12 Febbraio 2015 -

UNDER ELECTRIC CLOUDS (2015)
di Alexei German jr.

Russia, 2017. Un, tragicamente vicino, futuro postapocalittico, nel quale la nebbia si fonde e confonde con la steppa ricoperta da una mortifera coltre di neve. Un paesaggio grigio, straniante, disumano, privo di orizzonti. L’insegna di un hotel, i corsi d’acqua che specchiano il cielo bianco. Cavalcavia mai finiti, piatti come il paesaggio. I superstiti che, come automi, si vedono senza guardarsi, spersonalizzati nella propria solitudine. Sullo sfondo, un grattacielo in costante costruzione, simbolo di incompiutezza ed inadeguatezza di un genere umano ormai privato della propria memoria storica e culturale. Un mondo pericoloso e violento, nel quale un uomo si inoltra, inizio e forse conclusione di un viaggio verso il nulla, eterno vagare senza meta né bussola. Cerca i suoi colleghi, ma non li trova, sostituiti dall’agonia di una donna sventrata. E’ kirghizo, non parla russo, ma le sue parole non sono tradotte dal sottotitolo, ne viene solo indicata la provenienza straniera, come ad indicare che anche il linguaggio ha perso il suo senso, mentre cresce il senso di smarrimento nel cammino in un Paese così complesso. Le nuvole, onnipresenti ed ormai elettriche, si contorcono dolorose fino a comporsi come uno schermo pubblicitario. Under Electric Clouds, nuovo film di Alexei German jr in concorso a Berlino 2015, è un mosaico elegiaco e a tratti lisergico, affresco di un’umanità privata del futuro, dei sogni, delle speranze. Un film impressionista, le cui pennellate si snodano oniriche eppur lucidissime lungo i 7 capitoli che lo compongono. Una Russia in bilico fra passato e futuro, finzione e realtà, sogno e disgregazione delle arti e della Storia, una terra che pare intrappolata nel proprio presente senza sbocchi né appigli verso il domani.

Alexei German Jr. era una delle certezze della Berlinale. Il regista russo, figlio d’arte, torna al lungometraggio a quasi sette anni di distanza da Paper Soldier, rivelazione veneziana nel 2008. Dopo avere terminato, nel 2013, il montaggio di Hard to Be a God, (capo)lavoro ultimo e postumo del padre, Alexei Yuryevich German, il trentottenne cineasta torna al filone che contraddistingue la sua filmografia: la Storia -quella con la S maiuscola- che viene narrata attraverso la storia, o le storie, paradigmi ed allegorie. Se l’ambientazione di Paper Soldier era dichiaratamente storica, i tempi di Yurij Gagarin, Storia nella quale si innesta la storia dell’ufficiale medico Pokrovsky, l’ambientazione futura di Under Electric Clouds nient’altro è che un modo necessariamente più distaccato per tornare indietro, analizzare, esporre la propria visione politica e filosofica. Non è un caso la scelta del 2017, centesimo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, per ambientare un film che sfrutta il futuro della fantascienza per parlare del passato, costruendo un’ode alla Russia, alla sua mentalità, alla sua essenza. Un secolo di Storia, dalla Rivoluzione allo stalinismo, dalla guerra mondiale a quella fredda, da Gorbaciov a Eltsin, fino alla xenofobia putiniana che tanto stona di fronte al fine impianto emozionale da sempre garantito dalle Arti. Under Electric Clouds è un film abbacinante nel serpeggiare lungo i sette episodi, solo apparentemente scollegati, che lo compongono. Dostoevskij e Tolstoj si tuffano in Tarkovskij per riaffermare, in un’elegia che ha le pennellate rapide e puntuali di Cezanne, la complessità della società russa, la necessità storica di trovare la propria identità e riaffermarsi in un momento che dal manierismo sembra tendere ineluttabilmente ad un nuovo, agghiacciante, medioevo. Passato e futuro convergono nel presente, mentre i lunghi pianisequenza di German si muovono avanti e indietro su una sorta di linea temporale. La ferocia di Cechov entra nell’assurdo di Beckett, alla ricerca di un’impressione nella quale perdersi: Under Electric Clouds è un film etereo, a tratti quasi inafferrabile, ma al contempo solido e capace di entrare in profondità, sedimentare, scuotere.

