31 Ottobre 2019 -

DEPRAVED (2019)
di Larry Fessenden

«Ti chiesi io, Creatore dall’argilla, di chiamarmi uomo? Ti chiesi io dall’oscurità di promuovermi?»
John Milton, Paradiso Perduto

Era una notte buia e tempestosa del maggio 1816, “l’anno senza estate”, quando i coniugi Shelley furono convinti da Claire Carmont, sorellastra di Mary e amante di Lord Byron, ad accettare l’invito del poeta romantico a trascorrere qualche tempo nella sua residenza ginevrina. Vuole la leggenda che nelle serate in salotto i letterati e la allora diciannovenne moglie di Percy si dilettassero a leggere insieme i racconti gotici della Fantasmagoriana, fino a quando fu lo stesso Byron a lanciare l’idea di mettersi tutti a scrivere, per puro divertimento, qualcosa che il più possibile scavasse nell’incubo. In quell’estate piovosa si parlava spesso e con sospetto dello sviluppo tecnologico, guardato con timore nel suo inarrestabile progresso, e furono probabilmente i discorsi inquieti del marito e di Byron a scatenare nel dormiveglia della giovane Mary quella paura profonda e quell’idea ancestrale da cui prese forma e corpo la sua Creatura cucita insieme dalla discutibile bioetica del dottor Frankenstein, destinata ben presto, quasi subito dopo la prima e anonima pubblicazione di un paio d’anni dopo, a trasformarsi in mito. Un’incarnazione archetipica, e quindi potenzialmente aggiornabile all’infinito nel corso dei decenni e dei secoli, delle paure e delle diversità, messa insieme da brandelli di cadaveri e trasformata in nuova vita da uno scienziato tanto tracotante nel sostituirsi a Dio e alla natura da manipolare a piacimento l’esistenza e la morte fino alle più estreme conseguenze. Tanto che quella del “moderno Prometeo” di Mary Shelley, passata attraverso James Whale e Paul Morrissey, Kenneth Branagh e, nelle forme della parodia, Mel Brooks, si rivelò ben presto una figura fondante e fondamentale del cinema non solo gotico, e fra i molti anche il poliedrico attore, regista, scrittore, produttore, montatore e persino sceneggiatore/doppiatore di videogiochi fra i volti più noti dell’indipendente statunitense Larry Fessenden, sin dal ’91 del suo No telling, ha sempre avuto e rimesso in scena una fascinazione assoluta nei confronti di Frankenstein. Come composizione sempre nuova di brandelli di morte e terrore, come apologo sociale e campanello d’allarme, come puzzle di carni malconce e di tasselli di immaginario, di storie e di leggende a cui dare nuova forma e nuova esistenza.

Era quindi in un certo modo il più naturale fra i possibili approdi della sua carriera di regista Depraved, rilettura postcontemporanea della Creatura presentata in prima italiana al Science+Fiction Festival di Trieste, nella quale un uomo, dopo un litigio con la fidanzata, viene aggredito e si risveglia, chissà quanto tempo dopo, in un corpo orrendamente martoriato da cuciture e cicatrici che non è più in alcun modo il suo. Senza memoria ma con qualche ricordo subliminale pronto a riemergere nei momenti meno aspettati, accudito dal suo “nuovo padre” straordinario medico disturbato dai disordini post-traumatici bellici e mosso nelle sue ricerche dalla volontà di sconfiggere la morte, e al contempo incastrato nei magheggi industriali e nell’edonismo dello spietato capitalista Polidori (nome non certo casuale e dovuto proprio a quel John Polidori medico e scrittore che avrebbe accompagnato gli Shelley nella loro estate sul lago di Ginevra) che dopo aver finanziato la ricerca ora vorrebbe sfruttare e vendere la conoscenza del segreto della (nuova) vita. Quello che forse non era così scontato aspettarsi semmai, dopo il Wendigo realizzato nel 2001 sotto il Dogma95 di Lars von Trier, ma soprattutto dopo i buonissimi The last winter (2006) e Beneath (2013), era il sostanziale fallimento dell’operazione di Fessenden, che fra troppi scivoloni narrativi – non solo una durata decisamente troppo elevata nei suoi 114′ e la scontatezza di troppi passaggi riguardanti la totale mancanza di scrupoli di Polidori, ma anche più in generale una serie di mancanze di credibilità e di senso a partire dalla necessità di ricucire insieme parti di cadaveri quando il dottore alla ricerca di un’impossibile e tardiva salvezza per chi aveva visto morire in battaglia avrebbe avuto a disposizione intere frotte di cadaveri interi e ancora caldi nella loro recente morte violenta, fino alla bella bionda che al bar inspiegabilmente seduce il mostruoso “moderno Prometeo” per poi tentare di fuggirgli e, nella più contemporanea delle retoriche incel, diventare la sua prima vittima – e ancor di più stilistici – si veda prima di tutto la gestione per lo meno discutibile delle ineleganti animazioni che sovrappongono sinapsi e sangue alle immagini, ma anche le continue citazioni che si affastellano fini a se stesse in un incontrollato miscuglio di stili e di riferimenti fra la mano che esce dalle tombe di Romero e la ginnastica al soffitto del cronenberghiano La mosca – finisce paradossalmente proprio nelle sue troppo ampie ed elevate ambizioni per mostrare tutte le sue debolezze.

