26 Giugno 2019 -

PRÆSIDENTEN (1919)
di Carl Theodor Dreyer

Non erano tanto le classi sociali e la situazione politica austriaca in cui si immergeva il Der Präsident originale a interessare l’allora trentenne Carl Theodor Dreyer quando, un secolo esatto fa, si mise al lavoro sul romanzo breve di Karl Emil Franzos per trasformarlo in quello che sarebbe diventato il suo già miracoloso film d’esordio Præsidenten, srotolato al Cinema Ritrovato 2019 di Bologna nei 1397 metri in 35mm virati e imbibiti, magnifici nella pasta delle immagini eppure pronti a scoprire il fianco nei cartelli in doppia lingua lontani da ogni filologia, del restauro Danske Filminstitut. Certo, le differenze di classe che soffocano l’amore rimangono inevitabilmente sullo sfondo come motivo scatenante di ogni tragedia, ma quello su cui il (già) sommo regista danese si voleva concentrare, da figlio illegittimo, era più semplicemente la parabola di figli illegittimi, onore, dubbi morali, sentimenti repressi e sensi di colpa che avviluppa e intreccia per tre generazioni i protagonisti. Una parabola d’amore e di morte che non può che iniziare e finire con una clessidra destinata a esaurirsi, nel castello sempre più in rovina di una famiglia sempre più in rovina prima economica e poi morale, e nella spirale sempre più funerea e stringente delle azioni che diventano il lungo e devastante tsunami delle conseguenze. «Un Sendlingen potrà essere uno sconsiderato ma non sarà mai un furfante», dicevano. Ma l’ignominia, o magari la necessità di delinquere per giustizia, senso di colpa, Fede e amore, può arrivare da più parti, può compiere percorsi tortuosi, può ripresentarsi ciclicamente come un corso e ricorso storico-amoroso a decenni di distanza, generazione dopo generazione, errore dopo (opposto) errore, rimorso dopo rimorso. Promessa dopo promessa, seduzione dopo seduzione, abbandono dopo abbandono. Anche nelle più tradizionali e nobili famiglie, forti dei valori di specchiata incorruttibilità da sempre incarnati da secoli di irreprensibili e imparziali uomini di legge. Costringendoli a una scelta in ogni caso dolorosa: da una parte l’onore, l’onestà e l’integrità morale di un uomo simbolo di rettitudine, e dall’altra l’amore, l’umanità e la necessità ancestrale di riparare al (proprio) torto, con una figlia illegittima da salvare e con un senso della giustizia, o forse di colpa, che deve necessariamente essere più forte della legge, contraddirla, rinnegarla.

Straordinariamente moderno tanto nelle tematiche di certo pruginose per la morale del 1919 quanto nella struttura narrativa di (non) circolarità e di flashback che si intrecciano come veri e propri piani temporali di una tragedia fatta di più tragedie, audace e prodigioso tanto nelle sue inquadrature dalle angolature più secche e implacabili (i riflessi degli innamorati sul ponte, i loro baci sulla barca, le mani giunte in matrimonio sotto la stola del sacerdote…) quanto nei suoi rapidi e specialmente pensando ai pianisequenza di quello che sarà il Dreyer sonoro spiazzanti raccordi di montaggio, ancora oggi stordente tanto nel suo sconfinato progressismo in un periodo storico in cui per aborto spontaneo una donna era giudicata e spesso condannata per omicidio quanto in quel misticismo che trentasei anni dopo farà incommensurabilmente grande Ordet già pronto a trasparire dalle preghiere e dalle invocazioni che spesso fanno capolino fra gli intertitoli, Præsidenten si apre con quella promessa che, cercando di evitare di ripetere il dolore precedente, sarà causa del ben maggiore dolore successivo. L’ormai anziano Franz Victor von Sendlingen, ritrovandosi nel castello ormai diroccato simbolo della sua nobiltà decaduta per la quale incolpa le nozze non nobili e riparatrici impostegli tanti anni prima, parla per un’ultima volta con il rampollo Karl Victor confessandogli come, concepito con una serva, sia diventato legittimo solo per ordine paterno. Dreyer, iniziando da subito a intrecciare cause ed effetti nella scansione a blocchi del tempo, accompagna il suo racconto con una dettagliata analessi, per poi tornare al filone principale nel momento esatto in cui il padre, in punto di morte, chiede all’opposto a Karl Victor di non sposare mai una donna di rango inferiore. Giusto in tempo per aprire a un ulteriore salto di trent’anni, sottolineati da nuovi titoli di testa a presentare i personaggi, verso l’ultima fase del racconto, che a sua volta sarà intervallata da altri due flashback che racconteranno nelle generazioni che si alternano e nel cambio di punto di vista il ripetersi della stessa, inevitabile, storia. Una storia raccontata da un padre a un figlio, da un onorevolissimo giudice all’unico amico e successore in pectore, e poi da un avvocato alla corte. Una storia d’amore fra un nobile e una fanciulla di umili origini che sempre diventa seduzione e gravidanze indesiderate, finita prima con un matrimonio «dalle nefaste conseguenze» che si chiede espressamente di non ripetere, poi con un doloroso abbandono per tenere fede alla parola data, e adesso con Victorine, quella figlia mai riconosciuta che appare sul banco degli imputati del Præsidenten Karl Victor, accusata di infanticidio dopo essere stata sedotta, ingravidata, abbandonata e scacciata nel cuore della notte da un altro nobile rampollo e dalla sua crudele madre.

