DARKEST HOUR – L’ORA PIÙ BUIA (2017), di Joe Wright
Non si può ragionare con una tigre, quando la tua testa è nella sua bocca!
Winston Churchill
Ci sono film che, se visti in un determinato periodo, influenzano probabilmente la nostra visione. Darkest Hour, nuovo film di Joe Wright appena giunto nelle sale italiane con il titolo letterale L’ora più buia a raccontare della scelta cruciale di Winston Churchill, primo ministro britannico, tra l’armistizio con la Germania nazista o il continuare la guerra fino alle estreme conseguenze, è uno di questi.
Ora, ovviamente, non siamo in guerra, ma abbiamo i nazisti e fascisti di nuovo accanto a noi. Hanno rischiato di vincere le elezioni francesi con la Le Pen, sono al governo in Austria, Polonia e Ungheria, e in Italia, in attesa di partecipare alle prossime elezioni politiche, vengono invitati in tv come fossero normali politici mentre fuori spaccano nasi con testate, si stanno radicando in tantissime scuole e nelle strade tornano a incutere timori. Nel frattempo i benpensanti si offendono perché un comico ha fatto una battuta su Claretta Petacci, la donna di Mussolini, e autorevoli commentatori politici dichiarano apertamente che bisogna dialogare coi fascisti, banditi e messi fuori legge sin dai tempi della Costituzione. Vedendo L’ora più buia, la Storia non può che mischiarsi al contemporaneo, con discorso in realtà simile a quello di The Post, in uscita il 2 febbraio, in cui Spielberg parla della rettitudine della stampa contro Nixon per guardare evidentemente a quel che succede ora con Trump.
L’ora più buia, già dal titolo, ci fa intuire la delicatezza del momento storico. Il primo ministro Neville Chamberlain si è appena dimesso dopo alcune mosse impopolari, come l’ostinazione nel cercare una soluzione politica con il regime hitleriano. Siamo nel maggio del 1940 e Winston Churchill, di recente nominato Primo Ministro, deve subito prendere una decisione fondamentale per le sorti del suo Paese: prendere atto della sconfitta francese e cercare la pace con la Germania, o continuare a combattere, confidando in una pronta riscossa, a partire dal recupero delle proprie truppe accerchiate sulla spiaggia francese di Dunkerque.
Churchill è interpretato da un irriconoscibile Gary Oldman, già vincitore del Golden Globe come Miglior attore in un film drammatico che forse anticipa una probabile candidatura da parte dell’Academy ai prossimi Oscar. Il grande attore inglese ha dovuto compiere una vera e propria trasformazione fisica con tre ore di make-up ogni mattina prima delle riprese e un lavoro estremo anche sul tono di voce. Oldman è molto abile a restituire un’ombra umana a Churchill, un uomo scorbutico ma bonario, testardo ma anche divertente. Ma per fortuna L’ora più buia è lontano dall’essere una scontata biografia di Churchill. Wright decide di raccontare solo quelle importanti settimane che hanno deciso la Storia della Seconda Guerra Mondiale, costruendo una film coinvolgente e pieno di ritmo, molto ironico nonostante sia pieno di dubbi e di non scontati spunti di riflessione. E la descrizione del personaggio di Churchill non è il santino che spesso si legge nei libri di Storia: è utile ricordare che il primo ministro era da tempo uno dei principali esponenti del partito conservatore, e che negli anni precedenti al 1939 rimase sempre dentro al partito nonostante Chamberlain concedesse a Hitler tutto lo spazio politico che poi lo portò alla guerra (l’annessione dei Sudeti e la guerra di Spagna, tanto per dire due dei molti silenzi assordanti della Gran Bretagna). Oldman, primus inter pares in un cast corale che vede al lavoro la grande scuola degli interpreti britannici da Ronald Pickup nei panni di un enigmatico Chamberlain a Stephen Dillane nel ruolo del ministro degli esteri Lord Halifax grande sostenitore di una pace con Hitler, da Kristin Scott Thomas che è invece Clementine, la moglie di Churchill, a Lily James conosciuta in Donwton Abbey con il ruolo di segretaria personale del Primo Ministro, passando per Ben Mendelsohn nei panni di Re Giorgio VI, ci restituisce un Churchill intelligente e molto contraddittorio, al quale non si negano i vizi, soprattutto fumo e alcool, e abitudini stravaganti nella vita privata, mettendo in scena un uomo pieno di inquietudine e con una vena di incertezza quasi inedita.
