10 Marzo 2019 -

MONSTERS. (2019)
di Marius Olteanu

Prima c’è lei, poi c’è lui, e infine c’è la coppia, insieme come due metà (im)perfette e (in)compatibili, come due specchi deforma(n)ti, come due facce della stessa medaglia di inquietudini e insicurezze, e forse proprio per questo così dolorosamente legati nelle continue aperture e chiusure delle loro geometrie emotive. In mezzo, il loro trasloco come se fosse un Caronte nella loro quotidiana dannazione, occasione di inevitabili riflessioni mentre tutte e due le case, la vecchia e la nuova, sono invase da scatoloni di ricordi, felicità e dolori, e al contempo provvisoria occasione di sfuggirsi, ognuno in un appartamento e ognuno consapevole che cambiare casa non potrà cambiare nulla nel loro rapporto ormai logoro eppure inestinguibile. Approcciarsi a Monsters. (esattamente così, con il punto), sorprendente lungometraggio dell’esordiente classe 1979 Marius Olteanu giunto a innervare di ulteriori intuizioni di scrittura e di messa in scena il sempre più miracoloso cinema rumeno, è come guardare in un caleidoscopio, tante sono le sue traiettorie e possibili declinazioni, tanto è il suo spessore psicologico, umano e cinematografico, tanta è la sua lucida (ir)razionalità, tanta è la sua intelligenza, tanti sono i suoi spunti di interesse linguistici, poetici e contenutistici. Si potrebbe partire dalla struttura narrativa “hegeliana”, che come un sillogismo (o forse, come suggerito dalla splendida rivisitazione della Pietà michelangiolesca della locandina1, come una Pala Sacra) tripartisce le 24 ore circa del suo arco temporale prima in due distinte ma mai realmente distanti nottate di antonioniana solitudine, e poi cerca e trova il proprio punto di sintesi nella giornata insieme dei coniugi (in)felici, costretti a fingere di essere ancora una coppia perfetta fra le aspettative e le pretese della Bucarest di oggi sospesa fra tradizione e occidentalizzazione, fra modernizzazione e retaggi comunisti, ancora/sempre pronta a soffocare, o per lo meno a guardare male, le individualità non allineate a una presunta “normalità”. Oppure, cambiando radicalmente il punto di vista, si potrebbe partire dalla profondità dei sentimenti e delle contraddizioni che il giovane autore rumeno scrive e mette in scena, con i dubbi di identità di lui, segretamente omosessuale, e con lei che è (quasi) l’unica a saperlo, a capirlo e, pur soffrendone, a supportarlo, mentre entrambi tentano apertamente (e spesso invano, con tanto di coito interrotto dalla formalità, dalla freddezza e dalla totale mancanza di sentimento di Grindr) di sfogare il proprio desiderio con altri uomini trovando disgusto, dubbi e sensi di colpa ben più che soddisfazione. O ancora si potrebbe partire dal fluttuare di formati, che fa sua la lezione del Mommy di Dolan per stratificarla e farla ancor più radicale nel quadrato perfetto 1:1 in cui Olteanu chiude fino all’asfissia gli orizzonti dei suoi protagonisti quando sono “soli”, e proprio per questo più sinceri nel dare ascolto ai propri tormenti, pronto ad allargarsi fino al panoramico 2,40:1 nella terza parte, quando sono insieme, nel loro dover(si) mentire per salvare le apparenze. Oppure, ancora più in generale, si potrebbe partire dalla straordinaria gestione di un linguaggio cinematografico fatto di parole e di silenzi, di incroci e di sguardi, di simboli e di parallelismi, di introspezioni e di confessioni che emergono dal diradarsi delle nebbie, mentre cadono le maschere. Quando inevitabilmente, anche nello straniamento, si torna se stessi, e non si può più evitare di confrontarcisi. Con l’acume, l’ironia, la profondità e lo straordinario ritmo (mentre non “succede” quasi nulla) delle due notti, oppure con l’ancestrale amarezza, la sincerità, l’acuto e costruttivo femminismo individualista e la ben precisa stoccata sociale della terza e ultima parte.

