18 Maggio 2022 -

COUPEZ! (2022)
di Michel Hazanavicius

«Veloce, economico e decente». Autodefinisce così il suo lavoro il meta-regista protagonista di Coupez!, mediocrissimo remake francese di One cut of the Dead – Zombie contro zombie con cui Michel Hazanavicius apre fuori concorso la settantacinquesima edizione del Festival di Cannes. Tre aggettivi in cui per molti versi si annida tutto il paradosso di un’operazione che sin dalla genesi vuole essere opposta, mega-coproduzione dell’industria francese forte di un costoso cast di prim’ordine (in testa Berenice Bejo, ma anche Finnegan Oldfield, Romain Duris, Matilda Lutz, Grégory Gadebois) e figlia di un lungo, e non certo “veloce”, studio a tavolino del film originale di Shinichiro Ueda per replicarne in copia carbone, con pochissime variazioni, ogni intuizione, ogni inquadratura, ogni movimento di macchina e ogni battuta, senza probabilmente nemmeno rendersi conto di starne tradendo il senso, lo spirito, la portata teorica. Da un film realizzato a bassissimo costo con a disposizione poco più di un magazzino, un paio di case, due cineprese digitali dalla pasta vistosamente diversa e uno scalcagnato gruppo di attori, capace di fare della povertà di mezzi la sua forza e un vero e proprio oggetto teorico di indagine, Hazanavicius trae una versione industriale e depotenziata (nel pianosequenza iniziale meno elaborato ed efficace dell’originale ma anche nelle battute, con le mosse di kran maga che ben poco hanno a che fare con la roboante potenza comica dell’indimenticabile «sgusciata pum»), che pur replicando fedelmente la piramide umana che si mette al servizio del cinema non può più ragionare su un basso costo questa volta simulato e non reale, e al contempo non vuole, o forse non sa, ragionare sul senso del remake, sul passaggio da oriente a occidente, o ancora su un mondo della distribuzione digitale live via piattaforme che appare semplicemente come aggiornamento ‘tecnologico’ dello special televisivo originale. Certo, anche in Coupez! (che come il suo film nel film si sarebbe dovuto chiamare semplicemente Z, ma l’invasione dell’Ucraina usando proprio quella lettera come simbolo ha fatto propendere Hazanavicius e la produzione per un discutibile cambio in corsa nel corso delle ultimissime settimane) rimane il discorso già di Ueda sulla realtà e sulla finzione, sulla necessità di improvvisare e sul backstage, sul continuare a girare e sul fuori campo, sul cinema come passione condivisa e come lavoro di squadra. Come pure rimane, nel ripeterne fedelmente la struttura tripartita fra il single shot della commedia horror trasmessa in diretta e senza stacchi nei primi 30 minuti, poi le tappe di avvicinamento da un mese fino a un’ora prima dello spettacolo e infine il backstage che ‘spiega’ tutto ciò che non tornava nella prima parte, il discorso che era già di One cut of the dead sul tempo e sulla sua frammentazione, sul pianosequenza e sul montaggio: elementi intrinsechi dello script originale di partenza, inscindibili dalla vicenda, che non è stato possibile tirare giù dalla torre ma ai quali di fatto nulla si riesce ad aggiungere, e anzi qua e là qualcosa si toglie fra appiattimenti e contraddizioni.

Per far uscire dalla filigrana il discorso sulla triste “necessità” di un qualsiasi cinema percepito dal grande pubblico come esotico – paradossale che questo destino capiti anche al Sol Levante, con la sua industria cinematografica fra le principali al mondo – di essere rifatto anche pedissequamente per arrivare davvero in occidente non basta certo immaginare una committenza nipponica interpretata dalla stessa Yoshiko Takehara del film originale, non basta certo farle dire come in Giappone il film di Ueda sia stato «un gran successo», e non basta nemmeno il brevissimo spezzone del film originale riprodotto dal meta-regista sul tablet per studiare il da farsi. Il rapporto fra i due mondi si riduce a una battuta(ccia) su Pearl Harbor e all’imposizione produttiva di implausibili nomi giapponesi per i meta-personaggi caucasici e francofoni, senza mai andare al di sotto della superficie, senza voler approfondire, e forse senza nemmeno voler realmente affrontare un problema che è sì culturale, ma soprattutto produttivo e distributivo. Del resto, Coupez! di questo problema è un’evidente parte, nel suo stanco e banalizzante ripetere a uso e consumo quasi esclusivo di chi non ha visto il film originale un’opera apparentemente scanzonata e invece estremamente stratificata, finendo per non riuscire a spingersi oltre un mero intrattenimento in realtà nemmeno troppo divertente: un film che nel suo shot to shot perde impietoso ogni confronto con l’originale, e che nei suoi piccoli adattamenti in definitiva ha ben poco, o forse nulla, da dire. Tanto che viene da chiedersi chi, in definitiva, siano i veri zombie. Forse sono quelli romeriani e anticapitalisti che vorrebbe l’attore protagonista del meta-film, costantemente sconfessati dalla meta-sceneggiatura claudicante e dai continui incidenti a cui ovviare sul meta-set. Forse sono quelli della contemporaneità cinematografica che li ha cambiati, in grado di correre e di resuscitare ancora. Forse sono per motivi differenti tutti gli interpreti del film nel film, fra la superstar viziata e ossessionata dalla sua immagine, quella che misura la vita sul numero di follower, quella che non riesce a staccarsi dalla bottiglia e vomita semisvenuto sui propri colleghi, o ancora quella che si lascia vincere dai ruoli che interpreta, perdendo proprio come i non morti la volontà umana. O forse il vero zombie è proprio Michel Hazanavicius, che probabilmente conscio della sua sostanziale mancanza di immaginazione sembra aver deciso di basare più o meno l’intera carriera, fra i falsi 007 dell‘Agente speciale 117, la riproposizione del cinema muto con The artist, la distruzione dell’icona di Godard in quella sorta di vendetta borghese che era Le Redoutable e i due remake (nel 2014 The Search che rifaceva l’Odissea tragica di Zinnermann, ora appunto Coupez! che segue fedelmente One cut of the dead), sulla copia della copia, sul talento altrui, sulla vampirizzazione, o per lo meno sulla forsennata e irrefrenabile ricerca di una sponda a cui appoggiarsi. Finendo in questo caso per prendere un film geniale e, rifacendolo quasi uguale, riuscire nell’impresa di renderlo pressoché nullo. A chi questo possa giovare, e quale possa essere l’utilità di un cinema del genere, ce lo chiediamo oramai da molti anni. Non siamo mai riusciti, per ora, a trovare una risposta.

Marco Romagna

“Final Cut” (2022)
110 min | Comedy | France
Regista Michel Hazanavicius
Sceneggiatori Michel Hazanavicius, Shin'ichirô Ueda, Ryoichi Wada
Attori principali Romain Duris, Bérénice Bejo, Grégory Gadebois
IMDb Rating N/A

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