ANIMALI NOTTURNI (2016), di Tom Ford

Un film, anzi, un bellissimo film, sul potere di coinvolgimento della letteratura. Ci è parso innanzitutto questo Nocturnal Animals, opera seconda dello stilista Tom Ford, che torna in concorso a Venezia a sette anni di distanza dal pur bellissimo A Single Man, che valse la Coppa Volpi a Colin Firth. A nostro giudizio, comunque, c’è subito da fare un chiarimento: se il precedente era un film di un artista di così grande sensibilità da sapersi destreggiare con estro anche con una forma e con un mezzo non suoi, Nocturnal Animals dichiara a gran voce l’affermazione di un regista a tutti gli effetti, per la padronanza tecnica e visiva con cui è messa in scena una sceneggiatura complessa, articolata, potente, forsennata, dallo stesso Tom Ford adattata dal romanzo di Austin Wright Tony and Susan, di cui il bookshop della Mostra ha fatto in modo di munirsi prontamente, per i più curiosi.

Un film meno “laccato” (è il termine che si sente dire in giro da tutti, al Lido, in riferimento a A Single Man) del precedente, ma sul quale comunque Ford mette una firma in intestazione, e cioè i titoli di testa con delle pachidermiche signore che ballano nude tranne che per gli addobbi circensi, che poi ritorneranno come grosse grasse sculture nella galleria d’arte contemporanea della protagonista Amy Adams. È un film articolato in tre livelli narrativi: il primo, quello del triste, livido presente, in cui la triste e livida Susan (la Adams, algida come non mai) è una gallerista tradita dal marito che vede però ricomparire l’amore giovanile dello scrittore Edward (un Jake Gyllenhall in formissima), che le consegna un libro in cui sono condensate vorticosamente le sue insoddisfazioni, le sue ossessioni, le sue paure, ma anche, probabilmente, i suoi desideri torbidi, oscuri, feroci, vendicativi. Susan percepisce tutto questo, e ne soffre, fisicamente oltreché psicologicamente.

Ed è qui che entra in gioco il secondo livello, che è quello della storia nella storia, il thriller di ambientazione desertica: in più punti sembra di essere dalle parti di Non è un paese per vecchi, non solo per la qualità visiva del film, ma anche per certe vene di umorismo nero disseminate nel percorso, soprattutto grazie all’agire del personaggio cadente e malaticcio dell’ispettore Roberto Andes, il grande, grandissimo Michael Shannon. I due livelli tirano le somme del terzo livello, che è alla base di entrambi, il flashback, e cioè il ricordo del trascorso amore fra Susan e Edward, che nel livello del romanzo trova una sua metaforica rappresentazione a sua volta in grado di scalfire progressivamente la corazza imperturbabile di Susan nel terzo. Tom Ford, quindi, è un regista ma è anche tre registi: quello che secondo alcuni era uno squilibrio del film, secondo noi è sembrato un dispiegamento a regola d’arte di registri narrativi diversi, ognuno con uno stile (la scena dell’aggressione nottetempo in autostrada ha un climax ansiogeno che non ha avuto pari in questo festival). Perché tutto torna, in Nocturnal Animals, come un punto di partenza che è specchio dell’arrivo.

Ford apporta anche delle significative variazioni al testo originale: la Susan di Wright è un’insegnante di inglese, sicuramente meno altolocata della gallerista ritratta nel film, e sembra abbastanza chiaro che Ford voglia così teorizzare (riuscendoci) l’esistenza triste di chi, negli USA, sale sempre più in alto, per ritrovarsi sempre più solo. Per fare questo, deve guardare ai personaggi con un po’ di distacco, moderando l’emotività, senza farsi problemi a dipingerli nelle loro meschinità e ipocrisie, specialmente Susan. Ma da qui alle (seppur moderate) accuse di misoginia che gli sono state mosse qui a Lido, ce ne corre. Da queste premesse si dipana il finale, incredibile. Addirittura scorsesiano. E fa macchia, seppur in una brevissima apparizione, Jena Malone, nel marginale ruolo di segretaria, che sembra la sorella gemella della Jena Malone di The Neon Demon, solo che quella bazzicava il mondo della moda e delle modelle, e questa il mondo dell’arte e degli artisti. E, in comune con l’ultimo Refn, Tom Ford ha anche lo stesso sguardo critico e metaforico, inserito in una tripla narrazione incessante, martellante, in un certo senso diabolica. Perché la vendetta, come ci ha insegnato Tarantino, è un piatto che va servito freddo. Oppure al ristorante.

Elio Di Pace

edit: Vincitore del Leone d’Argento Gran Premio della Giuria di Venezia 73