Bruce McClure, in continuo moto tra luce e tenebra
“After all, wreckage is often more interesting than structure”
Bruce McClure
All’interno degli omaggi che ogni anno il Festival di Rotterdam dedica al cinema sperimentale ed all’avanguardia, questo gennaio senza dubbio lo spazio più ampio è stato dedicato giustamente alla figura di Bruce McClure. Personaggio emblematico ed anarchico, costruttore e distruttore delle sue stesse immagini in potenza, inizia ad essere realmente considerato come uno dei più fondamentali seguaci delle radicali sperimentazioni sulla percezione, come Peter Kubelka, Ken Jacobs e Hollis Frampton. Lavora alle radici dell’immagine, alle prima fondamenta possibili, il bianco ed il nero; lo scheletro sono i loop per proiettori 16mm, modificati con configurazioni stroboscopiche atte a fornire una distorsione di percezione legata alle interpretazioni soggettive. Lo stesso materiale che produce questo sfarfallio multistrato è la stessa base della colonna sonora che McClure modula con pedali di effetti in diretta creando un tappeto disorientante di rumori ripetitivi che continuamente evolvono.
Come detto, non è affatto facile spiegare il lavoro sulla fisicità filmica dello stesso Mc Clure, ed ancora più difficile è definire l’esperienza straniante e sconvolgente che lascia sullo spettatore. Nel caso delle proiezioni di Rotterdam il programma è stato suddiviso il due parti: le otto OBR del Lantaren Venster e la lunga e complessa installazione Courting Daylight in Saving Darkness al Witte de With. Le OBR (Opposition Brings Reunion) sono state pensate come eventi live di condensazione, in ottanta minuti, dell’opera omnia di McClure pensati e descritti in note a mano dallo stesso autore, in cui il senso percettivo doveva essere quello della comprensione e dell’assorbimento dell’immagine, attraverso incandescenze, ombre e flussi di emulsioni. La percezione è quella della durata di grandezza in uno spazio, in cui gli oggetti appaiono e scompaiono sovrapposti, come burattini sottomessi al ritmo ottico del suono sincronizzato alla loro comparsa. La teoria è quella dell’orbita con ogni ciclo di proiezione caratterizzato da momenti temporanei e ricorrenti, spezzati da interferenze che creano nuovi scenari proiettivi nell’occhio, generando immagini tridimensionali persistenti nel tempi, dato uno spazio. L’istallazione Courting Daylight in Saving Darkness è invece una personalissima ricontestualizzazione dell’Interior With A Woman At The Virginals di Emanuel de Witte. Lo stesso McClure lo definisce un viaggio nella propria selva oscura della mente fatta di segni sul muro, riscoperta del chiaroscuro, materiali espansi, camere di rifrazione e monitor. Tutto alla ricerca di una possibile prospettiva di luce in un buio primitivo. Una complessa e metafisica camera oscura in cui il punto di fuga non è altro che la riappropriazione stessa dello sguardo, dove lo spazio è necessario per il funzionamento costruttivo di similitudini e differenze, mentre il tempo è quello in cui bisogna abbandonarsi ed aver fede (al di fuori di ogni possibile imposizione del consumo stesso di un immagine).
Il cinema di McClure si definisce realmente come esperienza unica, un atto che si consuma nella sua esperienza continua ed indefinibile, che si brucia continuamente nella luce come nell’oscurità, che si sublima in un suono vorticoso e astraente. Lui stesso gioca e continua instancabilmente a sperimentare immerso nelle immagini e nei rumori primordiali dei suoi proiettori, senza ben sapere quale sarà il risultato del suo abbandonarsi all’ignoto della percezione. Si muove tra il barocco ed il minimale alla ricerca di uno spazio nuovo, ma allo stesso tempo di una rivisitazione stessa della caverna platonica in cui cercare per l’ennesima volta la luce. Para/pre/proto/post-cinema che possa essere, tutto ciò minimamente non interessa a McClure perché lui, da inguaribile romantico, sa benissimo che l’immagine che va cercando è in continuo divenire, sfuggente come quelle particelle che dovrebbero raccontarci l’origine del mondo. E il suo viaggio, in fondo, non è altro che un viaggio all’origine dell’immagine in cui i nostri stessi sensi sono chiamati a reagire ed intervenire, quasi in automatismi psichici puri che possono aver a che fare solo con l’istinto. Tutto ciò che ho scritto è anche troppo, non avrebbe davvero senso continuare. Per chiudere posso solo invitarvi ad una proiezione di McClure perché è davvero uno di quei momenti che possono liberare i nostri occhi da quel magma pornografico di immagini quotidiane a cui siamo bersagliati; ci servono occhi puri per riuscire a guardare il mondo, con il rischio di bruciarci le retine, ma con il bisogno ed il dovere di andare ancora una volta nel buio, a cercare la luce.
Erik Negro