17 Maggio 2018 -

LA LOTTA (2018)
di Marco Bellocchio

«La lotta è implacabile, feroce.
La lotta, come dicono, è epica.
Io sono caduto. Altri prenderà il mio posto…
ecco tutto.
Cosa conta qui la sorte di un uomo?
Fucilazione, e poi… la fossa.
Tutto ciò è tanto semplice e logico.
Ma nelle future tempeste saremo ancora insieme,
popolo mio, perché ci siamo amati»
Nikola Vaptzarov, “La lotta”, 23 luglio 1942

Un giovane uomo, da qualche parte nelle campagne emiliane, sonnecchia sdraiato al sole. Il vento gli carezza dolcemente i capelli, e altrettanto dolcemente soffia sul letto del fiume Trebbia nel quale riposa pacifico, pettinando gli alberi del boschetto alle sue spalle. All’improvviso, con tanto di elmetti militari, divise nazifasciste, moschetti e pastori tedeschi d’ordinanza al guinzaglio, irrompe direttamente dalla Storia un manipolo di soldati che inizia a sparare. Cercano lui, Tonino, il fuggiasco, il partigiano, il resistente. Non resta che scappare al rastrellamento, non resta che tuffarsi nel fiume, non resta che nuotare a zig-zag fra i proiettili che sfrecciano dal passato, i pesci e i raggi di luce che penetrano la superficie torbida dell’acqua. Fino a quando, nel bel mezzo della fuga in apnea del protagonista, fra cagnolini e bracciate disperate apparirà una donna che nuota serena in costume da bagno, riportando il cortocircuito storico alla contemporaneità, e riportando Tonino alla (sua, e nostra) realtà. Quando la testa dell’uomo riemergerà finalmente dall’acqua per prendere fiato, a essere stipati sulle rive del fiume sono i normalissimi bagnanti di oggi, famiglie rilassate e festose, in vacanza durante un normalissimo giorno d’estate. Ma la loro tranquillità è solo un’apparenza, è il letargo politico e sociale di chi ha la pancia piena e chiude gli occhi sulle ingiustizie, e il loro non rendersi conto che la guerra è ancora in corso, il loro non farci caso, il loro non combattere, è proprio quello che i fascismi vogliono per continuare a esercitare il loro potere. Perché La lotta non è finita, e probabilmente mai finirà.
Ben al di là della spettacolarità tecnica delle immagini, che da fisse e posate sul riposo si fanno frenetiche nella corsa e poi subacquee, il magnifico pianosequenza iniziale con cui Marco Bellocchio apre il suo nuovo e sublime cortometraggio, realizzato come di consueto con la sua scuola di cinema di Bobbio e presentato a Cannes nei programmi della Quinzaine des Réalisateurs, annulla ogni senso del tempo nei suoi anacronismi, filmati senza stacchi in modo da palesare ancor di più il paradosso temporale, che nient’altro sono che accostamenti metaforici e politici di potenza e di limpidezza straordinarie. Il senso di La lotta è chiarissimo, lampante: bisogna disseppellire l’ascia, bisogna tornare a lottare, bisogna tornare a resistere. Bisogna tornare partigiani, nascosti sulle montagne in difesa del popolo, pronti a morire per un ideale più grande e più giusto. Perché il fascismo ha cambiato forma, si è modernizzato, si è evoluto, ma mai è davvero cambiato. È un fascismo, quello di oggi come quello di ieri, che se la prende sempre con i più deboli, con i più poveri, con gli immigrati, con le classi sociali più disagiate, ed è un fascismo probabilmente ancora più ipocrita, mascherato da democrazia, ma non certo meno pericoloso, meno pressante, meno grave di quello di un tempo.

