CORRESPONDÊNCIAS (2016), di Rita Azevedo Gomes

“La vita è lotta tra immagini che non muoiono”

La grandezza del Festival del Film di Locarno sta anche nella sua capacità di far scoprire e riscoprire, in ogni sua sezione dal Concorso Internazionale alle retrospettive più sperimentali, grandi film e grandi autori nelle proiezioni più inaspettate, nei film più insospettabili, nelle visioni più casuali e meno premeditate. Questo è assolutamente il caso di Correspondências, ultimo ambizioso film di Rita Azevedo Gomes, regista portoghese classe ’52 che al suo sesto lungometraggio ha confezionato un gioiello del cinema sperimentale paragonabile a pochi altri film del festival o anche dell’anno. Correspondências parte, sulla carta, come una rappresentazione visuale (di quasi due ore e mezza) dell’amicizia a distanza tra due poeti portoghesi, Jorge de Sena e Sophia de Mello Breyner, lui di Lisbona e lei di Porto, separati dopo l’esilio in Brasile di de Sena causato dalla sua controversa ideologia liberale (ma indipendentista) durante il regime di Salazar. La Gomes sfrutta il testo di base, che altro non è dunque che una serie di missive in cui si discutono la storia del Portogallo, la poesia, il fascismo, l’Europa e la condizione umana, per comporre un collage fatto di cambi di formato, inquadrature fisse di interni spogli e dinamiche riprese in Super 8, personaggi ben definiti dal ruolo simbolico e volti che invece appaiono e scompaiono (tra i quali quello di Boris Nelepo, volto noto tra chi frequenta il Festival o vi lavora). Il risultato conclusivo è un film le cui ispirazioni cinematografiche sono evidenti, da Godard a de Oliveira passando per Straub (ma anche la Akerman), ma la cui operazione finisce comunque per essere assolutamente genuina e anzi emotivamente intensissima: Correspondências è una lunghissima poesia, un sogno, un flusso di coscienza nella coscienza collettiva di due persone distanti.
Ma il cinema può qualcosa che la Storia non è riuscita a portare in vita, ovvero può eliminare quella distanza fisica e renderla attraverso la distanza tra le immagini, tra i formati, i colori e il bianco e nero, con i confronti tra le immagini che si specchiano e si rivedono attraverso gli schermi, con anche due o tre televisori o computer che proiettano tracce video diverse nella stessa inquadratura fissa. La comunicazione viene rappresentata attraverso la non-comunicazione: i silenzi, le persone che parlano (leggendo le poesie e le lettere) e le altre che ascoltano, senza reagire, senza parlare.

Correspondências è anche, banalmente, un’operazione di puro tributo a de Sena e alla Breyner per come mette in immagini non tanto le loro poesie quanto l’intensità dei loro scritti, attraverso i volti di una serie di attori di diverse età e contesti, inclusa la figlia di François Truffaut, Eva. E mentre i poeti parlano del presente, rimane la luce di un futuro che chissà che cos’è e chissà come si potrà risolvere e verificare: tutto brilla, perché la speranza rimane, silenziosa, come una luce, come le invisibili ma onnipresenti poesie di Pessoa; la Storia e il Futuro uccidono la poesia e poi la ricreano, in un ciclo infinito. La bellezza nel film della Gomes non è una bellezza sterile o costruita, ma anzi è una specie di tentativo di recuperare la bellezza delle origini, la meraviglia dello sguardo: dai giocolieri alle statue dell’Antica Grecia, tra la semplicità e il colore, tra le finestre di luce in bianconero sulla Natura (che non è toccata dalla poesia ma è filmata), tra estasi e panico, fino all’origine, la bellezza del Portogallo. E qui c’è il conflitto della storia di un Paese, un Paese che viene filmato e raccontato nella sua lingua e in altre lingue (greco, spagnolo, francese, inglese, italiano…). Un Paese che viene discusso e che, come nel film postumo di de Oliveira Visita o Memoria e Confessioni (1984-2015), viene rappresentato come un luogo chiuso, fatto di sovrapposizioni, analessi, prolessi e flussi vari, ma pur sempre chiuso: la casa di de Oliveira, o anche lo studio di un violoncellista, la cucina di una cinefila che ha ordinato del pesce, il salotto di una famigliola che si guarda le diapositive dell’ultima vacanza e rimane a fissare l’ultima immagine, uno schermo bianco. E il Portogallo viene continuamente paragonato, prima con le parole e poi necessariamente con un gioco godardiano di montaggio, alla Storia di altri due paesi europei: l’Italia e la Grecia. Tra celebrazioni di Eschilo e Omero, con il viaggio di Ulisse come riflesso dell’esilio di de Sena, e invettive contro l’antropocentrismo della cultura rinascimentale e umanista italiana, che ha portato al declino di Venezia e alla morte di Savonarola (in una lunga invettiva contro Firenze che cita anche Dante e Michelangelo), il film continua dunque, anche nell’analisi della storia e della storia della geografia e della letteratura, a sprigionare una passionalità che uccide ogni limite e ogni differenza umana, proponendo un amore disperato per l’umanità, un amore destinato a morire insieme all’uomo.
E poi, l’esilio: non tanto una condizione quanto un luogo, come nota ingenuamente una bambina; ed è il luogo di de Sena com’era il luogo di Gombrowicz o di Zuƚawski, ovvero i cervelli liberi e disordinati dietro Cosmo e Cosmos, il capolavoro di Locarno 2015, in Portogallo; e una location in comune è riconoscibilissima, mentre due ragazze cercano di capirsi e volersi bene ad occhi chiusi, come confermando quel “non c’è più niente da vedere” con cui si conclude l’opera finale del regista polacco. E poi il montaggio del film fa parte del film stesso come a indicare l’esperienza della poesia come parte integrante della poesia; e il film è triangolare per come pone i personaggi in scena, per come fa interagire i piani di realtà e i formati, per come circoscrive in maniera sempre più libera; e le ferite del Portogallo vengono paragonate a quelle del film, a quelle dei poeti, a quelle del Minotauro nel mito. La distanza politica del fiume della poesia è adesso un film, un grande film di sovrapposizioni e luci riflesse: tra l’estasi di Santa Teresa, i dragoni cinesi e “il dolore è evidente quando è libero”, la finestra fisica rimane, quella cinematografica svanisce. E la luce? Rimarrà invisibile, ancora. Oppure possiamo cercarla, tra uno stacco di montaggio e l’altro. Qualcosa di meraviglioso, in un film talmente intenso e complesso, si trova in ogni suo secondo.

Nicola Settis