Tornando a Dankerque c’è da registrare un doppio cortocircuito cinematografico che rende il film molto interessante. Siamo freschi dalla visione del Dunkirk di Nolan, che racconta lo stesso identico fatto storico dalla prospettiva dei soldati sulla spiaggia francese, una spiaggia che qui invece non vediamo mai ma che lo stesso Wright aveva invece filmato in Espiazione, il suo film candidato all’Oscar 2007 tratto dal romanzo di McEwen di pochi anni prima.
L’approccio di Wright è opposto all’epica di Nolan, non ci sono i campi lunghi e i molti silenzi nolaniani, tutto il film è ambientato negli austeri uffici della politica britannica. In questo, L’ora più buia è quasi claustrofobico: non si vede mai l’aria fuori dalle stanze decisionali, e non si guarda neanche il cielo, forse per la paura di veder volare aerei tedeschi sopra la propria testa; anche il mare della Manica lo vediamo solo sulle mappe appese alle pareti dei lugubri uffici, presente eppure lontano dalle stanze della politica. L’unica scena in cui si cambia prospettiva e si mostrano i soldati inglesi a Calais è anch’essa un interno di un monastero che ospita i residui della guarnigione inglese. E a ben vedere anche la scena più straordinaria e commovente del film è ambientata al chiuso e addirittura sottoterra: solo dentro a un vagone della metropolitana Churchill, parlando con normali cittadini che si stanno recando al lavoro, può capire quale sia la scelta giusta da fare.
La parola e il linguaggio del primo ministro inglese sono indispensabili per comprendere un film tutto concentrato sulla sua arte della retorica. Sì, retorica nel senso più alto e originario della parola: il sostantivo è “retorica” ormai considerato una parola negativa, ma deriva invece, è utile ricordarlo, dal greco ῥητορική τέχνη, rhetorike techne, ovvero le dottrine relative all’arte del discorso; il termine greco a sua volta legato al verbo εἶπον, eipon, che significa “parlare”. La traduzione latina più diffusa è ars oratoria, che per i Romani corrisponde perfettamente all’originale greco (tra i molti significati del verbo orare c’era infatti anche quello di “parlare”). “Oratoria” e “retorica” significano quindi per Greci e Romani la medesima cosa, perché la capacità di tenere un discorso davanti a un pubblico è strettamente connessa alle tecniche che regolano il modo di costruire quel discorso; siamo noi moderni a distinguere questi due aspetti, usando il termine “oratoria” per definire il primo e “retorica” per il secondo.
L’ora più buia è tutto dentro la parola, la coprotagonista del film è infatti la segretaria personale Elizabeth che deve battere a macchina tutti i discorsi di Churchill, e già nella prima scena vediamo il primo ministro inglese che in vestaglia e ciabatte sta pensando a come articolare un discorso. Fondamentali sono i diversi “pubblici” che dovranno ascoltare questi discorsi di Churchill: dal più ristretto e combattivo del Gabinetto di guerra, a quelli un più corposi del Governo e del Parlamento, fino ad arrivare a quello composto da tutti gli inglesi che ascolteranno i suoi discorsi trasmessi alla radio.
Con il linguaggio Churchill sarà capace di far comprendere ed accettare al popolo inglese la drammatica scelta che ha compiuto. E a noi spettatori fa anche anche capire come nel giro di poco più di mezzo secolo abbiamo assistito a un impoverimento imbarazzante del discorso pubblico, ormai diventato vuoto e quasi privo di significati. L’ora più buia è un film che ci mostra in modo clamoroso come in Churchill esistesse ancora una relazione diretta fra parola e pensiero, proprio mentre assistiamo ogni giorno a classi politiche “moderne” che hanno prima creduto nelle capacità taumaturgiche della televisione, e che oggi confidano solo nelle potenzialità miracolose dei tweet o dei post su Facebook. Al giorno d’oggi ci si fida della dabbenaggine e della scarsa memoria degli elettori, si fanno promesse mirabolanti, si scomodano parole importanti come dignità, rispetto, futuro, negandone nel contempo il valore con comportamenti per nulla coerenti. Sembra non esserci più quella relazione fra tra termini politici e concetti politici che invece in Churchill appare chiara. Se non altro per questo motivo, Darkest hour è molto semplicemente un film da vedere, essenziale per ricordare un pezzo di storia importante e da leggere in tutte le sue stratificazioni. Fino a sentire anche noi, perché no?, il sigaro d’ordinanza fra le labbra, e il bisogno più ancestrale di lottare ancora contro il nazifascismo.
Claudio Casazza