbandonate nel convitto solo perché malate e lasciate lì vita natural durante anche una volta guarite o perché “colpevoli” di gravidanze indesiderate fuori dal matrimonio, sanno che è da poco avvenuta una Rivoluzione in Francia che promette libertà, uguaglianza e fratellanza per tutti, ma non sanno ancora che dovranno aspettare ancora più di un secolo perché le cose per loro comincino a cambiare davvero. Gloria!, però, si configura da subito come una sorta di fiaba, con orchi e fate, brutale oscurantismo e squarci di luce, numeri musicali di miracoloso talento che si innestano nella narrazione senza mai richiedere di sospendere l’incredulità, e quindi regala alle sue protagoniste un finale al contempo sognante e trionfante, con una coda ulteriore che posiziona la vicenda fuori dal tempo e dallo spazio. Come un po’ da prassi nel cinema italiano contemporaneo e non solo (si pensi alle schitarrate punk che innervano Miss Marx di Susanna Nicchiarelli) gli anacronismi musicali la fanno da padroni, ed ecco che nel concerto finale gli arabeschi pop di orchestra e coro contribuiscono ad apporre un ulteriore marchio alla vicenda, in pieno accordo con la produzione musicale della regista, alfiera di un pop insieme immediato e ricercato, più improntato alla raffinatezza lessicale e testuale che a quella musicale. D’altronde, in una hit che qualche mese fa si ascoltava ovunque nei playback ricreati di TikTok, Margherita Vicario affermava di PARLARE, non solo di capire e tradurre, il greco antico. Come l’ostentata laurea in fisica della molto più affermata Annalisa, la nuova generazione di cantautrici pare rivendicare tutto insieme quello che fino all’altro ieri era negato, espressione personale E bagaglio culturale.
Lasciando un attimo da parte il lato contenutistico per concentrarsi su quello tecnico, la scelta delle location al di fuori dell’istituto appare particolarmente indovinata: si naviga nella laguna di Grado, con “jarmuschiano” scorrimento orizzontale, nell’ora magica del tramonto, si attraversano nel finale, probabilmente per onorare la coproduzione svizzera, abbacinanti paesaggi alpini, si riconoscono suggestivi scorci friulani. Si cerca di ricreare, anche negli angusti interni notturni illuminati da candele, atmosfere similari a tanto cinema in costume, recente o meno, e la mente non può che tornare a Céline Sciamma e al suo Ritratto della giovane in fiamme. È bene chiarire però che siamo abbastanza lontani da quei livelli e che forse non potrebbe essere altrimenti, vista la diversa padronanza della macchina cinema della regista francese, allora alla sua quarta regia di lungometraggio. Il film di Margherita Vicario, invece, parte da un’idea forte (semplicemente straordinari i primissimi minuti) ma senza molto altro intorno, arrivando a giustapporre, specie nella prima parte, una sequenza all’altra senza una serrata progressione narrativa. Quando invece la progressione arriva forse è ormai troppo tardi, e la “punizione” di Perlina, che tutto il pubblico attende trepidante, non viene impartita con la giusta forza. Per chi scrive, poi, la sequenza del concerto finale sa poco di catartica liberazione e molto più di inevitabile chiusura da “happy end” (pratica, quella del finale positivo, ormai in gran disuso nel cinema mondiale e quindi comunque apprezzabile). Ecco spiegato, dunque, quel giallo che fa capolino nel semaforo nel frontespizio del pezzo, come da tradizione di CineLapsus: ambizione e intenti giusti, realizzazione in fin dei conti carente in più di un aspetto, con momenti decisamente ispirati e altri meno riusciti. Per dare, però, la risposta univoca che si evocava in chiusura del primo capoverso, noi preferiamo sempre gli esordi che sbagliano per eccesso, per febbrile voglia onnicomprensiva di inscrivere nel film il mondo intero; per aggiustare il tiro e maturare lo sguardo ci sarà tempo poi, e auguriamo a Margherita Vicario di avere tante altre occasioni per farlo. Anche perché il coraggio di certo non manca, a quest’opera prima che rompe gli schemi mescolando l’alto e il basso, l’aulico e la canzonetta, la tradizione e il postmoderno, il contesto sacro e l’intrinseca iconoclastia di un’anima punk. Al punto che viene quasi voglia di prendersela con tutti i suoi limiti, come una boccata d’ossigeno nell’orizzonte un po’ asfittico del cinema nostrano, come la migliore e più inaspettata sorpresa in positivo di tutta la Berlinale. Un film che viene naturale difendere con tutte le forze per quello che è: imperfetto, narrativamente sbilanciato, forse troppo ambizioso per quello che ha realmente da dire, ma così ostinatamente libero, ribelle ed entusiasta che tutto il resto passa in secondo piano, come un grido strozzato nel fragore della musica.

Donato D’Elia

“Gloria!” (2024)
106 min | Drama, History | Italy / Switzerland
Regista Margherita Vicario
Sceneggiatori Anita Rivaroli, Margherita Vicario
Attori principali Galatéa Bellugi, Carlotta Gamba, Veronica Lucchesi
IMDb Rating N/A

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