BELLA E PERDUTA (2015), di Pietro Marcello
“I sogni e le fiabe, anche se sono irreali, devono dire la verità”. È per questo che il trentanovenne regista casertano Pietro Marcello, di ritorno al lungometraggio sei anni dopo la vittoria al Torino Film Festival con La Bocca del Lupo, affida la narrazione del suo straordinario Bella e Perduta, in concorso a Locarno68 e fortissimo candidato ad un qualche premio, ad un bovino. “Ho imparato a guardare l’Italia contemplando il suo paesaggio dai treni -scrive lo stesso Marcello nelle note di regia- riscoprendo di volta in volta la sua bellezza e la sua rovina. Spesso ho pensato di realizzare un film itinerante che attraversasse la provincia per provare a raccontare l’Italia: bella, sì, ma perduta. Anche Leopardi la descriveva come una donna che piange con la testa tra le mani per il peso della sua storia, per il male atavico di essere troppo bella. Quando mi sono imbattuto nella Reggia di Carditello e nella favola -perché di favola si tratta- di Tommaso, “l’angelo di Carditello”, il pastore che con immensi sacrifici ha deciso di dedicare tanti anni della sua vita alla cura di un bene artistico abbandonato, ho visto una potente metafora di ciò che sentivo la necessità di raccontare: dopo la morte di Tommaso, prematura e improvvisa, Bella e Perduta – nato inizialmente come un “viaggio in Italia” destinato a toccare altre tappe – è diventato un altro film, sposando fiaba e documentario, sogno e realtà. Carditello è l’emblema della bellezza perduta e della lotta del singolo, dell’orfano che non si arrende a un meccanismo incancrenito di distruzione e disfacimento; e allo stesso tempo questa storia così radicata nella Storia del nostro Paese indaga un tema, quello del rapporto tra uomo e natura, mai così universale, a ogni latitudine”.
Sognante favola poetica e politica girata in un 16mm di potenza visiva ed emotiva abbacinante, in grado di rivelare ancora una volta l’assurdità del confine fra fiction e documentario, Bella e Perduta si configura in primo luogo come un’efficace allegoria dell’Italia di oggi. Frutto di diversi anni di riprese e di uno script totalmente stravolto dopo la prematura morte dell’angelo di Carditello Tommaso Cestrone, il film rivela sin da subito come l’Autore si sia concentrato, nel corso di questi sei anni, a trovare la propria definitiva maturità, compiendo uno scarto formale dal proprio lavoro precedente quasi impensabile. Conosce molto bene il linguaggio cinematografico, Marcello, e in questo lungo tempo ha imparato a domarlo, stravolgerlo, ricrearlo e farlo suo, fino al risultato sorprendente dinanzi al quale ci stiamo togliendo il cappello. Nato come documentario itinerante sulle bellezze contaminate d’Italia, seguendo il pastore resistente e sognatore ed il suo bufalo Sarchiapone, Bella e Perduta diventa ben presto uno spaccato sublime della realtà rurale non solo campana, e il bufalo diviene simbolo dell’Italia stessa, tradita e abbandonata ma di un’espressività ancestrale, fra la freddezza di esseri (dis)umani disposti a seguire solo la logica della propria pancia, dimentichi di quella del cuore. La storia del Cinema è strana e a volte crudele: la scomparsa del protagonista durante le riprese è dolorosa, ma porta, paradossalmente, all’idea geniale sulla quale Bella e Perduta trova forma definitiva. In un’originalissima commistione del documentario con la più pura fiction, anzi addirittura con la fiaba, Pietro Marcello affida proprio a Sarchiapone il compito di raccontare la propria storia, con la collaborazione della figura più tradizionale che ci sia. Pulcinella, si sa, è la più nota maschera campana, simbolo stesso di Napoli, ma la sua origine è precedente e risale agli Etruschi, per il quale era il tramite fra i vivi e i morti. Ascoltando ed esaudendo l’ultima richiesta di Tommaso, facendo richiesta in carta bollata perché a Sarchiapone venga donata la parola, Pulcinella continua il viaggio verso nord iniziato dall’amico.
La distesa di bovini bruca l’erba, ed è paradossale come risieda proprio nelle mucche e nelle bufale il maggiore vagito di umanità. I loro sguardi strabordano emozioni, comunicano i più profondi sentimenti, incarnano quella purezza che l’uomo sembra avere ormai perduto. Il loro rifiuto di salire sul carro che li porterà al macello è più forte di qualsiasi comunicazione verbale, la loro paura è la nostra rabbia. Siamo nella terra dei fuochi, quella dove “la camorra ci protegge, è lo stato che ruba”, siamo in una realtà rurale fatta di simbiosi fra l’uomo e la natura, ma anche di rifiuti depositati illegalmente e di allevamenti spesso intensivi. Siamo in una realtà che sta inizando a ribellarsi a troppi anni di silenzio e putrescenza, scintilla dalla quale cambiare la società. Pulcinella è la creatura fiabesca che può creare il tramite per ascoltare la storia di Sarchiapone. Cammina per la strada ed entra nelle case della gente, tutti lo salutano e gli vogliono bene. Ma, durante il viaggio, al contatto con gli esseri umani anch’egli cambia, si umanizza progressivamente, fino alla decisione di togliere la maschera e di vivere nel mondo reale. Da questo momento, con la rinuncia alla fiaba, smettiamo di sentire la voce del bufalo, ma vediamo i suoi occhi venati da una lacrima. La scelta di Pulcinella è atavica e politica, l’addio al mondo fatato in virtù di una realtà ingiusta è la scelta di scegliere, come prima di lui Tommaso Cestrone aveva deciso di sacrificarsi, lavorando gratuitamente per ribellarsi all’incuria di uno splendido luogo e alla camorra.
A undici mesi dalla prima veneziana del capitale Belluscone di Franco Maresco, il cinema d’autore italiano si arricchisce di un’altra perla preziosa, al pari del capolavoro mareschiano nato nella geniale forma definitiva dal triste aborto di un altro progetto. Bella e Perduta, con una grazia di frammartiniana memoria, ribalta i concetti di uomo e animale, trovando nella natura l’unico interlocutore disinteressato e nella fiaba il terreno sul quale muoversi per raccontare la realtà. È un film vitale e di una libertà assoluta, coraggioso nelle forme e profondamente politico. La vena animalista non si riduce mai ad uno sterile pamphlet, ma anzi suscita un’ancestrale empatia con il bufalo e la sua storia, trattata con il rispetto che si deve ad un amico e ad un eroe. La vena politica, al di fuori di pochi secondi di manifestazioni contro la camorra, inseriti come un flash (del resto Marcello ha sempre dimostrato di trovarsi a proprio agio con il footage), non esce mai al di fuori dell’allegoria, rifiutando qualsiasi forma di retorica ed anzi esaltando la portata poetica del film. Perchè “i sogni e le fiabe, anche se sono irreali, devono dire la verità”, e la figura di Tommaso Cestrone meritava questo doveroso quanto eccezionale omaggio. Chapeau.
Marco Romagna