3 Settembre 2023 -

UNA SPIEGAZIONE PER TUTTO (2023)
di Gábor Reisz

Al terzo lungometraggio di finzione, il regista ungherese Gábor Reisz approda alla sua opera più matura, non abbandonando del tutto gli echi indie-mumblecore all’americana degli esordi ma innervandoli con la specificità della realtà politico/sociale del suo Paese d’origine, e componendo una polifonia di tipi e personaggi adattabili a tanti contesti europei, non ultima l’Italia. Selezionato alla Mostra di Venezia 2023 nella sezione competitiva Orizzonti, Explanation for Everything è un’opera fluviale, con le sue due ore e mezza abbondanti di durata, che utilizza la reiterazione e i diversi punti di vista delle parti in causa per comporre una riflessione articolata sulla fallacità degli sguardi (troppo) personali e limitati sul mondo, sull’importanza del confronto, sul primato assoluto di istinti e sentimenti anche rispetto alle ideologie, ormai materia di tifo acefalo senza più vero costrutto. L’approccio ricorda, più per attitudine che per qualità, alcune eccellenti pagine del cinema migliore dell’est Europa e, molto probabilmente, dell’Europa tout-court, quello proveniente dalla vicina Romania, con nomi quali Cristi Puiu e Cristian Mungiu (il suo Un padre, una figlia ha più di un punto in comune con questo film, a partire dal focus sulla (dis)educazione genitoriale nei confronti delle nuove generazioni). Il formato 1,33:1 contribuisce a rinchiudere questo pugno di personaggi in un orizzonte soffocante, limitato, restituito anche visivamente da una macchina da presa spesso attaccata agli attori, che ne scruta e ne indaga lo stato d’animo anche e soprattutto nei momenti privi di scambi dialogici, quando un sospiro e un sopracciglio inarcato possono fungere da significante. Le parole, in questo film, sono quasi vomitate, fuoriescono apparentemente senza controllo, senza che il cervello riesca a operare il dovuto filtro.
Il racconto si compone di tre macrosegmenti, nello spazio di una settimana. Prima vediamo le singole giornate da tre punti di vista differenti, quello di un ragazzo in procinto di fare l’esame di maturità, di suo padre e del suo professore di storia, che farà parte anche della commissione esaminatrice. I due adulti stanno alle classiche estremità dello spettro politico: il prof, capelli lunghi e barba fluente, è percepito come un classico “fricchettone” dal genitore, elettore di Fidesz, il partito nazionalista di estrema destra capitanato dal premier tuttora in carica Viktor Orbán. I due non si amano, hanno già avuto in passato un alterco durante un incontro genitori/insegnanti, sono la rappresentazione plastica della polarizzazione feroce all’interno della società magiara, blandita e continuamente aizzata dal governo e dai maggiorenti territoriali di partito. Ábel, il maturando, è invece completamente innamorato di un’amica/compagna di classe, dovrebbe studiare ma la sua testa è altrimenti impegnata. Piccole vicissitudini quotidiane che compongono un quadro preciso e dettagliato, con la scelta straniante (ma funzionale) di mostrare in maniera differente gli stessi accadimenti quando cambia il punto di vista. Tutto si apre sulle immagini della festa nazionale ungherese, che celebra la vittoria della Guerra d’Indipendenza del 1848, con riprese amatoriali effettuate dai ragazzi in pellegrinaggio alcolico per tutta Budapest; per l’occasione l’invito è di apporsi addosso una coccarda tricolore, una pratica nata per unire ed affratellare il popolo, poi finita per appropriazione (vi ricorda qualcosa?) ad indicare l’appartenenza a una precisa parte politica. Ábel la lascia sulla giacca che poi indosserà all’esame per pura dimenticanza, il professor Jakab, anche un po’ per rincarare la dose dopo il pessimo orale del ragazzo, gliene chiede conto, e da qui partirà una serie di eventi, una valanga che travolgerà tutto e tutti, con l’aggiunta nella seconda parte di un quarto personaggio principale, una giovane giornalista disposta a qualunque cosa pur di fare uno scoop che potrebbe lanciarle la carriera.

