BLACKkKLANSMAN (2018), di Spike Lee
Percorso a zigzag, quello di Spike Lee nel cinema. Risalgono ormai a circa 30 anni fa le sue prime opere che presentarono al mondo un autore black e arrabbiato, del tutto dedito alla causa della travagliata storia del popolo afroamericano. Piaccia o meno, Spike Lee ha comunque il merito di aver fatto largo a una generazione di filmmaker di colore e di aver alzato nettamente la visibilità della storia afro nel cinema statunitense. Lo testimonia il fiorire di autori che dagli anni Novanta in poi hanno seguito le sue orme (tra i più lontani nel tempo, viene in mente John Singleton, a suo tempo osannato per il sopravvalutato Boyz ‘n the Hood, 1991; tra i più recenti, l’ottimo Ryan Coogler di Prossima fermata Fruitvale Station, 2013). Spike Lee ha spesso dato vita a un cinema prendere-o-lasciare; o ci piace il suo afflato totalmente polemico, didascalico, ricattatorio, spesso retorico, infiammato e senza filtri, oppure meglio cercare altrove. In realtà con gli anni Spike Lee ha saputo anche diversificare il proprio cinema, mettendo ogni tanto da parte le strette questioni all black (vedi lo splendido La 25a ora, 2002) e scegliendo di confrontarsi anche col cinema di genere (Inside Man, 2006), senza evitare purtroppo anche qualche sonoro tonfo (Miracolo a Sant’Anna, 2008). Adesso ritorna in concorso al Festival di Cannes 2018 con un’opera che sembra conciliare due di queste tendenze. BlacKkKlansman torna infatti a dedicarsi alla storia dell’emancipazione afroamericana, cogliendone uno dei tanti passaggi drammatici tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta. Tuttavia, BlacKkKlansman è anche un film puramente di genere, che pure omaggia palesemente il cinema della blaxploitation anni Settanta. Una sorta di “gioco serio”, in cui l’afflato storico e polemico resta intatto ma al contempo resta evidente la voglia di scherzare un po’ col cinema dei tempi andati, tra ampie pettinature, split-screen e rievocazioni del detective Shaft e relativi epigoni.
Come sempre, il discorso di Spike Lee vuol essere storico e contingente, nel tentativo di legare il passato americano di ieri al presente di oggi come una catena consequenziale. Anche, soprattutto, per raccontare che l’America non cambia mai, il razzismo rimane, o quantomeno è pronto a risalire dagli anfratti non appena trova le condizioni favorevoli (la chiusura con i fatti di Charlottesville del 2017, e le relative folli dichiarazioni di Donald Trump, ne sono la dimostrazione: tutto questo, paradossalmente, dopo due mandati storici di presidenza affidata per la prima volta a un uomo afroamericano). Vi è da rilevare comunque che stavolta Spike Lee si tiene decisamente lontano dalla retorica pesante e pedante. Aiutato in questo dalla globale struttura di genere, BlacKkKlansman cerca di veicolare i propri contenuti tramite una storia vera d’azione e indagine sul mai domo Ku Klux Klan, che pure sul finire degli anni Sessanta continuava a mietere invasati sostenitori sotto l’egida del temibile David Duke. E non sarà un caso se proprio un redivivo Duke ricompare sul finale a commentare positivamente l’operato di Trump. In sostanza, la struttura di genere veicola contenuti che in tal senso non hanno bisogno dell’affermazione perentoria e gonfia di retorica.
Le premesse di BlacKkKlansman sono anche molto buone: tutto fondato su un gioco di maschere tra due poliziotti, uno nero e uno bianco (ebreo, quindi a sua volta a rischio di razzismo), che si ritrovano a indagare sotto copertura in un miscuglio di false identità, il film si avvia secondo collaudate modalità di spettacolo intelligente, ben interpretato e capace di dare voce alla storia tramite convenzionali linguaggi cinematografici. Tuttavia, è pur vero che le buone premesse si spengono dopo la prima ora. In primo luogo non giova alla credibilità dell’insieme il disegno di alcuni dei personaggi affiliati al nuovo Ku Klux Klan: alcuni troppo cattivi, altri troppo stupidi, altri ancora affidati a plateali caricature fisiognomiche, tutti in sostanza ridotti alla credibilità di cattivi da fumetto. Poi, subentrano chiari problemi di sceneggiatura. Spesso l’indagine sembra troppo facile, i due protagonisti che indagano sotto copertura si trovano sovente in situazioni dove potrebbero essere scoperti in un secondo e se la cavano invece con appena due battute. In più, per spingere sull’acceleratore dell’intrigo e del pericolo per gli eroi, Spike Lee li chiude forzatamente in un’unica situazione narrativa in prefinale, dove per il bene dell’indagine è assolutamente illogico che siano entrambi presenti nello stesso luogo e momento. La sottotrama sugli estremismi dei movimenti black facenti capo a Stokely Carmichael è invece inspiegabilmente abbandonata per strada, dopo aver costituito il vero e proprio avvio del racconto. E per finire, un laboriosissimo piano di lavoro sotto copertura partorisce letteralmente il topolino; dopo più di 2 ore di attesa, la resa dei conti avviene per strada e per un patetico tentativo di creare disordine da parte del Ku Klux Klan.
I problemi di sceneggiatura sono dunque tanti, e rovinano non poco un buon lavoro di ricostruzione storica condotto oltretutto con l’utilizzo della pellicola che conferisce ulteriore intensità alla rievocazione del passato. È un peccato, vista la forza del soggetto e anche il bisogno, purtroppo mai saziabile, di raccontare storie “altre”: le storie di chi ha sofferto per l’affermazione di sé e ha dovuto vivere nella rimozione. Resta comunque a favore del film quella parentesi quasi extradiegetica dedicata all’apparizione di Harry Belafonte, che rievoca il linciaggio di Jesse Washington avvenuto nel 1916. Emozionante a prescindere, di per sé, anche senza bisogno di legarla al resto del film. BlacKkKlansman resta dunque primariamente cinema di genere, ma il cinema di Spike Lee è anche questo: ibrido, multiforme, talvolta magari pure informe, che assomma furiosamente linguaggi diversi, tutti piegati a un unico scopo di militanza e testimonianza. La sostanza resta sempre importante. L’equilibrio delle opere, purtroppo, non è sempre garantito.
Massimiliano Schiavoni