AUDITION (1964), di Miloš Forman
Visto retrospettivamente, quel Konkurs – Audition che, da opera seconda e indipendentissima, iniziò a far notare Miloš Forman come promessa della cinematografia, è prima di tutto la genesi di una lingua filmica, un momento essenziale nella definizione dei caratteri che saranno propri della miracolosa Nova Vlna e specifici della prima parte, ma non solo della prima parte, della carriera del regista. Presentato nell’ambito della retrospettiva tributata al cineasta ceco dal 35mo Bergamo Film Meeting, Audition sarebbe originariamente dovuto essere alla stregua di un gioco fra amici, un esperimento, una sorta di documentario muto sulle audizioni per un posto da cantante femminile in quello che, nella Praga del tempo, era il più noto e frequentato teatro, il Semafor. Ma quando Forman e i suoi compagni di studi al FAMU si resero conto che, sul palco, il microfono riusciva a cambiare totalmente il modo di fare delle ragazze, tirando fuori la loro voglia di apparire e la loro timidezza, la loro capacità di mentire e il loro sguardo già proteso verso i sogni di (vana)gloria, la loro avidità civettuola e la loro fragilità, capirono subito come in quegli ambienti reali, con l’ausilio del sonoro e di una linea minima e tratteggiata di scrittura e messa in scena, una trama esile affidata ad attori non professionisti con licenza di improvvisare mettendo in scena loro stessi, potessero emergere non solo la dissolutezza e i punti di forza di una gioventù che iniziava a non poterne più delle oppressioni moscovite, ma anche come l’ironia e quella faccia tosta propria dei giovani degli anni Sessanta potessero virare in assurdo quella che era la tragicità del quotidiano: era nato, in sostanza, il cinema caustico e politico di Miloš Forman.
Forman, dice la leggenda, rimise in scena un nuovo concorso, questa volta simulato, filmandolo con la sua cinepresa personale, una Pentaflex 16mm, e registrando il suono senza possibilità di successivi doppiaggi con un (già) vecchio registratore Grundig, raccogliendo centinaia di metri di materiale non catalogato e senza nemmeno un ciak a disposizione, dettaglio che di sicuro non rese divertente il momento del montaggio e della sincronizzazione. Ma, al di là delle difficoltà tecniche nel portare il cortometraggio a termine, il materiale piacque molto ai produttori che lo visionarono, tanto da convincerli a commissionare a Miloš Forman un altro corto, per il quale avrà questa volta a disposizione attrezzatura professionale in 35mm con sonoro incorporato – e avrà anche l’intelligenza di scegliere una grana pesante che potesse rendere il nuovo materiale raccolto perfettamente compatibile con il gonfiaggio del 16mm precedente – da collegare e attaccare al primo, in modo da distribuirli come lungometraggio a episodi. In questa seconda – che poi, nella versione finale del dittico, diventerà la prima – parte, sarà ancora il rapporto fra i giovani e la musica il tema affrontato, questa volta negli ambienti (paesani ma nominalmente) più colti della classica e delle orchestre, fra prove disertate e direttori iracondi, fra gli errori di chi suona e la passione giovanile per le corse, per la terra, per il fango alzato dalle moto.
Ideato, scritto e girato dopo, l’episodio d’apertura del film Se non ci fosse musica diverrà il cuore pulsante metaforico, quello in cui i direttori d’orchestra parleranno espressamente della necessità dei giovani per far vivere la musica e di come sia il sentimento e non il pentagramma ciò che deve venire fuori dagli strumenti a fiato, quello in cui i giovani cacciati dalle rispettive orchestre per aver assistito, separatamente, alla stessa gara di motociclismo nel gran giorno del concerto riusciranno a scambiarsi il posto ritornando soddisfatti allo status quo, quello in cui l’esuberanza adolescenziale sarà premiata; mentre Audition, l’audizione vera e propria, rimarrà il lato più amaro e umano, quello della sconfitta, quello in cui, nell’alternarsi di ragazze di ogni tipo, estrazione e cultura, l’unica cantante semiprofessionista avrà una crisi a metà fra la timidezza e l’ansia da prestazione non riuscendo ad emettere alcun suono e abbandonando il provino, e la tenera estetista “fuggita” dal posto di lavoro per sbattere il muso contro un sogno infranto senza perdere l’ingenuità di chi ancora chiede autografi a chi l’ha scartata sarà costretta, per salvare almeno parte della faccia, a continuare a mentire al suo capo dicendo di avercela fatta.
Dittico cinematografico che segue i due canovacci prendendosi amabilmente gioco sia dei giovani che alle attività lavorative non dimenticano di affiancare la propria esuberanza e la loro, anche legittima, voglia di seguire le passioni e cazzeggiare come età impone, sia di quelle vecchie muffe radicalizzate nella società del tempo contro cui Forman non mancherà di scagliarsi in più occasioni fra le quali spiccherà Al fuoco, pompieri (1967), Audition è pura libertà cinematografica, è vitalità straordinaria, è lo studio di un linguaggio che si radicalizzerà nell’arco di pochissimi anni e che verrà spazzato via dai carri armati sovietici come reazione alla Primavera di Praga, è uno straordinario lavoro al limite fra la messa in scena e la documentazione con attori non professionisti, è uno sguardo politicamente già maturo sulla Cecoslovacchia della lenta destalinizzazione, e soprattutto è la capacità di estrapolare la gag dalla pura osservazione, dall’essenza e dal modo di fare di chi è davanti a una macchina da presa che sembra registrare anche ciò che non dovrebbe: gli irrigidimenti, le gaffe, i cambi d’espressione che indicano pure emozioni. Con Audition, nascevano il cinema sornione di Miloš Forman, la sua ironia pungente quanto spontanea e la sua profonda e unica vitalità del/nel quotidiano di (più d’)una generazione. È un lavoro prezioso, senza il quale probabilmente quell’onda miracolosa che è la Nova Vlna non sarebbe mai riuscita a prendere il largo, espandersi e giungere ancora oggi sugli schermi, intatta nella sua costante meraviglia per le piccole cose.
Marco Romagna