La verità delle cose, la loro intima essenza, non hanno più residenza nel discorso pubblico contemporaneo, composto per lo più da rabbiose reazioni istintuali: il film di Reisz è un interessante contributo al riconoscimento della malattia della contemporaneità, ormai complessa da curare e di cui non si conoscono ancora appieno le risultanze e gli approdi. Sembrano estranei a questo clima i giovani, la cosiddetta generazione Z, comunque portatori di un’insoddisfazione esistenziale combattuta con sprazzi di vitalismo disordinato: nel finale il film si “apre”, esce dalla costrizione di stanze ed ambienti per lasciare in scena solo loro, i ragazzi, come nell’incipit. Uno slancio ottimistico verso l’orizzonte degli anni futuri, per i cui abitanti non avranno probabilmente più senso i cascami novecenteschi se questi sono ormai ridotti alla sterile riproposizione, senza aggiornamenti, di idee sempre valide ma che non dialogano più con l’esistente. E la colpa è sempre di chi non tramanda valori, di chi si arrocca sulle proprie posizioni senza mai metterle in discussione, degli adulti che in quest’opera vediamo azzuffarsi dialetticamente senza mai parlarsi davvero.
Andiamo ora a descrivere qualche sprazzo che il regista, anche sceneggiatore insieme alla sodale Éva Schulze, ci mostra e usa per condurre in porto il suo discorso, a partire da un personaggio secondario ma significativo, il tirocinante di György, il padre di Ábel. Ha deciso di emigrare perché non ce la fa più a vivere nel clima soffocante del Paese. È disposto anche a guadagnare di meno (rinuncia a un aumento) pur di andarsene, ed ecco che uno dei capisaldi del post-Covid, la cosiddetta Great Resignation, reclama la sua porzione di spazio. La moglie del professore, invece, in un violento litigio, rinfaccia al marito e, indirettamente, a tutta una classe intellettuale fintamente solidale e realmente ipocrita e ipernarcisistica, il suo irredimibile egoismo. Tutte le piccole beghe domestiche portano contributi al discorso generale, in un approccio metonimico funzionale ed efficace, anche sul piano del mero intrattenimento: ci si appassiona a questa piccola/grande vicenda, al suo portato simbolico, alla cura della costruzione narrativa, a una camera che sa come e dove posizionarsi per accompagnare senza mai trascendere.
Ábel, che decide alla fine di sottrarsi al gioco al massacro, è brillante in tutte le materie ma la Storia non riesce proprio a memorizzarla, a capirne le dinamiche, a posizionare gli eventi nella giusta sequenza. Non c’è bisogno di sottolineare ulteriormente quanto il suo vissuto non sia solo suo, ma quello di un Paese e di una generazione intera. Quelli appena più grandi, come la giornalista Erika, sono già vittime della “banalità del male”, dell’alimentare una questione inesistente per puro tornaconto personale, come già il mitteleuropeo espatriato Billy Wilder ci faceva presagire settanta e più anni fa col suo Charles Tatum de L’asso nella manica. L’entrata nel meccanismo stritolante del giornalismo web, dove l’etica professionale non paga in termini di letture e condivisioni anzi risulta penalizzante, è solo un uovo oggi che non farà mai arrivare alla gallina domani: al primo giorno del nuovo lavoro Erika, unica donna a un tavolo di soli uomini, viene subito redarguita per il vestiario. Tutto il comparto attoriale è azzeccatissimo, e i quattro protagonisti (doveroso nominarli: Adonyi-Walsh Gáspár, István Znamenák, András Rusznák e Rebeka Hatházi) indossano i personaggi alla perfezione così come il nutrito gruppo di comprimari. Per il film con cui Gábor Reisz ha finalmente compiuto il passo da giovane promessa ad artista da seguire con attenzione nelle prossime prove. Si spera solo che non si faccia attrarre troppo da meccanismi spersonalizzanti come piattaforme ed emigrazione oltreoceano, che porterebbero inevitabilmente a “normalizzarne” l’evidente talento, anche se, e il film ce lo mostra con dovizia di particolari, la vita di una testa pensante in Ungheria comincia a diventare DAVVERO difficile.

Donato D’Elia

Ci è gradito comunicare che il film UNA SPIEGAZIONE PER TUTTO di Gábor Reisz, distribuito da I Wonder Pictures, è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI con la seguente Motivazione:
Il fallimento di un normale esame scolastico diventa per il regista ungherese Gábor Reisz l’occasione per uno scandaglio nevralgico all’interno delle contraddizioni di un Paese, minato da grandi contrapposizioni e soffocato dai conservatori orbaniani. Un film all’apparenza sul disagio esistenziale giovanile che sa trasformarsi con intelligenza in un’opera dal forte impatto politico.
(uscita 1 maggio 2024)
“Magyarázat mindenre” (2023)
151 min | N/A | Hungary / Slovakia
Regista Gábor Reisz
Sceneggiatori Gábor Reisz, Éva Schulze
Attori principali Adonyi-Walsh Gáspár, István Znamenák, András Rusznák
IMDb Rating N/A

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