Ma torniamo alla struttura narrativa, con cui Monsters. ragiona sulla percezione personale e sulla dilatazione del tempo facendo tornare indietro la seconda fra le parti “notturne”, Andrei, di quasi cinque ore in anticipo rispetto alla prima incentrata su Dana, per poi farla scorrere perfettamente parallela fra incastri, intese, ribaltamenti, insoddisfazioni, canzoni alla radio e un costante lambirsi. Dana vaga per la città in taxi, fra i due appartamenti e un vicino di casa noioso ai limiti del grottesco con cui una volta tanto essere gentile accompagnandone la moglie partoriente in ospedale, fra le ore che passano e quella sensazione che ci sia qualcosa che non va quando squilla il telefono, fra il rifiuto esplicito di ogni giudizio superficiale e la dichiarazione implicita di malessere, fra i detti e i non detti del dialogo brillante, potente e profondissimo fra anime alla deriva con lo sconosciuto tassista, sedicente misantropo annoiato dalla gente mentre lei, impiegata alle risorse umane, ama profondamente le persone. E anche Andrei, nel frattempo, vaga per la città alla guida della sua utilitaria, incerto fra ricordo, speranza, scoramento, desiderio e pensieri suicidi mentre passa il treno. Prima va in palestra, poi sotto la casa dell’uomo che ha amato e con cui è tragicamente finita, e infine fra le lenzuola di un freddo e cerimonioso sconosciuto rimorchiato via chat che, profondamente egoista anche e soprattutto nel sesso, lo lascerà frustrato tradendo il suo atto più estremo (e in potenza rischioso, come in potenza rischioso può essere solo scegliere di sfilarsi un profilattico) di fiducia. Fino alla terza e ultima parte del trittico dipinto da Olteanu, quella diurna del giorno dopo, in cui può finalmente esplodere sullo schermo il titolo Monştri. e in cui gli isolamenti dei due protagonisti tornano a coincidere nello stare insieme di una coppia ormai tossica, ma che non può e probabilmente mai potrà fare a meno del reciproco affetto, della reciproca intesa, dello stare fianco a fianco nonostante tutto, anche se consapevoli di farsi male. Non esiste infatti nulla che sia più spinoso e contrastato di ciò che analizza e mette in scena Monsters., complesso e prodigiosamente stratificato studio di ciò che rimane dell’amore quando non c’è più innamoramento. Perché sì, quando i protagonisti tornano insieme e lo schermo, da quadrato, si allarga fino al panoramico c’è l’eterno e forse inevitabile ritrovarsi costretti a recitare una pubblica parte imposta dalla società, quella della coppia felice che, mentre nel quotidiano si tortura nell’intimo fra le insoddisfazioni e le fratture che diventano implosioni non sapendo forse nemmeno più perché si sta insieme, sorride ai battesimi di famiglia e va diligentemente a trovare (a costo di litigarci per la decisione “immorale” di non avere figli per non rischiare di trasmettere loro «il dolore e l’irrequietezza») le anziane nonne. Ma il vero punto di Monsters. è in un certo senso l’opposto, ovvero quell’inspiegabile ma bruciante sentimento che, anche in tutta la desolazione quotidiana di un matrimonio ormai distrutto, anche nel più opprimente e asfissiante senso di vuoto, continua forte e ineluttabile. Non c’è più il desiderio, non c’è più la carne, ci si tradisce apertamente e si soffre per questo, ci si strugge nella constatazione del proprio fallimento di vita e non ci si illude che impacchettare per il trasloco e cambiare casa possa far ripartire in qualche modo le cose, ma fra Dana e Andrei rimane una complicità inspiegabile e probabilmente eterna, un capirsi a vicenda, una tenerezza sincera e inalienabile, un reciproco fidarsi che è potersi realmente aprire, o forse finalmente (ri)chiudere come quel quadrato perfetto dell’aspect ratio che, quando l’intimità si fa più genuina, profonda e struggente, torna a incorniciarli nella mancanza di residui orizzonti. Ma è solo un’illusione di pochi secondi, un istante di leggerezza prima del ritorno della (non) apertura, e quindi della necessità di fingere. Soffocati nella loro infernale e terrena altalena di abbracci e di dolori, di fallimenti e di comprensioni, di disgusto e di vicendevole dipendenza, quando l’ultima e definitiva prova d’amore è quella di lasciare andare, emancipati e sovrani, ma forse mai realmente liberi.

