COME. QUANDO. PERCHÉ (1969), di Antonio Pietrangeli e Valerio Zurlini

La storia di un film, a volte, è come quella del cinema, e se vogliamo un po’ come la Storia tutta: una storia fatta di percorsi accidentati, tragedie, cambi in corsa a volte forzati che spostano il baricentro e il punto di vista. La storia di Come, quando, perché, proiettato alla Sala Trevi nell’ambito della retrospettiva dedicata a Valerio Zurlini dall’undicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, è una storia cambiata per sempre, e nella maniera più tragica possibile, il 12 luglio 1968, quando il titolo era ancora Come, quando, con chi? e a dirigere il film era impegnato colui che lo aveva scritto e concepito traendolo dal romanzo Amour, terre inconnue di Martin Maurice, ovvero Antonio Pietrangeli. Dall’inverno torinese all’estate balneare, buona parte delle riprese erano già state completate e stampate, pronte al montaggio, e al regista romano mancava pochissimo per poter chiudere il film. Ma poi venne, appunto, quel 12 luglio ’68, quel cambio irreversibile, tanto drammatico che anche il titolo del lungometraggio, disperato per la perdita del proprio autore, accantonò ben presto il suo con chi per iniziare a sibilare un disperato perché?. I giornali dell’epoca1, forse per dare maggiore enfasi drammatica alla vicenda, parlarono addirittura della morte di Antonio Pietrangeli durante l’ultima ripresa del film, inghiottito a soli 49 anni dalle acque di Gaeta. Oggi – anche grazie all’intervista concessa lo scorso gennaio da Paolo Pietrangeli, figlio di Antonio e cantautore ribelle, autore fra le altre della celebre Contessa, agli amici e colleghi della rivista online di critica cinematografica Quinlan.it2 – sappiamo che non accadde proprio a Gaeta ma lì vicino, a Torre Scissura, sappiamo che non si trattava dell’ultima ripresa ma di un sopralluogo senza mdp per una delle ultime, sappiamo che in acqua con Pietrangeli non c’erano tre attori ma tecnici fra cui il capo macchinista, anch’egli tradito dallo stesso flutto ma andato a sbattere contro gli scogli solo con una spalla. Lo sfortunato Antonio Pietrangeli, invece, su quegli scogli finì per sbattere la testa, perdere i sensi e in seguito affogare, venendo trovato da una motovedetta solo al calar della sera.

La produzione, ritrovandosi con il film già andato oltre tempo e budget preventivati e non ancora concluso, affidò il compito di terminare riprese e montaggio a Valerio Zurlini, non sapremo mai se per la semplice disponibilità immediata del regista bolognese o se, più romantico ma in definitiva molto meno probabile, per il filo rosso che in sostanza – pur nelle differenze linguistiche, tematiche e narrative – lega le filmografie dei due autori, ovvero la frequente centralità e certosina caratterizzazione dei personaggi femminili. Laddove, da Il sole negli occhi e Adua e le compagne fino a Io la conoscevo bene passando per La Parmigiana, La visita e, perché no, Il Magnifico cornuto, Pietrangeli ha passato tutta la carriera ad amare le donne, dipingendole nei suoi ritratti in chiaroscuro come esseri forti oppure fragili, ma sempre profondamente femminili e ben saldi nella propria pungente e umana dignità, il percorso cinematografico di Zurlini nell’universo femminile appare nei fatti non troppo dissimile, fra Le ragazze di San Frediano e La ragazza con la valigia, fino a trovare la propria apoteosi nel carico di prostitute protagoniste del meraviglioso Le soldatesse. Una centralità femminile che, a dispetto dei flashback del marito e della di lui voce narrante a tenere le fila, è il punto chiave anche di Come, quando, perché, distruzione sistematica dell’aristocrazia dell’epoca e dei suoi arroccamenti morali attraverso il romanzo di formazione erotica di Paola (una Danièle Gaubert forse mai così magnetica e provocante), in grado di ribaltare gli stilemi di un genere quasi per definizione fallocentrico proprio per il punto di vista della sua protagonista, spartita fra la routine altoborghese del matrimonio con Marco (Philippe Leroy), marito in sostanza mai amato, e la bruciante passione per Alberto (Horst Buchholz), inizialmente respinto in un avanzare di tensione erotica che culminerà con la “vera” prima volta di Paola, la prima di giorno, la prima non meccanica, prima che scocchi l’inevitabile dramma quando il desiderio diventerà innamoramento e gelosia, e ci sarà inevitabilmente da scegliere.

