Originariamente pubblicato su paperstreet.it, un grazie a Lorenzo Esposito
Júlio Bressane, brasiliano classe 1946, è autore di bordi e di frontiera, un autore che ha sempre inseguito la sua idea di cinema libero, anarchico (e autarchico) stando volutamente fuori dalle grandi macchine produttive. Uno di quei talenti che neanche tutti i Festival vogliono in programma e amati dai cinéphile radicali, un genio spesso dimenticato i cui film a volte possono passare nella notte profonda in Fuori Orario (capolavori come Barão Olavo, o Horrível, Matou a família e foi ao cinema, A Família do Barulho, L’agonia, L’angelo è nato). Un cineasta che si è formato negli anni Sessanta, ai tempi di ogni sperimentazione e ogni avanguardia, e pure di ogni illusione.
Cinema povero e sontuoso, il suo, che non rinuncia alla magnificenza visiva pur nell’evidente negazione di mezzi e, soprattutto, cinema che non rinuncia al potere estetico/estatico e incantatorio della parola. Cinema che oggi sembra alieno, che pare venire da un mondo assai lontano e imperscrutabile.
In Educação Sentimental il cineasta brasiliano, da sempre impegnato in una rilettura personale delle arti, della storia, della letteratura (A Erva do Rato, Cleópatra) invoca il Mito.
Tra montaggio e sperimentazione, frutto di quattro anni di preparazione e riflessione. L’innamoramento tra Endimione e Luna, la visione della luce nella frattura del corpo astrale. La danza-tabù del fotogramma perduto, nel romanzo segreto scritto dalla educatrice-sacerdotessa. Il sonno/sogno mentre vede il mondo richiamarsi da sponde opposte, ed inventare una melodia di rifrazioni, una geometria cosmica di riflessi. L’Europa dada ed iconoclasta incontra il Brasile tribale e surrealista; e le migliaia di voci che attraversano la casa (un teatro erotico, una pittura nuda) trasformano la letteratura in una storia dell’occhio. Ed ecco l’immagine, ed ecco il cinema.
Cinema dell’artificio, antinaturalistico, che non pretende di mimare la realtà, anzi ambisce a costruirne una parallela. Movimenti di macchina unici, recitazione straniata e straniante, nella protagonista che guarda e parla talvolta in macchina, nell’uso di tende-sipario a sottolineare la messa in scena. Non è la prima volta che Júlio Bressane eccelle in quest’arte dell’agonia, dove il cinema è la scintilla da cui si genera una lingua incognita e sconosciuta, ancora tutta da scoprire. Dove confluiscono le avanguardie storiche, il surrealismo iberico come quello latino-americano, la cinefilia assoluta e il Mito greco della bellezza (in)umana, fino alla pittura neoclassica chiaroscurale e i testi libertini settecenteschi.
In Educação Sentimental ogni singolo gesto racchiude il mistero universale del narrare, e ogni cosa, a ogni nuovo passo, si volta verso il principio. Un’esperienza meravigliosa e vorticosa di visione, come è raro provare ormai, che solo autori come Bressane (che molto sanno, e molto hanno fatto e visto) possono rendere ancora possibili.
E poi il finale, che toglie il fiato (e la luce). Niente è vero, tutto è possibile. E così tutto si svela, a partire dal cinema e dal suo (dis)farsi e da quella pellicola che dolcemente sfiora l’obiettivo della macchina da presa mentre inizia a scorrere. Sublimazione, quasi commozione. Il microfono e il ciak, i sorrisi e gli sbuffi, le pause e i silenzi. Qual è il film e qual è la vita? Ma soprattutto, c’è così tanta differenza? Lezione indimenticabile sul fare film e sul come vivere, opera di una poesia e profondità immensa. Di una modernità folgorante e di una soave dolcezza, semplicemente assoluto.
Erik Negro