Erik negro, classe novanta (probabilmente dell'ottocento, con un vigo di mezzo), è uno dei più grandi sportivi televisivi del nuovo millennio. nato in bass(issim)o piemonte da padre senniano fotografo depresso e dolcissima madre da serie tv - rinato in whitman -, crede ciecamente in jagr, frank, kerouac, pollock, come in godard e pensa che il mondo inizi e finisca tra il brakhage più scomposto ed un bootleg dei floyd. cresciuto dylaniato tra le vele di peter blake e i ganci di mc rae, l'hundschopf di bode miller e i diaciannovetrentadue di michael jonhson, si occupa di immagini (o meglio - e peggio!! - ne è occupato). dopo antiaccademici studi filosofici, trova il respiro nella semiotica del brutto, del deformato, dell'urgente e del vivo. trova hitchcock, kubrick e tarantino terribilmente inutili e si perde nell'umana sofferenza di dwoskin. malinconico e (in)felice, (in)soddifatto e romantico, sperimentale e fumatore, provinciale e cosmopolita da anni gira il mondo per festival a caccia dell'ultimo posto del mondo da filmare e restituire, alla scoperta dell'ultima memoria d'umanità. non è mai stato capace a vivere, spera di riuscire a vedere (ed insegnare) quello che non c'è, le ombre delle cose. gli piace troppo guardare per non lasciarsi annegare dalle stesse immagini. grazie all'alcol, ed all'abbandono malinconico di tempi e spazi, sta (non) montando - con la sorellina acquisita - un (non) film sulla sua vita di ore, giorni ed anni. come tutti crede di amare non sapendo se qualcuno lo abbia mai amato. pensa che si possa fare cinema dallo specchietto retrovisore dell'auto, e per quello non ha la patente. da uomo (?) di passaggio, trozkijsta di profonda solitudine, sempre fuoriorario, vive disperso sperando in genova, marsiglia e lisbona e spera di non camminare mai solo. p.s. meglio lasciarsi che non essersi mai incontrati, in un atlante sentimentale della vita, del cinema, di un'olimpiade.