ED WOOD (1994), di Tim Burton

Caro Tim,
non ti offenderai se mi permetto di darti del tu, come a una persona alla quale si vuole bene, come a uno di famiglia, come a un caro e vecchio amico. Del resto, come tanti ragazzi nati nella seconda metà degli anni Ottanta, ho avuto l’enorme fortuna di averti come sorta di bambinaia un po’ pazzerella e sognante: in sostanza mi hai cresciuto, Tim, con i tuoi meravigliosi viaggi nell’immaginario, con le tue storie fumettose e fantasmatiche, con l’alternarsi, ogni due anni o meno, del nuovo capitolo della tua fantasia. Fra i fanciulleschi salti di paura ed emozione al cinema e le lunghe ore passate a far sbranare i tuoi film alle voraci testine del vecchio VHS, spesso fino alla completa distruzione dei nastri, mi hai catturato a due anni con il primo Batman, mi hai commosso a tre con Edward, e mi hai creato un rapporto tutt’oggi problematico con gli ombrelli a cinque con il Pinguino di Batman – il ritorno. E poi nel ’94, quando di anni ne avevo sette, nel frattempo avevo recuperato Beetlejuice, Vincent e il meraviglioso Frankenweenie – mi riferisco al mediometraggio, ovviamente, l’originale – e già avevi regalato al mondo la sceneggiatura di un capolavoro assoluto non solo dell’animazione come Nightmare before Christmas, hai contribuito enormemente al mio amore per il cinema facendomi scoprire da dove provenivano quel tuo splendido e magnetico gusto cimiteriale, quella tua passione per l’oscurità e le inquadrature sghembe, quella tua contagiosa passione per il cinema come intrattenimento, sogno, artigianato, voglia di fare e sana follia: Ed Wood, il “peggior regista della storia di Hollywood”. O forse uno dei migliori.

Con Ed Wood, scarso successo al botteghino per poi diventare un cult negli anni successivi, dato che rende il film ancor più filologico, mi hai aperto un mondo, Tim. Perché poi ho visto i suoi film, e li ho amati esattamente come te: il cinema casereccio e privo di talento di Edward D. Wood Jr. mi piace davvero, e infinitamente. Lo trovo divertente ben al di là del gusto per il kitsch o per il trash, lo trovo innamorato del mezzo cinema in maniera tanto ingenua da commuovere, lo trovo di una sincerità disarmante, matta e disperatissima, inebriante, magnetica, in tutti i suoi difetti e in tutte le sue approssimazioni. Amo i fili attaccati ai dischi volanti, amo i bottoni come illusione, amo i modellini in cartone, amo i passi lenti e le braccia allungate di Vampira, amo i dialoghi palesemente scritti in mezz’ora e girati in mezza giornata, amo le morti assurde e poco credibili dei sempre svampiti poliziotti di turno, amo i set di cartapesta e i commossi “buona la prima” anche quando quello appena filmato era un take oggettivamente impossibile da passare in moviola senza sconfinare nel ridicolo. Adoro – come te, Tim – perdermi nelle maglie dei pullover femminili di Glen or Glenda e nelle sovrapposizioni insensate con le immagini d’archivio, adoro esultare a ogni passo pesante di Tor Johnson verso La sposa del mostro, adoro ridere e al contempo commuovermi del braccio sul volto per coprire il sostituto del defunto Bela Lugosi in Plan 9 from outer space. E mi è piaciuto non poco, anche se il tuo film si ferma prima con un finale sognante di applausi e amore infinito, pure La notte degli spettri, tanto per dirla tutta. Ma tu queste cose le sai benissimo, Tim, le sai e, molto meglio di me, le hai ammirate, le hai fatte tue, le hai raccontate, le hai messe in scena, le hai omaggiate in un biopic che è prima di tutto una dichiarazione d’amore, una continua scoperta, un rendere onore a chi ha così tanto amato la celluloide per poi morire, come spesso accade ai veri grandi artisti, alcoolizzato e in povertà. Supportato dalla recitazione splendidamente sopra le righe del tuo fedelissimo Johnny Depp e forse ancor di più da quella di un Martin Landau che non fa Bela Lugosi, ma è Bela Lugosi, con Ed Wood hai fatto ridere e piangere, hai raccontato vita e opere della tua macabra e sincera musa ispiratrice, hai reso il tuo idolo profondamente umano e forse fallito, ma sempre e comunque istrionico, ironico e sognatore.