Una lirica frammentata, che poi è la frammentarietà del Popolo russo, nella quale un robot si trascina pigramente per i saloni di una villa gentilizia, mentre una statua di Lenin, rimasta in piedi e diventata una sorta di triste parco giochi, pare indicare il nulla. Il declino della borghesia, minacciata di morte eppur sorda, come ci ricorda l’apparecchio acustico, ai cambiamenti sociali. Si alternano le stagioni, cambiano i personaggi, la loro estrazione, le situazioni. La Storia sembra intrappolata nei suoi infiniti cicli. La messa in scena è livida, indugia sulle rovine, con la luce fioca e monocorde che fu di Cezanne e Degas. Chi deve gestire l’eredità paterna, chi incontra un amico dal futuro fra dubbi di identità e paura del caos, uno strambo architetto con una voglia sulla fronte, paradigma degli intellettuali annichiliti da un cortocircuito storico che ha annientato il senso stesso dell’Arte. Un’umanità varia, intrappolata in spazi immensi, forse incapace di fuggire, ma desiderosa di farlo. Il principale testo di riferimento in questo senso è Anton Cechov, capace di astrarre nelle sue opere tutta la confusione della vita russa, l’ascesa della mediocrità, ma anche lo slancio, spesso impotente, verso una reale volontà di cambiamento. Ogni personaggio del film potrebbe tranquillamente uscire da un suo testo, ma anche da Samuel Beckett, o da Harold Pinter, vista la costante tensione all’assurdo. Entrano ed escono quasi continuamente dalla scena, perdono inspiegabilmente sangue dal naso, sono allo sbando, non hanno affetti né ideali. Ecco quindi che i giovani non si fanno problemi a caricare la Storia di elfi e folletti, totalmente dimentichi della letteratura, simbolo di un’umanità ormai ossessionata dal solo profitto, capace di azzerarsi nei valori culturali. Un mondo fatto di desolazione, macerie e fango, ma anche dei residui di un recente passato glorioso. La macchina da presa restituisce un’immagine pittorica, ricercata, sempre potente: piano piano, inizia ad intravvedersi un po’ di luce in fondo al tunnel.

Una guida turistica sta protestando contro le decisioni della direzione del ‘suo’ museo. Rifiuta di piegarsi alle logiche di mercato neoliberiste, in un presente devastato da capitalismo e globalizzazione. Ricorda i tempi nei quali era sulle barricate, Eltsin, l’eco delle dimissioni di Gorbaciov. Aggrapparsi ai ricordi gloriosi, trovare la forza per ricominciare. La figlia erede che decide di ripartire da zero, una bambina per mano, le nuove generazioni da coltivare, educare, affinare. Appare immutabile un cavallo-scheletro di ferro, gli errori del passato come fardello verso il futuro. Non possono essere dimenticati, vanno portati dietro nella nuova vita. Il cavallo di ferro è pesante, immobile, come piantato nel terreno. Poi, con enorme sforzo, inizia a muoversi lentamente, trascinato nella neve. Con fatica, forse, si può (ri)partire verso il futuro. Senza Putin, che non viene mai nominato ma è lì, deus ex machina della regressione, ideale autore del vicinissimo scenario postapocalittico.

Una ricerca del sottotesto, la Storia, una Russia-mondo sballottata fra i flutti della deriva delle Arti e la necessità assoluta di riappropriarsene. La metaforica visione politica e sociale di Alexei German Jr, la critica e poi la speranza, seppur flebile, che si delinea all’orizzonte. Marcia lenta ed agognata verso l’unico futuro possibile: uno sguardo all’Umanesimo, strada verso un nuovo Illuminismo. Under Electric Clouds, nella sua densità contenutistica e concettuale, è tutto questo. Ma il film di German jr. è anche, e forse soprattutto, la semplice possibilità di perdersi nelle immagini, assaporandone la pura gioia emozionale. Under Electric Clouds è uno straordinario stordimento onirico che sguscia sotto pelle, sensazione inafferrabile di bellezza ed inadeguatezza. Un puzzle astratto dove non importa necessariamente mettere tutti i pezzi a posto alla perfezione, spesso basta l’impressione, il profumo, l’altalena di emozioni che, sequenza dopo sequenza, si impossessa dello spettatore e lo culla, nutrendolo di immagini. Il sapore, ora aspro ora dolce, che pervade la bocca al termine di ogni sequenza. Un film complesso quanto affascinante, in grado di sedimentare a lungo, dalle molteplici chiavi di lettura logiche ed emotive. Un viaggio, un sogno, un tarlo che scava dentro, capace di far ridere e sanguinare. In una parola? Cinema.

Marco Romagna

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“Under Electric Clouds” (2015)
138 min | Drama, Sci-Fi | Russia / Ukraine / Poland
Regista Aleksey German
Sceneggiatori Aleksey German (screenplay)
Attori principali Louis Franck, Merab Ninidze, Viktoriya Korotkova, Chulpan Khamatova
IMDb Rating 6.3

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