Probabilmente non sapremo mai dove finisce il film di Pietrangeli e dove inizia quello di Zurlini, né parrebbero esserci fonti in grado di testimoniarlo, ma quel che è certo è che Come, quando, perché conserva ben riconoscibile il tocco di tutti e due gli autori che si sono (forzatamente) succeduti nella sua realizzazione. È un film di Antonio Pietrangeli, lo è profondamente, nella centralità della figura di Paola e nei suoi ammiccamenti, nei salti temporali che fungono da montaggio analogico e nella lucidità psicologica e sociale nel mettere in scena il ricco Nord Italia – dopo la Lombardia del miracolo economico, ora è la Torino sabauda, fra sangue nobile e vere e proprie dinastie che (in testa ovviamente gli Agnelli-Elkann, che vengono più volte in mente nella messa in scena dei rampolli Marco e Alberto) si ritrovano per diritto di nascita a detenere il potere sociale ed economico –; è un film di Valerio Zurlini, lo è profondamente, nella bruciante passione che scoppia al mare fra Paola e Alberto, nella Cronaca familiare di un tradimento sostanzialmente voluto e scientificamente “non visto” da Marco, e soprattutto nella sequenza del ballo, una delle tappe fondamentali perché Paola possa (letteralmente) spogliarsi dei suoi abiti borghesi per lanciarsi nei flutti della passione. Si potrebbe avanzare l’ipotesi, anzi, che tutta la parte ambientata nella galeotta Costa Smeralda sia attribuibile quasi in toto a Zurlini, e a suffragarla parrebbe esserci l’unica vera incoerenza del film, che al ritorno dall’estate della Sardegna mostra direttamente Torino avvolta dalla nebbia fra le pellicce degli abitanti, come se si fosse saltata a pié pari una stagione, o come se, più semplicemente, i ritardi nella lavorazione e la scarsa pazienza dei produttori non consentissero di aspettare qualche ulteriore mese per andare incontro a una condizione climatica di nuovo coerente. E si torna ancora a quel 12 luglio 1968 in cui Pietrangeli trovò la morte in mare, con tutta la parte invernale già girata e nessuno in grado di dire quanto effettivamente mancasse di quella estiva, né se Zurlini – anche se è improbabile viste le già gravi difficoltà produttive – abbia chiesto e ottenuto di rigirare alcune parti per poter “firmare” il film con la sua poetica.

Ma potrebbe anche essere un caso: non possiamo escludere che effettivamente mancassero pochi ciak per completare le riprese e che Zurlini abbia girato solo quelli, non possiamo escludere che le sequenze così smaccatamente insite nella sua poetica siano state in realtà regolarmente messe in scena da Pietrangeli, e che Valerio Zurlini, trovando una base di partenza così simile alle sue corde, le abbia semplicemente “fatte sue” al montaggio fra canzoni pop di Gianni Morandi e improvvisi sguardi d’intesa. Le nostre sono quindi destinate a rimanere ipotesi, suggestioni cinefile, il gioco del cercare e ritrovare le caratteristiche dell’uno e dell’altro, vedendo chiare le quattro mani che sono al contempo croce e delizia di un film tanto affascinante quanto parzialmente sfilacciato, o forse così affascinante proprio per la sua natura di ibrido fra due autori compatibili quanto differenti, entrambi sommi quanto sottovalutati e troppo spesso dimenticati. Quello che è certo, nella tormentata lavorazione del film, è che il montaggio è stato senza dubbio affidato a Zurlini, e a questo proposito, fra le curiosità che vengono fuori dalla già citata intervista di Quinlan.it a Paolo Pietrangeli, emerge quale sia la (ingiusta) scarsa considerazione tributata dal figlio del principale autore a Quando, come, perché. “Ma soprattutto – dice Pietrangeli jr. – hanno fatto un casino, perché se tu lo vedi sembra un film di un altro, non sembra un film di papà. Lui i film li stravolgeva al montaggio. Per lui quello era un momento della lavorazione altrettanto importante, come e quanto la fase delle riprese e quella della sceneggiatura. Quando montava, i film cambiavano completamente, a volte cambiava anche il senso stesso dei film. Comunque Quando, come, perché è un film che non sembra di mio padre anche per la recitazione degli attori. Adesso, non lo so, magari sarebbe stato un brutto film anche se l’avesse finito lui, cosa che può capitare, però non credo che se avesse potuto finirlo sarebbe stato così brutto. […] Lui avrebbe voluto fare un’operazione molto più complessa, simile a quella che poi tanti anni dopo ha fatto Kubrick con Eyes Wide Shut. Così com’è, invece, le sue intenzioni sono state svilite.3. Ora, riflettendo sul film e su queste dure parole, nemmeno noi sappiamo come sarebbe stato Quando, come, perché se Pietrangeli avesse avuto in sorte il tempo per concluderlo, né riusciamo in realtà a immaginarlo, ma di certo non siamo d’accordo con la definizione di “brutto film”.

