Facciamo un breve resoconto dei capitoli precedenti della (non) saga, prima di affrontare l’analisi dello spinoff/prequel presentato fuori concorso al 77mo Festival di Cannes e in sala dal 23 maggio 2024 in tutto il globo terracqueo. Nel 1979, con Interceptor, il cineasta australiano George Miller crea il personaggio di Max Rockatansky, ex poliziotto divenuto vendicatore in seguito all’uccisione della sua famiglia da parte della gang motociclistica capitanata da Toecutter, e lancia il conterraneo Mel Gibson, destinato a diventare prima star action planetaria e poi autore e regista con stile e tematiche controverse ma indubbiamente peculiari. I due seguiti sempre interpretati da Gibson, Interceptor – Il guerriero della strada del 1981 e Mad Max – Oltre la sfera del tuono del 1985, spostano l’azione in un futuro post-apocalittico che ha settato irrimediabilmente l’immaginario legato a quel tipo di distopia, filiando anche negli altri media a cominciare dai fumetti. Dopo tanti anni, e il cambio di attore con Tom Hardy, nel 2015 Mad Max: Fury Road rinverdisce l’immaginario grazie ad una scarnificazione narrativa unita al ritorno a tecniche di stunt non più in uso nel cinema digitalizzato del XXI secolo. La vera protagonista, che presto lascia a Max il ruolo di comprimario di lusso, è l’imperatrice Furiosa, interpretata da Charlize Theron, impegnata a salvare dal tiranno Immortan Joe un pugno di ragazze scelte come Madri in gradi di partorire figli non deformi, ragazze non (ancora) contaminate dalle radiazioni. Il personaggio era talmente iconico che George Miller decide di dedicarle un capitolo a sé stante che ne indaghi le origini e le motivazioni, ed ecco qui questo Furiosa: a Mad Max saga. Tutto (come sempre) bene, dunque? Non esattamente…
Il nuovo film, dotato di capitoli e voce narrante a sottolineare il suo posizionamento nel mito e nella leggenda, mostra il pianeta Terra per poi scendere a precipizio nell’esatto centro del continente e del deserto australiano: un’interessante sottolineatura, quasi come se la devastazione e la violenza della saga fosse da posizionarsi lì e da nessun’altra parte, in quella terra di nessuno ideale per ambientare qualsiasi tipo di narrazione di abbrutimento della natura umana. La Desolazione, questo è il nome della zona desertica in cui è ambientata questa nuova parte della saga, è un oceano di sabbia puntellato da bande di razziatori e da tre città/fortezze: la Cittadella, regno di Immortan Joe e già centrale in Fury Road, GasTown, labirintica raffineria attorniata da un lago di greggio, e la Fattoria dei proiettili, che già dal nome fa comprendere il paradosso tra la sua struttura e quello che vi viene effettivamente prodotto. C’è una quarta zona, nascosta e sconosciuta, ed è l’oasi verde dove Furiosa nasce e cresce, prima di venire violentemente strappata alla sua casa nel tentativo di difenderla da un pugno di esploratori motociclisti spintisi fino alle sue soglie e facenti parte della tribù di Dementus (Chris Hemsworth), il nuovo villain, di una stupidità pari solo alla ferocia. L’invito della madre, in punto di morte, a fare di tutto per tornarvi è la motivazione che muove azioni e scelte, (nelle intenzioni) quindi più nobili della semplice attitudine alla sopravvivenza ad ogni costo del “vecchio” Max. È proprio quest’intenzione di conferire un surplus di contesto a Furiosa uno dei buchi nell’acqua di un’opera, è bene dirlo, con molti pregi ma decisamente inferiore alle precedenti. Tutto quello che funziona si fa forte dello stile Fury Road, premiato all’epoca con una meritata pioggia di Oscar tecnici: gli inseguimenti mirabolanti da est a ovest e da nord a sud del fotogramma, i veicoli eccentrici (qui Dementus viaggia su una biga con quattro motociclette in luogo dei cavalli), gli stunt folli. Quando ci si ferma, in tutta la parte centrale, e si cerca di narrare effettivamente qualcosa, ecco che lo script di Miller, a quattro mani col fidato Nico Lathouris, comincia a mostrare più di una falla.
La serie di alleanze e tradimenti, la divisione del potere tra un Immortan Joe più teso alla gestione e la scheggia impazzita e incurante della sorte dei suoi uomini Dementus, l’avventuriero Praetorian Jack interpretato da Tom Burke… tutti i nuovi elementi scontano una caratterizzazione frettolosa e priva di quell’abilità di tratteggio che nei capitoli precedenti permetteva di sbozzare personaggi iconici con pochissimo screen time a disposizione. Furiosa è interpretata dalla giovane Alyla Browne nella prima parte e, soprattutto, da Anya Taylor-Joy nella seconda, ma è la prima a rimanere più nella mente e nel cuore dello spettatore. Il romanzo di formazione di una giovane donna costretta a vivere indicibili esperienze prima di trovare se stessa e il suo posto nel mondo soffre di accelerazioni e frenate non sempre ben posizionate, con momenti in cui la sospensione dell’incredulità tende a sfociare nel puro disinteresse. Funzionano come sempre, come si è già accennato, i momenti puramente action, anche se la post produzione digitale è diventata più visibile e “pesante”, seppur con risultati di gran lunga superiori a qualsiasi blockbuster Marvel o DC dell’ultimo decennio. Le apocalittiche tempeste di sabbia, lo scavallamento delle alte dune che possono celare laqualunque e qualsivoglia pericolo, le abbacinanti distese prive di orizzonte cominciano a rilasciare un sentore di già visto.
Non ce la sentiamo di rinunciare al verde nell’usuale valutazione semaforica, perché il film tecnicamente e spettacolarmente appare indiscutibile, ma nemmeno di rinunciate al giallo per una gestione narrativa e dei caratteri lacunosa in più punti. Forse questa volta i 148 minuti di durata potevano agilmente essere sfrondati, specie, come si è già accennato, in una parte centrale confusa e con poco mordente. Il problema principale, probabilmente, è la caratterizzazione dei villain, con Hemsworth che sembra un Thor caduto dal cielo, continuamente incline alla battutina e con una prostetica nasale francamente inspiegabile. Anche Immortan Joe ne esce depotenziato, perdendo quell’aura da barone Harkonnen di Dune di cui era stato investito nel capitolo precedente. George Miller cerca di consegnare, dunque, la saga al presente e lanciarla verso il futuro, ma anche in questo senso era molto più riuscito Fury Road, col laconico Max a fare da spalla a un gruppo di donne combattivo e tenace, una vera e propria “sacca di sangue” per l’assunto. Anche a livello di pura iconicità, la Furiosa di Charlize Theron rimane nella mente così tanto che, durante i titoli di coda, prende il posto di Taylor-joy improvvisamente, senza raccordi, quasi a scansare la giovincella piena di buona volontà. Tutto sommato, vista anche l’avanzata età di Miller che ha comunque diretto tutti i capitoli (cosa rara per le saghe), sarebbe probabilmente il caso di finirla qui.
Donato D’Elia