Stando al censimento del 2018 in Giappone vivono oltre 126 milioni di persone, in calo rispetto a dieci anni fa, dato l’invecchiamento progressivo della popolazione. Si stima che tra cento anni, seguendo questa curva discendente, gli abitanti dell’arcipelago saranno addirittura meno di 100 milioni. Di contro c’è un’altra popolazione che sta aumentando a dismisura: quella dei robot, che hanno superato le cinquecentomila unità. Esseri finti, in tutto e per tutto simili agli umani nella loro versione androide, che possono svolgere funzioni di ogni tipo, perfino nella reception di un albergo di lusso. Robot che continuano a sostituire gli esseri umani, come era già avvenuto nelle fabbriche. Dopotutto l’umanità occidentale – e sotto il profilo strettamente geopolitico ed economico il Giappone vi fa parte a tutti gli effetti – si è disabituata ai propri simili, non vi sa entrare in contatto, non sa trovare i modi per relazionarvisi. Meglio i robot, allora, e l’imitazione di una vita che un tempo era realmente vissuta, e ora non fa altro che riprodursi sempre uguale a se stessa, come i pesci robotizzati che compiono movimenti credibili ma anche prevedibili nell’acquario. Perfino lì preferiti ai pesci veri, probabilmente perché non prevedono cure, né impegno. Una diaspora dell’umano sentire, a favore di una vita anestetizzata, in perenne eccitazione performativa, finzione (in)consapevole che diventa suo malgrado verità.
Ruota tutto intorno al concetto di “vero” Family Romance, LLC, ventesimo lungometraggio di “finzione” di Werner Herzog, il primo a tre anni di distanza da Salt and Fire. Presentato al Festival di Cannes tra le opere fuori concorso e poi riprogrammato al DocLisboa, Family Romance, LLC è stato accompagnato fin dall’annuncio della selezione da mugugni di insoddisfazione e perfino qualche risata preventiva. È evidente come Herzog, considerato un gigante del cinema documentario – solo pochi mesi fa è stato presentato anche in Italia, al Trieste Film Festival, il suo Meeting Gorbachev, faccia a faccia straziante con l’ultimo presidente dell’Unione Sovietica –, abbia perso la stima dei cinefili per quel che concerne le opere di invenzione. Eppure solo un decennio fa alla Mostra di Venezia arrivavano uno dopo l’altro Il cattivo tenente – Ultima chiamata New Orleans e My Son, My Son, What Have Ye Done?, a dimostrazione di una vitalità sotterranea e spiazzante. Queen of the Desert e il già citato Salt and Fire hanno indebolito il patto di fiducia tra Herzog e parte non indifferente della stampa e degli addetti ai lavori, ed è basandosi su questo pregiudizio che Family Romance, LLC è stato snobbato dai più sulla Croisette, quando non direttamente vilipeso. Viene in tutta franchezza da chiedersi come sia possibile che tra le pieghe di questo piccolo, piccolissimo film, non siano state colte le linee guida della poetica herzoghiana, la sua dialettica incessante con l’umano e il mondo che lo circonda/sovrasta, la sua visione di un mondo che ha già superato la tragedia per tramutarsi in versione farsesca di se stesso.