Si dichiara colpevole anche se innocente, Victorine, perché vuole morire, vuole mettere fine alla sua vita di dolore, e poco le importa se l’aborto spontaneo per cui rischia la condanna a morte sia stato in realtà causato dal gelo, dalla stanchezza, dalla debolezza, dalla febbre, o tutt’al più dalla spietata ferocia di chi, perfettamente consapevole della sua gravidanza e anzi proprio a causa del suo stato, le ha sbattuto la porta in faccia lasciandola incinta, sola e al freddo in mezzo alle campagne. Di questo è probabilmente consapevole Karl Victor, costretto per etica professionale a rifiutare di presiedere la seduta cedendola al collega che condannerà Victorine a morte dopo il pareggio degli altri giudici, ma non è l’evidente innocenza della figlia quello che conta per il Præsidenten. Ciò che conta è il suo personalissimo “peccato originale”, la sua consapevolezza di essere la causa scatenante di tutte le sofferenze di una figlia cresciuta senza padre e ben presto rimasta anche senza quella madre che nonostante tutto lo ha voluto perdonare. Un effetto cascata che spinge verso la tragedia, e che porta alla necessità di una scelta: l’onore o l’amore, l’integrità morale o la salvezza di una figlia come primo passo verso l’espiazione. Fino a sfruttare la propria posizione per farla evadere in segreto dalla cella, fino a rifiutare quella promozione tanto agognata e festeggiata da popolo e colleghi per scappare all’estero con lei, fino a vederla sistemata e felicemente sposata, per poi tornare a invocare quella punizione per i suoi crimini che, quasi ad anticipare l’agghiacciante finale petriano di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, gli verrà negata «per non far perdere alla gente la fede nella giustizia». Perché non può esistere reato o confessione per chi incarna la rettitudine, celebrato con fiaccolate dall’intera comunità e da sempre, proprio mentre Victorine cresceva e soffriva nella povertà e senza cognome, additato a esempio da seguire. Non può esistere una sua colpa, nemmeno quando la sua colpa è la madre di tutte le altre colpe. Non gli resta che scrivere le ultime pagine della propria vita, non gli resta che tornare al castello paterno sempre più diroccato, non gli resta che fare l’ultima passeggiata nello stesso cortile di quella promessa giovanile che nessuno avrebbe mai potuto pensare così decisiva e ramificata. Un’altra clessidra sta finendo, un altro libro si sta per chiudere. Aprendo a una delle più eminenti e preziose carriere nella storia della cinematografia, anticipata in un primo e straordinario capolavoro sospeso fra il passato e il futuro, fra il melodramma e il giudiziario, fra la coscienza e l’onore, fra le cause e gli effetti, fra i genitori e i figli, fra la (non più) fede (nella giustizia) e la purezza dell’unica vera Fede che guida le scelte dei giusti. Nei secoli, imperiture.

Marco Romagna

“The President” (1919)
75 min | Drama | Denmark
Regista Carl Theodor Dreyer
Sceneggiatori Carl Theodor Dreyer, Karl Emil Franzos (novel)
Attori principali Richard Christensen, Christian Engelstoft, Hallander Helleman, Halvard Hoff
IMDb Rating 6.4

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