FEMME FATALE (2002), di Brian De Palma
Che cos’è una femme fatale? La definizione di questa figura ci viene data nella primissima inquadratura di, appunto, Femme fatale (2002) del grandissimo Brian de Palma, in quello che è di fatto l’“establishing shot” di tutto il film, il riflesso sfocato del volto della protagonista sullo schermo della TV in cui viene trasmesso La fiamma del peccato. Laure è una femme fatale come la Phyllis del film di Wilder, una donna spietata, incapace di amare, per la quale tutti gli uomini non sono altro che strumenti, una sinuosa figura il cui volto rimane nascosto allo spettatore per almeno i primi dieci minuti di film.
Laure sta partecipando con alcuni complici al furto di un vestito costituito da un serpente d’oro ricoperto di diamanti, indossato da una modella che accompagna il regista Régis Wargnier alla première del suo Est-Ovest al festival di Cannes. In questa lunghissima sequenza d’apertura, accompagnata interamente da un arrangiamento sakamotiano del Boléro di Ravel, già vediamo una rappresentazione delle dinamiche tra uomo e donna: sul red carpet è la modella ad attrarre l’attenzione di chiunque, un corpo mozzafiato quasi nudo incastonato di gioielli, un tesoro tanto irresistibile quanto inafferrabile. Il compito della protagonista è quello di sedurre la modella e portarla nel bagno delle donne per svestirla e scambiare i gioielli veri con dei falsi, in una scena dall’erotismo sfrenato, in cui peraltro si vede per la prima volta il viso di Laure, come se non volesse farsi desiderare dal pubblico concedendosi solo a lei. Gli uomini rappresentati qui non sono altro che dei fessi ingannati dalle molto più astute donne, dal regista abbandonato dalla modella, passando per gli agenti della sicurezza e arrivando infine ai complici di Laure che lei aveva pianificato da tempo di tradire.
Dopo essere riuscita a fuggire a Parigi con i diamanti, Laure viene scambiata per una sua sosia, Lily, una donna che ha appena perso il marito e la figlia, e accolta in casa sua. Quando Lily torna a casa in preda alla più nera disperazione e si suicida mentre Laure la sta spiando di nascosto, la protagonista ne approfitta per prendere la sua identità e andare in America, dovendo fuggire dai suoi vecchi complici che ha imbrogliato. Ma, come in molti film di De Palma, dove c’è un segreto c’è sempre un voyeur in agguato pronto a svelarlo per il proprio tornaconto, e in questo caso si tratta di Nicolas Bardo, un ex-paparazzo squattrinato che in fondo si rivela essere un uomo benintenzionato, e di conseguenza abbastanza ingenuo da cadere anch’egli nella trappola di Laure.
Il fatto che gli uomini non siano altro che vittime del potere supremo della seduzione della femme fatale è un pilastro di tutta il cinema noir, spesso accusato di misoginia proprio per questa sua unilaterale rappresentazione della donna come diavolo tentatore totalmente privo di emozioni. Brian De Palma però, come fa con tutto il cinema classico, prende questo discorso e gli fa compiere un passo in più, spostando in maniera molto intelligente l’attenzione dalle dinamiche di genere a una visione complessiva del mondo in cui viviamo.
Laure non si sta vendicando di una società maschilista: se i criminali che ha tradito all’inizio del film e che vogliono vendicarsi di lei non sono sicuramente degli esempi di giustizia e moralità, Bardo è invece per sua stessa ammissione una persona troppo brava per questo mondo, che non è diviso tra donne vittime e uomini persecutori, bensì tra chi è più o meno opportunista, tra chi è stato reso insensibile e chi ha mantenuto la sua umanità.
In questo mondo crudele le scelte hanno un valore immenso: de Palma arriva addirittura a dare alla femme fatale la possibilità di redimersi, che si trasforma in una seconda occasione sia per lei che per la sua doppelganger Lily, mentre il fotografo invece passa dall’osservare passivo voyeuristico all’azione, rinnegando lo sciacallaggio mediatico a cui si è prestato per anni. Anche se il caso sembra giocare un ruolo fondamentale, non è mai determinante di per sé: l’unica cosa che fa è mostrare delle porte, delle vie, ma sono sempre gli atti di gentilezza e umanità a salvare i personaggi, come il ciondolo il cui riflesso fa sbandare l’autista del camion alla fine del film.
Femme fatale porta sullo schermo una realtà frammentata, ambigua, composta da un mosaico di punti di vista (come il collage di istantanee che Bardo sta creando da anni), e che altro non è che una rilettura e riproposizione di ciò che rappresenta il noir classico, un cinema il cui scopo è mettere in scena lati oscuri e le ambiguità della moralità e dell’animo umano. Al centro ci sono, ancora una volta nel cinema di De Palma, l’immagine e la finzione, la frammentazione dei punti di vista e la pura messa in scena: Femme fatale sono schermi e istantanee, specchi e porte socchiuse, proiezioni e rifrazioni, dei personaggi come del loro eterno fingere. Lo stesso film diventa un furto, dell’istante come della vita, della bellezza, del tempo. Tutto è fissato su uno schermo e riproducibile, rievocabile, ma ormai per sempre alle spalle. E per sempre fasullo, ingannevole e ingannato, come il cinema, e come chi lo guarda.
Tutto questo si traduce in un’esperienza visiva straordinaria: la regia di De Palma è come sempre virtuosistica ma mai fine a sé stessa, è un gioco di movimenti di macchina, sovrapposizioni, split-screen, schermi dentro agli schermi, sguardi che si incrociano, voyeurismi hitchcockiani, sensualità prorompente fatta di immagini non-viste, sequenze dal montaggio oltre la perfezione. Femme fatale è un film che ci seduce, ci fa danzare, e ci fa riflettere sul nostro stesso sguardo da spettatore, tanto desideroso di piaceri proibiti da diventarne uno schiavo; è insomma l’ennesima opera clamorosa di un regista che è stato sempre così facilmente sottovalutato e screditato, ma che per fortuna continua ad essere oggetto di “culto” da appassionati e soprattutto della vastissima Retrospettiva integrale del trentacinquesimo Torino Film Festival, con una rassegna che si è rivelata una colonna portante del programma di quest’anno.
Tommaso Martelli