Basterebbe la genesi di Family Romance, LLC per rendersi conto di come il percorso autoriale di Herzog non abbia subito alcuno scarto laterale. Il film, il primo girato dal regista tedesco nella Terra di Yamato, è stato commissionato proprio dal proprietario della società che dà il titolo all’opera, tal Yuichi Ishii, che per di più appare in scena come protagonista nei panni di se stesso. Qualora il limite tra realtà e finzione non fosse stato martoriato a sufficienza, ecco che si scopre che la suddetta società si occupa di “affittare” familiari fittizi per eventi specifici quali matrimoni o funerali. E infatti Ishii viene inquadrato mentre finge di essere un responsabile delle ferrovie statali – sgravando della responsabilità di un ritardo un reale addetto – o mentre svolge il ruolo di agente per una ragazza che vorrebbe farsi passare per star e si fa accompagnare per strada da un ridicolo codazzo di paparazzi. Fingere, nella società de-umanizzata, è l’unico modo per sopravvivere. In una società per di più spersonalizzata e costruita su misura per il singolo la finzione diventa anche rappresentazione di un ruolo sociale che altrimenti non si potrebbe svolgere. Ishii dunque esiste anche nella realtà, e con lui la società Family Romance. Staccandosi per un momento dal documentario Herzog non rinuncia dunque alle propaggini del vero, ma nel riscriverne i codici stratifica ulteriormente il discorso. L’unico modo per mostrare in modo palese la finzione imperante è quello di costruire una finzione a tutti gli effetti su qualcosa di realmente esistente, in un accumulo di ri-creazioni della narrazione e dell’indagine apparentemente privo di una fine. In due momenti all’interno del film Herzog mostra un gruppo di giovani impegnati a dare vita, in un parco, alla messa in scena di un combattimento chanbara. La prima volta i giovani sono armati di katane finte, duellano senza sfiorarsi e interpretano il ruolo dei trapassati da parte a parte dalla lama della spada. La seconda volta, rievocata proprio da Ishii in un dialogo, i giovani non hanno con loro più nemmeno la katana finta, ma ciononostante replicano i gesti e le posizioni del combattimento. Nel mondo della rappresentazione infinita lo schema resta immutato anche quando non ci sono le condizioni materiale per rendere quella rappresentazione effettivamente credibile.
Scriveva Guy Debord oltre cinquant’anni fa ne La società dello spettacolo «Tutta la vita delle società nelle quali predominano le condizioni moderne di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di spettacoli. Tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione». E ancora: «Là dove il mondo reale si cambia in semplici immagini, le semplici immagini divengono degli esseri reali». È in questo sistema che è costretto a lavorare Herzog, e non fa nulla per negarlo o sottostimarne gli effetti. In quest’ottica il suo film su commissione diventa un’analisi dello stesso commissionante, del suo mondo, del suo lavoro quotidiano. Tutto è finzione, a partire dall’esistenza vuota dello stesso Ishii, cui viene anche proposto da una donna di assumere anche nella quotidianità il ruolo per il quale lo ha affittato pagandolo. Esiste una vita “reale” anche per quest’uomo, ma in che modo può davvero rapportarvisi?
Per ribadire ulteriormente il concetto Herzog sceglie una modalità di ripresa scarnissima, povera e perfino mediocre, affidandosi a uno smartphone con tutti i limiti che questo congegno tecnologico trascina con sé (audio farraginoso, immagine pixelata e incapace di reggere il movimento sulle panoramiche in modo uniforme e via discorrendo). L’ennesimo svelamento della finzione esibita, l’ennesima messa in discussione della società nel suo complesso ma a ben vedere delle stesse potenzialità del cinema. Non esiste un’immagine pura, tutte le immagini sono veicolate e dunque costruite, appartengono in ogni caso al campo della finzione. L’uomo occidentale sa produrre solo finzione, dopotutto. Anche l’unico momento di verità, l’incontro con un dolcissimo riccio da coccolare e spupazzare, è ricondotto nei binari della prassi: il riccio è in un negozio che si premura di offrire ai suoi clienti l’opportunità di accarezzare, nutrire e vezzeggiare questi teneri esserini. Tutto è codificato, anche i rapporti parentali, perfino l’amore. In questa strada senza via di scampo, e dove l’umano è sempre più schiacciato e ridotto al silenzio fuori dalla propria porta di casa, Herzog trova il modo di comporre un nuovo tassello del suo abnorme puzzle antropologico, partito millenni fa nelle caverne di Cave of Forgotten Dreams e approdato nella Tokyo di oggi, megalopoli riprodotto per l’occasione a bassissima risoluzione. Un’opera potente e teorica, ma anche estremamente divertente, che rischia seriamente di passare sotto silenzio. Troppo finto il mondo esterno per accorgersi della sua presenza?
Raffaele Meale