Sin dalla simbolica partita di tennis doppio iniziale, Paola mostra tutta la sua auto-repressione attaccando la mercificazione del sesso, le attrici che vedono l’atto di spogliarsi come punto d’arrivo e corona d’alloro del successo, l’impossibilità di un sesso senza amore, senza rendersi conto della freddezza meccanica del rapporto con il suo stesso marito, probabilmente imposto in nozze combinate e d’alta estrazione sociale. Ma da quando Alberto la bacerà in ascensore, provocando il suo piccato sdegno dissimulato però subito con il marito Marco, le sbarre delle gabbie costruite dalla rispettabilità aristocratica di Paola inizieranno lentamente a cedere, per poi esplodere in Costa Smeralda fra desiderio, passione, tradimento e vita finalmente vissuta, mentre i piaceri della carne così a lungo immaginati in un rapporto senza scintille liberano tutta la libido, rompendo la rigida scorza altolocata della signora e facendo per la prima volta emergere la donna. Dove Paola è in vacanza ad aspettare un Marco che non ha la minima intenzione di raggiungerla e cadrà, in un progressivo montare del desiderio che passerà anche dagli istinti saffici di una giovane e bella compagna di viaggio, fra le braccia di un Alberto che la raggiunge millantando un viaggio in Argentina che non ha assolutamente in programma, Come, quando, perché trova il suo cuore nel percorso di (ri)scoperta di una donna che aveva bisogno di “sentirsi un po’ puttana”, fra un lenzuolo stretto fra le dita e un bagno nudi fra le onde approfittando della spiaggia vuota. È la rottura con i dettami sociali dell’alta borghesia, è la distruzione sistematica di un sistema di apparenze e di onore, è l’umanizzazione definitiva che sublima l’altezzosità aristocratica nei corpi, nella carne e nelle passioni. La caduta degli dei, in un film che riporta più volte alla mente Visconti, è questa volta nei costumi, nel desiderio e nella passione, nei tradimenti e nelle bugie, nei salotti patrizi e nelle lenzuola di un letto d’albergo. La relazione continuerà clandestina, fra la volontà di lasciare il marito e la scoperta, quasi inaspettata, di amarlo per davvero, mentre Alberto, mangiato internamente dalla gelosia, deciderà di farsi da parte, dopo aver cambiato per sempre la vita e la sessualità di Paola, tornando a Buenos Aires. E del resto, Marco aveva in un certo senso bisogno di questo tradimento per trovare finalmente sua moglie in quell’intimità mai avuta, e non è certo casuale che il loro definitivo ritrovarsi finale, il loro primo “fare l’amore di giorno” e finalmente con passione, avvenga proprio nella casa (ormai vuota) di Alberto, dove Marco raggiunge Paola senza dirle nulla, come se avesse sempre saputo e se fosse stato in silenzio – o addirittura come se fosse stato lui stesso, spingendo Paola in Sardegna e continuando a rimandare, prendendola deliberatamente in giro, il suo viaggio per raggiungerla, a mettere la moglie nel letto dell’amico e socio in affari.

