16 Maggio 2019 -

I MISERABILI (2019)
di Ladj Ly

Non sono le vicende di Jean Valjean ad andare in scena in Les Misérables, ma va ben al di là della ripresa del titolo l’intelligente e stratificata rilettura con cui il franco-maliano Ladj Ly, all’esordio al lungometraggio e subito in concorso al 72mo Festival di Cannes, si approccia al capolavoro Victor Hugo. I miserabili, del resto, fra le sue digressioni sui diciassette anni di inizio Ottocento narrati nel suo scorrere, nient’altro raccontava che la nascita e lo svilupparsi di una rabbia popolare, dall’insoddisfazione alle scintille di ribellione, fino alla più pura rivolta che ribalta l’ordine precostituito. Una rivolta in cui, dalla Rivoluzione di fine Settecento a quella del Quarantotto, fino ai gilet gialli che proprio su quelle stesse strade di Montfermeil già di Hugo da circa un anno, sospesi e a volte per lo meno ambigui fra le loro ineluttabili ragioni e gli inevitabili torti di un movimento troppo ampio, populista e trasversale nel suo unire gli estremi, osteggiano il neoliberismo, i prezzi e le tassazioni della destra che si finge sinistra di Emmanuel Macron, si specchia l’identità più intima del combattente popolo francese, sempre pronto a scendere in piazza, quando necessario anche violentemente, per farsi valere. Non è certo un caso in questo senso che questo nuovo Les Misérables, nel quale un approccio che guarda direttamente al mainstream hollywoodiano di tensione e inseguimenti si ammanta di un’autorialità proletaria tipicamente francese à la Brizé, si apra sui festeggiamenti sotto l’Arco di Trionfo subito dopo la vittoria del Mondiale di calcio della scorsa estate, quel momento in cui la Francia di nuovo si è sentita realmente unita nel sostegno finalmente incondizionato a quel fantastico team di giovanissimi, in buona parte provenienti dalle banlieue, campioni del mondo. Un momento di coesione e di festa destinato però a durare solo pochi giorni, per poi ricominciare con il solito giro di soprusi dei più forti contro i più deboli, e con la consueta e silenziosa cecità della borghesia verso le zone depresse che continuano a nascere e subire appena si esce di pochi passi dai confini dei salotti bene. I Les Misérables di oggi sono i gitani, sono i musulmani, sono i protettori, sono le puttane, sono i ladri e sono pure i poliziotti che con loro condividono i giorni e le strade di Monfermeil, tutti organizzati in bande, o «squadre», costantemente in lotta fra loro per il controllo o per il rispetto, per essere i penultimi in mezzo agli ultimi. Sono madri che difendono i figli, sono bulli che si ergono a capi, sono ulteriori dominatori e ulteriori sottomessi in un ripetersi in piccolo delle stesse dinamiche di ogni luogo del mondo, ma soprattutto sono esseri umani immersi nella propria realtà, una realtà in cui ci si deve arrangiare in qualsiasi modo, una realtà in cui anche i bambini possono essere spinti e malmenati dalla polizia, una realtà che non può che essere anticamera dello scontro, come una pentola a pressione di soprusi apparentemente sul punto di deflagrare in una nuova Rivoluzione.

Ladj Ly, in qualche modo aggiornando ventiquattro anni dopo il Kassowitz de L’odio, delinea un affresco sociale che si fa forza di un continuo cambio del punto di vista, quello interno e quello esterno, quello di chi abita le banlieue e quello della squadra di poliziotti – non solo i classici “buono” e “cattivo”, ma anche il “traditore” nato e cresciuto fra chi oggi quotidianamente minaccia e brutalizza per «mantenere l’ordine» – di pattuglia nella borgata, e poi quello del drone pilotato dal bambino che per puro caso assisterà a un drammatico e gravissimo abuso di potere dei tre agenti di polizia contro un altro bambino reo di aver sottratto un cucciolo di leone allo zoo. Un punto di vista sopraelevato che, ben al di là della sua fondamentale funzione narrativa nel ribaltamento fra predatore e preda con il filmato da recuperare prima che possa essere pubblicato o possa rendere gli agenti ricattabili, sembra quasi rappresentare, proprio in quel programmatico distacco che è in genere il principale problema etico del drone, lo sguardo sulle banlieue del resto della Francia, dell’Europa e del mondo. Peccato che, quando l’utilità narrativa si è esaurita e il drone che ha spiato troppo è già stato violentemente rotto contro il muro, ci sia un’ulteriore inquadratura che si alza in volo su Montfermeil, vezzo estetico che finisce quasi per contraddire l’interessante simbologia precedentemente abbracciata. Uno dei problemi, non l’unico, di un film lontano dal far funzionare tutto alla perfezione, non certo scevro di qualche pennellata di eccessiva retorica o di qualche eccessiva semplificazione fra i personaggi necessariamente stereotipati (il poliziotto che è severo e quasi “cattivo” anche a casa con le sue figlie, oppure il collega afrodiscendente che piange con la madre dopo aver «perso la testa» e sparato un lacrimogeno in faccia a un bambino, ma solo dopo averne eliminato le prove) e situazioni eccessive (il padrone del circo che, dopo la restituzione del piccolo di leone, prova un piacere sadico nell’umiliare, e non educare, il piccolo ladro facendolo pisciare addosso nella gabbia del leone ruggente), e che più in generale paga sia a livello visivo sia a livello linguistico, in testa i piccoli e concitati ma spesso gratuiti e alla lunga stucchevoli zoom della macchina a mano che segue i protagonisti, la relativa inesperienza che ogni opera prima, anche dopo qualche regia e co-regia documentaristica, necessariamente porta in dote. Ma non è, e non deve essere, questo il punto. Perché sarebbe folle, più ancora che ingeneroso, impuntarsi sui limiti formali quando Les Misérables incarna e porta sullo schermo un così puro, sincero e militante spirito rivoluzionario. Sta tutto nel lungo finale, vera e propria lotta di classe ben più che semplice vendetta, con la resa dei conti fra i bambini e quei poliziotti che ormai si credono onnipotenti nelle loro divise – «Je suis la loi» – e che solo poche ore prima intimavano loro il silenzio sulle reali cause delle loro ferite, chiudendo nel palazzo abbandonato a fare la (probabile) fine del topo anche quei capiquartiere che, allo stesso modo, li schiaccia(va)no. Senza più lotte interne, senza più divisioni, senza più guerre fra poveri, ma finalmente tutti insieme contro il potere. Bambini che sparano fuochi d’artificio, che lanciano pietre e carrelli, e che si prendono – con le sue stesse armi: la violenza, la vendetta e la posizione di vantaggio, che sia questa sociale, numerica o molto più semplicemente logistica – quel potere, identico a quello di ogni Stato e di ogni ingiustizia perpetrata dal Capitale, che bisogna necessariamente sovvertire. Anche quando la dialettica non basta più. Aux armes citoyens, formez vos bataillons. Fino al punto in cui non importa se il grilletto dell’ultimo e decisivo colpo verrà premuto oppure no, conta solo aver ribaltato la situazione, conta solo avere schiacciato i potenti, conta solo aver di nuovo fatto emergere, finalmente, la propria più profonda dignità.

Marco Romagna

“Les Misérables” (2019)
102 min | N/A | France
Regista Ladj Ly
Sceneggiatori Ladj Ly (screenplay by), Giordano Gederlini (screenplay by), Alexis Manenti (screenplay by)
Attori principali Jeanne Balibar, Damien Bonnard, Alexis Manenti, Djibril Zonga
IMDb Rating N/A

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