Perché la carne – probabilmente mai modo di dire fu più letterale – messa al fuoco in Depraved è tanta, probabilmente pure troppa. C’è, ovviamente e ovviamente interessante, la riflessione sulla contemporaneità e sulle sue nuove possibili declinazioni della Creatura, non tanto nei progressi scientifici quanto nei regressi culturali, etici e morali di una società di tossicodipendenti e di brutali affaristi (e) omicidi, di vittime di guerra e di individualisti perversi, di ingenui e di pescecani, ma soprattutto di sfumature sempre più profonde e inquietanti fra vittime e carnefici (sempre meno visibili come sono sempre meno visibili le cicatrici della novella Creatura) che, quasi sempre, sono a loro volta vittime della società, degli istinti, di un Male ben più grande. C’è, come si anticipava e quasi come se il corpo fatto di brandelli della Creatura fosse in realtà un mosaico di immaginari e di inquietudini, il continuo passaggio dai droni alle go-pro magari piazzate fuori da un finestrino o puntate sul curvare delle ruote anteriori dell’auto, dai campi lunghi ai dettagli delle cuciture, dalle soggettive agli effetti animati delle sostanze, dai fulmini che attraversano lo schermo di Whale alle carrellate verso il ping pong di Forrest Gump, dai dettagli di crescente follia michelangiolesca, vangoghiana e pollockiana delle opere d’arte del Museo fino alle illuminazioni verdastre da neo-noir nell’avanzare della tragedia notturna. Dalle sabbiose desaturazioni dei flashback bellici alla perfetta frontalità quasi larrainiana nella cena del “potere” incarnato da Polidori, dalle atmosfere industriali del magazzino novello ventre materno dove avviene il “miracolo” ai colori psichedelici dei locali notturni in cui (ri)scoprire, dopo l’educazione “sana” di cultura, musica, filosofia, umanità tutt’al più antidolorifici, quella “bassa” degli istinti, della sessualità, dell’alcool e della cocaina, di un desiderio carnale che ormai nemmeno un farmaco talmente rivoluzionario da ridare la vita riesce a tenere a freno. Ci sono i rapporti umani e ci sono i sensi di colpa – del dottore che ha sfidato la natura e continua a sbagliare ogni possibile scelta continuando a fidarsi di Polidori, della Creatura che mai avrebbe voluto realmente uccidere ma non può controllare gli istinti –, ci sono le delusioni amorose e c’è il ritorno, doloroso e terribile, di una memoria strappatagli via insieme alla vita e restituita solo dai nastri, dalle immagini digitali, in un qualche modo dal cinema che documentava la sua creazione, la sua vita e i suoi apprendimenti. Ma rimangono tutte suggestioni più o meno riuscite oppure più o meno fuori luogo, prive del necessario approfondire la metafora, prive della necessaria compattezza stilistica e narrativa, prive dei necessari punti di approdo. Ma forse era inevitabile che Depraved rimanesse sfuggente, ambiguo, a tratti affascinante e a tratti irritante nel suo rivelarsi, a conti fatti, quasi scientificamente non riuscito. Forse era inevitabile il suo non tornare dei conti, il suo lasciare aperte le ferite più profonde mentre i punti di sutura finiscono definitivamente di fissare i brandelli di quelle più superficiali. Forse era necessario il suo sfidare il mito e soccombere al suo cospetto. L’unico modo per tornare alla morte. Quella che l’uomo non avrebbe dovuto mai osare, nell’Ottocento come oggi, sfidare e annullare, per poi vederla riprendersi la sua centralità con tutti gli interessi. Quella che l’umanità, per essere realmente umana, deve saper accettare anche e soprattutto quando dolorosa. Anche a costo di rimpiangere quel potenziale film molto più bello e calibrato che Fessenden avrebbe potuto fare ma che non ha realizzato, che non le avrebbe saputo restituire la stessa centralità.

Marco Romagna

“Depraved” (2019)
114 min | Drama, Horror, Thriller | USA
Regista Larry Fessenden
Sceneggiatori Larry Fessenden
Attori principali David Call, Joshua Leonard, Alex Breaux, Ana Kayne
IMDb Rating 4.8

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