Del resto, come si evince dal flashback iniziale e da quello che parte quando Marco, mentre Paola è ancora in Sardegna sospesa fra il desiderio e la repressione, va a “trovare” la prostituta, anche il personaggio del marito è perso in un cortocircuito sessuale mai davvero risolto. Dopo la prima volta nel profondo dell’adolescenza, in una notte in cui fece tutto un’amica di famiglia tredicenne ospite nella villa e con la quale di giorno Marco non scambiava nemmeno parola, e anzi la scacciava, la sua vita sessuale è poi proseguita con una sarta, e poi con diverse puttane alternate alla freddezza nel talamo coniugale. Paola dice di lui che sarebbe incapace, in confronto all’amante, di metterci reale passione, ma in realtà è una questione di attrazioni: Marco vuole sesso, non amore, vuole carne, non anima, vuole prostitute, non donne, e infatti saranno proprio il tradimento e la spirale di passione di Paola la vera occasione di riavvicinarsi, scoprirsi, rientrando sì in quella ricca “normalità” della routine altoborghese, ma con spirito completamente opposto rispetto alle rigidità iniziali. Per ritrovare la moglie, insomma, Marco aveva bisogno che qualcuno, in questo caso Alberto, “la iniziasse” ai piaceri, le facesse scoprire la sua vera femminilità, la portasse a un punto di rottura con quella rigida morale con la quale, da buona ricca rampolla, Paola si era formata e stava convivendo. È un ribaltamento de Il magnifico cornuto, se vogliamo, con quello che era il terrore di Ugo Tognazzi pronto a diventare la speranza, o comunque il voltare lo sguardo dall’altra parte, di Philippe Leroy. Al ritorno a Torino e prima della definitiva partenza di Alberto, l’amore fisico fra Paola e l’amante esplicita i suoi limiti, diventando innamoramento e giungendo al paradosso in cui i ruoli saranno ribaltati, con la figura del marito che diventerà in sostanza quella dell’amante e viceversa, come una nuova evasione da una nuova routine, come un cuore da (ri)conquistare lentamente, e stavolta senza freni. E a fare un po’ di luce nella vita di Paola, non potrà che essere paradossalmente il buio del cinema, con il maniaco che la tampina in sala, lei che per un po’ lo lascia fare, ma poi sarà il momento, quantomeno in pubblico, del ritorno a quella morale che credeva di essersi scrollata di dosso a farla scappare di nuovo da Marco, con il quale condivide l’anello nuziale e finalmente l’intimità del vero amore.
Come, quando, perché è un film al contempo profondamente erotico e politico, in cui però l’erotismo non sta tanto nei centimetri di pelle scoperta, che comunque non mancano, quando negli sguardi, nell’incrocio delle labbra, nei dettagli che vanno sulla seduzione e sul piacere, mentre la pudicizia vola via infrangendo in un triangolo amoroso, che a tratti tende al quadrilatero, il mondo dorato di una Torino bene pronta a passare dalla frigidità al desiderio, dall’etica ai sensi, dall’insoddisfazione all’ardore. Come, quando, perché sono i fuochi d’artificio che Paola vede fuori dalla finestra, la tensione erotica ormai sempre più forte, la vestaglia che cade a terra, lasciando il suo corpo per la prima volta esposto alla luna, in attesa che arrivi la telefonata galeotta. “Ti raggiungo subito in camera”, ed è nata una donna.

Marco Romagna

1 “Un’ondata l’ha sbattuto sulla roccia e Pietrangeli è scomparso fra i flutti”, in L’unità, 13 luglio 1968 http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t=ebook&file=/archivio/uni_1968_07/19680713_0003.pdf&query=C.Pu.

2 “Intervista a Paolo Pietrangeli”, Alessandro Aniballi, Raffaele Meale (a cura di), in Quinlan.it, 9 gennaio 2016 http://quinlan.it/2016/01/09/intervista-a-paolo-pietrangeli/

3 “Intervista a Paolo Pietrangeli”, Alessandro Aniballi, Raffaele Meale (a cura di), in Quinlan.it, 9 gennaio 2016 http://quinlan.it/2016/01/09/intervista-a-paolo-pietrangeli/