Non vi è cenere senza fuoco
Jacques Derrida
Eclisse senza cielo è materia che si trasforma, sono procedimenti unici e originalissimi nel plasmarla e farne altro, è arte che nasce dalla calma del cesellatore, dalla colla, dalla carta, dalle pieghe, dai riccioli ottenuti dal foglio pazientemente composti a formare una figura, e da quei phon/fornelletti a gas usati per scaldarla e solidificarla probabilmente in voga in un passato lontano, e che visti ora sembrano oggetti bizzarri al limite dell’assurdo. Romano Sambati è fra i più noti artisti contemporanei salentini, insegnante d’arte visiva, ostinato pensatore e pittore che rifiuta il pennello, preferendo di gran lunga un uso sapiente del cutter che permetta di trasformare le tele in bassorilievi e poi di colorarle, cerarle, sabbiarle, come altra materia che trasforma ancora altra materia, per dotarle di una nuova fisicità ibrida di tecniche e di forme, affascinante come la creazione: natura, sottrazione e ricombinazione, fra poesia e riferimenti letterari, fra carta e plastilina, fra sabbia e contemplazione del vuoto. Ma Eclisse senza cielo è anche e forse soprattutto il puro talento visivo di Carlo Michele Schirinzi, che immortala il lavoro dell’artista che fu suo maestro in gioventù con la sublime potenza estetizzante delle immagini e con un mirabile lavoro sull’audio che riporta e amplifica, quasi come i vagiti di un neonato, ogni singolo sfrigolio dei materiali usati. L’ultimo lavoro del regista pugliese, mediometraggio sospeso fra il documentario e la sperimentazione lungo poco meno di quaranta minuti e selezionato dal Torino Film Festival nella sezione Onde curata da Massimo Causo, è un film di dettagli e di sfocature, di pazienza e di certosina precisione, di tecniche bizzarre quanto affascinanti, uniche, squisitamente personali, fotografate nei loro segreti con la discrezione dei teleobiettivi e con l’atmosfera sognante e spiazzante delle sovraesposizioni: opere, luce, immagini. Eclisse senza cielo è la magia di una tela che da bianca diventa nera semplicemente versandoci sopra del colore e poi guardandolo camminare, come acqua sulla carta, come una sfumatura, come la vita o forse come la morte, come l’arte, multiforme opera dell’ingegno umano; è la pazienza certosina nel fasciarsi gli indici prima di sringerli nel fil di ferro per poter tagliare una sottile fetta della forma di plastilina già lungamente lavorata. Sullo schermo appare l’incontro di due sensibilità che dall’arte pittorica passano alla videoarte, fra contemplazione e natura, fra rielaborazione e punti di riferimento letterari, fra paura del baratro e tensione all’infinito.
Dalla carta perfettamente incollata sulla tela, strappandone e tagliandone accuratamente i lembi, è possibile far emergere le figure, incastonarle dotandole di una propria fisicità sincera e fragile, vederle nascere come un gioco di prestigio, come un piccolo miracolo, come un disvelamento, come un’epifania. Dalla materia nasce l’arte di Sambati, e dall’arte di Sambati nasce, in questo caso, quella di Schirinzi, in un omaggio fatto di mani al lavoro, di bassorilievi e di ispirazione: arte visiva che nasce dall’arte visiva, quando l’e(ste)tica è un concetto fondamentale, e non un orpello. Sacro e profano si inseguono, dalle figure cristologiche alle esplicite dediche “alla fica”, nella natura oggetto d’indagine e nella profusione di colori, tagli di precisione chirurgica e visioni, del pittore e del regista, del maestro e dell’allievo, dell’innovatore e dell’esteta. Eclisse senza cielo è un viaggio nell’immaginario e nel suo personalissimo sfogo, è la centralità dell’immagine che si insegue dalla tela allo schermo, dalla fissità al movimento, fra ipnosi e talento, manualità e concetto, passione e lucida follia. Il film di Schirinzi è luce e rispettoso silenzio, ma questo silenzio è continuamente interrotto dal rumore della creazione/distruzione, come una sorta di disturbo e al contempo come una vicinanza umana ed etica all’intimità del gesto d’artista, quotidianamente compiuto sempre coerente e sempre diverso nel chiuso dello studio. Il centro sono le mani, i netti colpi di coltello, le dita che si muovono abili, tanto che il volto dell’artista appare solo successivamente, per la prima volta quasi a metà film. Ciò che conta, per Schirinzi, sono le opere, o meglio ancora la manualità che le fa nascere, la passione, l’unicità dei procedimenti e la loro ben precisa collocazione nell’etica della natura, il controllo e la mutazione della materia secondo le percezioni e le emozioni, come occhi e polpastrelli che trasformano il fisico in metafisico, la meditazione in pittura, e ora la scultura in immagini. Non ci addentreremo quindi in eventuali giudizi di merito riguardo i quadri o in generale l’arte di Romano Sambati, in primo luogo perché non ne saremmo in grado, in secondo perché non è quello il punto focale del film – Schirinzi evidentemente stima Sambati, ma Eclisse senza cielo non vuole essere critica d’arte, ciò su cui vuole davvero interrogarsi è l’artigianato, è l’immagine, è la sottrazione, è l’inventiva, è l’atto stesso del plasmare, è la luce, è la manualità, è l’abisso, è la depressione. Forse è la paura, e di sicuro è la memoria. Eclisse senza cielo è un segno del passaggio, è un’unicità filmata sperando forse che diventi tradizione, è un’esplosione di bianchi che si fa quasi sospensione: lo studio trafitto dal sole come una sorta di non-luogo affascinante e metafisico, mentre dai quadri nascono le inquadrature e si rincorrono tecnica e inventiva, manualità e illuminazione, fra il nero più completo e la luce riflessa che ne rende la superficie chiara e brillante come quella di uno specchio. Perché forse il bianco e il nero non esistono, c’è solo quello che vediamo, di volta in volta. Come nel caleidoscopico flicker finale, apertura e negazione, ipnosi, onirismo, in(de)finito, vita, morte. Arte.
Marco Romagna