CLIMAX (2018), di Gaspar Noé
Gaspar Noé vuol provocare, e questo è un fatto non di oggi. Passato alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes 2018, la sua ultima fatica Climax non fa eccezione, e subito è stato bollato come uno degli scandali del festival. Niente di imprevisto: Gaspar Noé si muove da sempre su tali intenti, e il gioco è diventato talmente prevedibile che a questo punto lo scandalo semmai sarebbe vederlo presentare un film quieto, classico e pieno di pudore. Climax ripresenta l’autore che conosciamo, fedele alla sua ricerca audiovisiva, avvitato intorno ai soliti virtuosismi di macchina da presa e al presunto shock audiovisivo. Però, un primo dato: sarà che ormai gli spettatori del 2018 sono rotti a qualsiasi esperienza, ma riuscire a fare scandalo con sesso, droga e violenze varie è davvero impresa ardua. Per cui si esce dalla visione di Climax un po’ storditi e pure affascinati, ma di certo nessuno potrà scuotere il parruccone nell’indignazione. Anzi, è più facile che ci scappi pure qualche mezza risata. Più in generale, lo scandalo al cinema è sempre più apprezzabile quando scaturisce dal linguaggio, non certo per la presunta materia indicibile alla quale si concede la messinscena. Anche perché, come dicevamo sopra, di veramente indicibile sul piano della materia narrativa non è rimasto più niente, e forse le uniche strade ancora valide verso l’indicibilità scandalosa sono appunto quelle che portano alla ricerca sul linguaggio, o alla sua variazione, distruzione, rifondazione.
Sotto tale aspetto, Gaspar Noé potrà cercare quanto vuole di inebetire e sedurre il pubblico, ma nonostante le evidenti e scatenate ambizioni non dice proprio niente di nuovo. Il lavoro sul lungo piano-sequenza resta, la cura maniacale su luci e cromatismi altrettanto, così come la scaltrezza nell’uso della musica (qui praticamente ininterrotta e giocata su variazioni “a lungo termine”). Ma un autore seriamente provocatorio adotterebbe innanzitutto un maggiore rigore, forse l’unico strumento possibile per dare vita a un vero “scandalo del non visto”. Malgrado il tour de force audiovisivo a cui sottopone il pubblico, Climax non lascia mai l’impressione di una ricerca morale e necessaria sull’immagine, non si avverte una motivazione profonda, né si respira il minimo rigore non tanto esecutivo, ma concettuale. Così come, se l’ispirazione provocatoria fosse genuina e sorretta da vera coerenza, difficilmente si potrebbe incorrere in momenti di ridicolo involontario. In Climax, tanto per dirne una, la ragazza che si spaventa di se stessa davanti allo specchio è goffa ed esilarante, e romperebbe anche la più volenterosa delle immersioni dentro un universo finzionale. Mezza sala ride, e finisce la festa, non si crede più a niente. È l’episodio più macroscopico di un generale eccesso che più volte tira la risata, a cominciare dal frusto giochino sui titoli di coda messi in testa, le enunciazioni a caratteri cubitali, titoli e nomi degli attori a metà film, che non sembrano avere mai reale motivazione se non quella di cercare una distruzione di norme codificate tramite i mezzi più facili, immediati e privi di profonda riflessione. Provocazione di riporto, orecchiata e rimessa in scena affidandosi per lo più al virtuosismo tecnico. Ma il piano-sequenza, per quanto ammirevole, non può giustificare tutto, non può contenere in sé una sorta di viatico al vuoto.
Evocando un’ambientazione anni Novanta, durante una prova generale di un gruppo di ballerini che si trasforma poi in una sorta di rave party sempre più violento e allucinato, Gaspar Noé sembra anche conservare un’idea della provocazione puramente adolescenziale, da “prima scoperta del turpiloquio” (il dialogo tra i due ragazzi neri), che il mondo intero ha scoperto ormai già da decenni. In sostanza resta il sospetto dello scandalo costruito su un proprio originario moralismo più o meno cosciente, poiché solo un moralista può concepire una provocazione a tavolino tutta giocata sull’infrazione di tabù audiovisivi che ormai non esistono più. Così semmai il primo e unico a scandalizzarsi di Climax pare essere lo stesso Gaspar Noé, costantemente compiaciuto della propria messinscena. Giocato su un’infinita e intrigante scansione di corridoi, figure che si rincorrono, si urlano, si aggrediscono, più volte Climax si apre all’esibizione del movimento della macchina da presa, fino ad arrivare al capovolgimento del frame. Ma, di nuovo, se si trattasse di un’indagine sulle infinite possibilità della rappresentazione cinematografica, basterebbe assai meno. Il soggetto, la materia narrativa sulla quale lavorare, potrebbe ridursi al minimo. Trovando un correlato nel mondo della pittura, basterebbe lavorare alla pura e semplice raffigurazione di una cattedrale, traslando Claude Monet negli strumenti del cinema. E invece Gaspar Noé vuol esasperare la macchina da presa, renderla evidente, sovrabbondante, asfissiante, distorcerla, enfatizzarla, gettarla in faccia al pubblico. L’unico vero atto di violenza condotto da Climax è sulla stessa macchina da presa, che però si applica a una materia audiovisiva ingombrante ed eccessiva, e sostanzialmente “vecchia”. Nessuno scandalo, nessuna novità che taglia in due l’occhio. Ma provocazioni stantie, fuori dal tempo, prive di profonda e sincera sostanza morale. Così il film è a suo modo indubbiamente divertente, ma in modo molto più epidermico di quanto il suo autore pensi.
Massimiliano Schiavoni