Ed Wood l’ho rivisto pochi giorni fa, Tim, al Festival di Locarno. E, a distanza di 19 anni, è sempre un film bellissimo, fra i motivi per cui ti voglio così tanto bene. Lo proiettavano in occasione del Pardo ad Howard Shore, che ti ha composto le musiche dopo che hai scazzato con Elfman, in una splendida copia 35mm di ormai quasi 20 anni fa appartenente alla Cinématèque Suisse. Il tuo – e suo – bianco e nero penetrante, le tue – e sue – bare che si aprono perché ne esca il narratore, le tue – e sue – carrellate sghembe in giro per i cimiteri, in attesa di mostri, vampiri, fantasmi, alieni, e ovviamente di Bela Lugosi: Wood ha lavorato con il suo idolo, come del resto anche tu hai fatto con Vincent Price, e non oso immaginare la vostra emozione. Nel film, hai messo in scena i controcampi mancanti sulla gioia di Ed Wood nello stare a lato della macchina da presa, hai posto l’accento sulla reazione scomposta di Dolores Fuller di fronte al travestitismo del suo uomo e sulla sua (triste) “seconda vita” dopo averlo abbandonato, l’hai contrapposta alla dolcezza della Kathy O’Hara di Patricia Arquette, hai fatto entrare in scena Lugosi dall’interno di una bara e gli hai fatto odiare Boris Karloff con tutte le sue forze, hai fatto rivivere Orson Welles nello sguardo spiritato di Vincent D’Onofrio – salvo poi, insoddisfatto dal timbro vocale della sua interpretazione, farlo doppiare da LaMarche –, hai preso Bill Murray e lo hai effeminato in un Bunny Breckinridge che mai riuscirà a cambiare sesso. Hai messo in scena dentiere removibili e bambini spaventati ad Halloween, hai mostrato i (molti e spassosi) paradossi produttivi di una carriera indipendente e travagliata, hai raccontato i finanziamenti per Plan 9 from outer space ottenuti furbescamente “per aumentare i capitali e poter girare intere serie di film ad alto tasso morale e cattolico sulle vite degli apostoli”, ti sei soffermato sulla tossicodipendenza di Lugosi e sul suo braccio ormai ridotto a un campo di battaglia, sul tenero rapporto d’amicizia fra attore decaduto e giovane regista poco talentuoso, sul dolore ancestrale dell’addio con quelle ultimissime immagini fatte proiettare a ripetizione – sorta di “Suonala ancora Sam” di Casablanca.

Te l’ho già detto, Tim, sono cresciuto con te e con i tuoi film. La mia è un’affezione sincera, atavica, un’ammirazione che sconfina nell’amore più puro. Amo profondamente il tuo immaginario, amo il tuo tenero tono macabro, amo le tue intuizioni registiche, amo il tuo stile fra il fumetto e l’avventura, fra il surreale e la poesia, fra il mostruoso e il sentimentale. Per questi e altri motivi, non solo per Ed Wood ma anche per i film precedenti, ma pure per i successivi Mars Attacks!, Il mistero di Sleepy Hollow e, già meno, Il pianeta delle scimmie, ti considero fra i più grandi registi viventi. Ma il mio amore nei tuoi confronti, caro Tim, è talmente elevato che per continuare a provarlo immutato mi sono dovuto fermare, ed è giusto che tu lo sappia. Il tuo è un cinema figlio dell’immaginazione ma anche, con ogni probabilità, ispirato da qualche acido, e a lungo andare, un neurone dopo l’altro, la tua carriera si è sfilacciata, si è persa, riuscendo negli ultimi 15 anni a rialzarsi solo con La sposa cadavere per poi ripiombare, via Big fish e La fabbrica di cioccolato, nella crisi nera di Sweeneytodd e Alice in Wonderland. Poi, appunto, ho smesso di guardarli, i tuoi film. Non ho visto Dark Shadows, non ho visto Big Eyes, e l’ho fatto per scelta, l’ho fatto per amore, l’ho fatto per conservare intatta la passione nei confronti di uno degli autori più affascinanti e originali di sempre, l’ho fatto perché non ce la faccio a vederti annaspare in una via cinematografica prima così brillante e ora drammaticamente smarrita. E proprio a questo proposito, Tim, rivedendo Ed Wood ho sentito il bisogno di scriverti. Per parlarti come parlerei al fratello maggiore che non ho se si stesse buttando via, come parlerei a un amico carissimo se stesse facendo una qualche cazzata, e in questo caso come sto parlando a un grande artista che sta scialacquando il suo talento da tanto, troppo tempo. Riguardati i film di Ed Wood, Tim, riscopri quella passione, riscopri quel filo rosso che vi lega, riscopri quella voglia di fare cinema perché si sente la missione di fare cinema e basta, senza sovrastrutture. Riguardati i film di Ed Wood, Tim, e poi riguarda anche tu il tuo Ed Wood. Ricorda com’eri, ritrova quello stesso cuore, quello spirito genuino, quella folle passione, quell’ardore nell’ammirazione. Ritrova quei labiali sudati di Depp, ritrova quello sguardo da bambino verso l’avventura del cinema, ritrova quella sana vena emotiva che ti rende(va) un maestro. Te ne prego, Tim, a nome mio e di tutti quelli che ti amano: torna così, ne abbiamo tutti bisogno! Perché puoi dare ancora molto, Tim, a Ed, a te stesso, a me, al Cinema, a tutti quelli che lo amano, a tutti quelli che ti amano. E che comunque, anche a costo di fermarsi prima della tua produzione contemporanea, non finiranno mai di ringraziarti.

Marco Romagna