Perché sono indubbiamente mostri, i Monsters. di Olteanu, fondati sulla menzogna e sulla facciata, sul dissimulare in pubblico le proprie sofferenze e le proprie identità, eppure straordinariamente umani nel privato, costantemente indecisi se fare fronte comune per sopravvivere alla loro inadeguatezza o ferirsi a vicenda continuando a rinfacciarsi le proprie colpe. Vivono ininterrottamente sospesi fra il reciproco aiuto e la crudeltà della frustrazione, costretti dalla ferocia della vita a camminare impauriti e senza bussola sul filo fra candore e barbarie, sempre a cavallo fra la chiarezza più assoluta e l’ipocrisia, con tutti i sensi di colpa che porta. Olteanu, come a testimoniare ulteriormente la loro doppiezza e al contempo il loro far parte di due metà, li filma attraverso i vetri dell’auto o di fronte allo specchio, oppure ulteriormente incorniciati da una porta a togliere altra aria al quadrato del fotogramma portandolo il più possibile verso il verticale, verso un bordo che diventa sempre più oppressione e sempre meno semplice cornice anche e soprattutto quando lo sguardo si allarga al di là delle bande sullo schermo cercando le loro anime, spingendosi – come esplicitamente suggerito dal dialogo pre-sesso di Andrei con l’occasionale (e frustrante) amante che parla solo di se stesso – verso i sottotesti. Del resto, non è certo un caso che la scena dell’amplesso gay, in cui sono ovviamente le bande verticali dell’1:1 a lasciare fuori campo ciò che non va mostrato, sia fotografata con una luce azzurrata talmente finta e “cinematografica” da esplicitare, con tanto di «Ma che razza di luce è?» che scappa ad Andrei, come realtà e finzione abbiano tanti alleli in comune da finire per confondersi, o per lo meno come la sua realtà sia tanto piena di finzione da non riuscire più a distinguerne i contorni, così come non è certo un caso che la non riuscita del rapporto sessuale nasca proprio da quella stessa morale omofoba, causa delle pene e dei dubbi di identità sessuale del protagonista, che ancora serpeggia per la società al punto che un dichiarato partner omosessuale rifiuta schifato di baciare un uomo dal quale si sta facendo penetrare. Ed è in questo continuo alternarsi di umanissime contraddizioni personali e sociali che Marius Olteanu, con un occhio a Cristi Puiu e l’altro alle Scene da un matrimonio bergmaniane, scrive e mette in scena Dana e Andrei in tutte le loro (in)coerenze, in tutte le loro incertezze, in tutti i loro affanni, ma anche in tutto il candore di un momento in cui tornare realmente insieme, isolati dal resto del mondo con la canzone giusta, o con l’intervento a “salvare” la non-madre dalla congrega di madri. Fino a quel sorriso sincero che emerge per un attimo dalla ritrovata geometria del quadrato, e poi al formato che inevitabilmente torna ad allargarsi su quel sentiero frastagliato che sta fra sogno e incubo, fra l’amore impossibile e l’evidenza della frustrazione, fra la depressione e la confessione – «Volevo vedere come è fatta una persona che realmente ami». Presentato nella solita sezione Forum, il Monsters. di Olteanu si pone fra le più alte vette di quella che è stata un’ottima (a patto di rimanere “laterali”) Berlinale. Un film sulla comunicazione e sulla comprensione, sulla ben precisa funzione sociale della sigaretta che sconfigge l’aver smesso di fumare, sulle frecciatine sociali e sul seme del dubbio, sull’identità e sullo stare insieme. Un film sulla lacerazione, sui dubbi, sul vuoto, sull’inquietudine, sul’angoscia, spartito fra la (non) ambiguità e le due case spola dell’attuale trasloco degli oggetti, dei ricordi, delle (in)certezze, dei sentimenti, delle emozioni, della realtà. Un film sul giudizio della società e sulla necessità di fuggirlo, proteggendosi a vicenda nella propria insoddisfazione, nel proprio dolore, ma anche nel proprio essere se stessi. Come mostri, come uomini, come marito e moglie, o forse più semplicemente come esseri umani che si amano fino alle lacrime e che hanno deciso di stare insieme, a prescindere da tutto. Il loro unico modo per continuare a respirare.

Marco Romagna

1

“Monsters” (2018)
96 min | Drama, Romance | Romania
Regista Marius Olteanu
Sceneggiatori Marius Olteanu
Attori principali Serban Pavlu, Alexandru Potocean, Cristian Popa, Judith State
IMDb Rating N/A

Articoli correlati

FUKUOKA (2019), di Zhang Lu di Marco Romagna
A HIDDEN LIFE (2019), di Terrence Malick di Donato D'Elia
PADRONE DOVE SEI (2019), di Carlo Michele Schirinzi di Marco Romagna
DELPHINE ET CAROLE. INSOUMUSES (2019), di Callisto Mc Nulty di Erik Negro
UNE ROSE OUVERTE / WARDA (2019) di Ghassan Salhab di Erik Negro
DAFNE (2019), di Federico Bondi di Marco Romagna