Profondamente politico e militante, resistente e partigiano, La lotta racchiude in un commovente quarto d’ora tutto l’afflato politico dell’autore piacentino, tutto il suo aperto antifascismo, tutta la sua visione del mondo e della società, del tempo, della Storia, dell’umanità. In quella che, nemmeno troppo a sorpresa, vista la parabola ascendente intrapresa negli ultimi anni da un ispiratissimo e pressoché infallibile Bellocchio, si impone insieme a Godard e Lars von Trier, con poco distante Jia Zhang-ke, fra le visioni più indispensabili di questa edizione di Cannes, c’è il parallelismo più inquietante fra ieri e oggi, fra il fascismo di oltre settant’anni fa e lo spostamento sempre più a destra (non solo) dell’Italia odierna, fra le bombe che cadevano e i fuochi d’artificio che esplodono nel cielo, fra la luce nella notte che porta la morte e la luce nella notte che porta la vita. C’è il tempo che si annulla in un paradosso, in un cortocircuito percettivo, ragionando apertamente e dolorosamente su come nulla o quasi sia cambiato fra monumenti ai Caduti, soldati che (ancora) incombono e sparano, fotografie degli eroi e dei martiri che hanno liberato il Paese, divise di combattenti liberi, fazzoletti rossi, fucili, poesie d’amore alla Resistenza scritte da chi per resistere stava salendo al plotone d’esecuzione (“La lotta” del bulgaro Nikola Vaptzarov, fucilato a 33 anni dai fascisti del ’42, estrapolata da quelle Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana da sempre fondanti nel cinema e nella filosofia di Marco Bellocchio e fatta recitare di fronte alla stele dedicata ai partigiani) e immigrati che oggi come ieri chiedono umilmente il pane, ai quali regalare 50 euro perché il denaro, di fronte all’umanità e alla giustizia sociale, non ha mai avuto alcun valore. C’è una madre che si pone in un certo senso come ponte fra i due periodi storici che si fondono nell'(a)temporalità della Resistenza, sfumando ulteriormente i contorni fra la televisione che racconta di oggi (e di Marco Bellocchio, fra il Bobbio Film Festival e i risultati del Piacenza Calcio) e il dialogo con Tonino che parla apertamente di ieri, di una guerra ancora in corso ma che «prima o poi finirà» nella speranza di poter riprendere gli studi una volta conclusa. E c’è l’amore, nel personaggio della bella che oggi come ieri si avvicina al protagonista, lo sfiora, lo bacia, discute con lui dell’importanza del tempo e dei simboli – quell’orologio appartenuto a un «intrepido medaglia d’oro alla Resistenza» che non può né deve smettere di funzionare, oppure le fotografie appese alle pareti della stanza di Tonino, volti di chi si è sacrificato per la libertà.
E c’è pure tutto il grande, grandissimo cinema di quello che si conferma per distacco il maggiore autore italiano vivente. Un cinema che fra il pianosequenza iniziale e la ripresa delle ossessioni di sempre si mette più che mai a servizio della metafora, che si mette a servizio del messaggio antifascista, che si mette a servizio della necessità di ricominciare a resistere, oggi come ieri. C’è ovviamente Sangue del mio sangue nel ritorno di Bellocchio ai suoi corsi e ricorsi storici, c’è Buongiorno notte nelle ossessioni e nell’antifascismo del protagonista – quelle stesse ossessioni di giustizia e libertà che in un certo modo giustificavano e salvavano i brigatisti, discendenti diretti dei partigiani, nel finale onirico “alternativo” alla Storia di via Caetani che annullava il loro più grave errore tattico e storico liberando per lo meno nel cinema Aldo Moro –, e c’è ovviamente Vincere nel ritorno a quegli anni che si rispecchiano così drammatici nella contemporaneità, fino a materializzarsi come spettri di un passato mai davvero passato, ma semplicemente multiforme, e che ancora, drammaticamente, riesce a esercitare il suo fascino. E c’è anche, come in ogni lavoro bellocchiano, I pugni in tasca, con quella necessità intima e ancestrale di Tonino di trovare un proprio posto nel mondo, un proprio ruolo, una propria missione. In questo caso partigiana.

Quando, il mattino seguente, Tonino si sveglia nella sua stanza/museo della Resistenza, sotto le sue finestre si materializzeranno ancora una volta, in strada, i soldati nazisti. Al protagonista non resterà che indossare ancora una volta la divisa, imbracciare il fucile e partire alla loro ricerca, in giro per la contemporaneità. E fa male, al di là delle riflessioni di Bellocchio sul periodo storico che stiamo vivendo, vedere La lotta proprio in questi giorni, in questi mesi, nei quali l’Italia è ancora senza governo e in cui le consultazioni porteranno, nel migliore dei casi, a una maggioranza apertamente di destra. Della destra più xenofoba e populista, quella più inumana, quella che parla di ruspe contro gli immigrati e che nel frattempo candida e porta in Parlamento, come specchietto per le allodole con cui mantenere agli occhi dell’opinione pubblica una sorta di verginità, il primo senatore di colore della storia della Repubblica italiana, primo e più paradossale fra i razzisti. Tonino ribalta i ruoli del pianosequenza iniziale fra cacciatore e preda inseguendo i nemici di sempre, riemersi, come topi che escono dalle fogne, dalle coltri della Storia, ma questi saranno destinati a sparire ancora una volta, a inoltrarsi nel bosco, a mimetizzarsi nella natura, nel mondo, nella società. E rimane giusto il tempo per lo sguardo di Tonino nel vuoto, perso nella consapevolezza di un male multiforme e camaleontico che ritorna ciclico, e che ciclicamente va stanato e combattuto con La lotta.
Il nuovo corto realizzato a pugno chiuso da Marco Bellocchio – in febbrile attesa del prossimo lungometraggio, appena annunciato in preproduzione – è una stratificata rilettura storica, è un accorato omaggio ai partigiani, è un piccolo manuale di scrittura e tecnica cinematografica nata da una geniale intuizione visiva e temporale, è un commovente apologo alla Resistenza, è un ben preciso invito a riaprire gli occhi sulla realtà, imparando dal passato. Ma soprattutto è un ben preciso monito per il presente e per il futuro, è uno spronare le coscienze a tornare a resistere, è un’esortazione fondamentale. Bisogna imbracciare ancora una volta il fucile, bisogna uscire in strada, bisogna tornare alle montagne, alla Resistenza sul campo, all’eroismo della gente comune. Bisogna tornare partigiani, bisogna tornare alLa lotta per la libertà, per l’equità, per la giustizia. Per l’amore. E dire tutto questo in maniera così potente e in meno di un quarto d’ora, in purissimo linguaggio cinematografico di strabordante poetica e senza un solo briciolo di retorica, è una cosa per pochi registi. Molto pochi. Che non a caso sono detti giganti.

Marco Romagna

“The Fight” (2018)
Short, Drama | Italy
Regista Marco Bellocchio
Sceneggiatori Marco Bellocchio
Attori principali Fabrizio Falco, Barbara Ronchi
IMDb Rating N/A

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