8 Novembre 2017 -

ZOMBILLENIUM (2017)
di Arthur De Pins e Alexis Ducord

As soon as you’re born
they make you feel small
By giving you no time instead of it all
Till the pain is so big
you feel nothing at all
A working class hero is something to be
They hurt you at home
and they hit you at school
They hate you if your clever and they despise a fool
Till you’re so fucking crazy
you can follow their rules
A working class hero is something to be
A working class hero is something to be
When they’ve tortured
and scared you for 20 odd years
Then they expect you
to pick a career
When you can’t really function you’re so full of fear
A working class hero is something to be
A working class hero is something to be
Keep you doped with religion and sex and TV
And you think you’re so clever and classless and free
But you’re still fucking peasants as far as I can see
A working class hero is something to be
A working class hero is something to be
There’s room at the top
they are telling you still
But first you must learn
how to smile as you kill
If you want to be like the folks on the hill
A working class hero is something to be
If you want to be a hero just follow me
If you want to be a hero well just follow me
John Lennon, Working class hero

“We are the working dead”. Basterebbe questo cartello, portato in corteo durante la rivolta dei “mostri di serie B” contro le oppressioni degli affascinanti e capitalisti vampiri, per ritrovare tutto lo spirito puramente romeriano di Zombillenium. Non è la prima volta che il cinema d’animazione torna agli zombie, e non è la prima volta che permette loro di incarnare nuovamente quella metafora anticapitalista per cui George Andrew Romero li ha ri-plasmati per la prima volta nel ’68 dalla tradizione haitinana. Se al Trieste Science + Fiction Festival dello scorso anno questo onore era toccato al buon horror di Seoul Station, in cui era probabilmente troppa la velocità dei voraci morsicatori1 ma persino il centro commerciale, simbolo cardine di Dawn of the Dead, tornava in una sorta di versione coreana dell’Ikea a esercitare tutta la sua potenza metaforica, quest’anno a chiudere in “cartoni” e in non-morti la kermesse triestina è un film impossibile da rinchiudere nella gabbia di un genere, ribollente e inclassificabile, ambizioso e stratificato, popolato sì da zombie (e se è per quello pure da un intero campionario di demoni, streghe, vampiri, mummie, scheletri e lupi mannari), ma che si tiene consapevolmente ben lontano dalle atmosfere orrorifiche e da qualsivoglia cliché.
È un vero e proprio frullato di generi Zombillenium, progetto franco-belga realizzato in computer grafica da Arthur De Pins e Alexis Ducord – e già abbiamo detto più volte, dal tratto cubista di Gagnol-Felicioli (Un gatto a ParigiPhantom Boy) alle tavole coloratissime di Remy Chayé, passando per lo stop motion di Claude Barras e gli acquerelli di Sébastien Laudenbach, quali vette stia raggiungendo il polo transalpino nel cinema di animazione in questi anni – ispirato a una serie di fumetti dello stesso De Pins ma dalla sinossi totalmente inedita, esplosiva fra l’azione e il melodramma, fra il supereroistico e i rapporti padre-figlia, fra il musical e il coming of age, fra la fiaba nera e l’afflato politico che invita alla Rivoluzione, fra la commedia satirica e la (ri)scoperta dell’umanità, fra i problemi dell’istruzione e la lotta di classe contro le storture vampirizzanti del capitalismo. È un film perfetto per ogni target, Zombillenium, stimolante per qualsiasi fascia d’età, debordante nella narrazione e nei cambi di tono, tecnicamente ai limiti dell’impeccabile con il suo tratto marcato e le sue profondità di campo di memoria quasi espressionista, e al contempo complesso e profondo nelle tematiche, fortemente politico e fortemente umano. La sua grande forza sta nella capacità di innestare in un tessuto narrativo straordinariamente avvincente, fatto di creature demoniache e padri affettuosi, di scope volanti 2.0 e di infuocate telefonate di Satana, di vampiresche apparizioni improvvise e di inseguimenti mozzafiato di pensionati ubriachi e armati di lupara, di scatenate danze e di improbabili duetti rock, di sovra(o)pposizioni fra divertire e spaventare e di almeno un paio di sequenze quasi commoventi fra l’annuncio d’amore di una figlia e la profonda dignità del filantropo sconfitto, una straordinaria allegoria sociale, nella quale il parco di divertimenti Zombillenium, anticamera e porta per l’inferno nel suo concretizzare Halloween, deve sottostare alle stesse identiche leggi del profitto, agli stessi identici cambi di linea e alle stesse identiche ingiustizie alle quali assistiamo ogni giorno nel mondo degli umani.

È un perfetto specchio della società capitalistica, quello che si annida fra le maglie della trama e in quasi ogni dialogo di Zombillenium, ed è una sorta di superamento della metafora romeriana, che la rende in un certo senso ancora più lampante. Se infatti in Romero gli zombie, per quanto in sostanza incolpevoli e progressivamente sempre più “umani” di fronte alla bestialità egoistica degli uomini, finiscono pur sempre per asserragliare e divorare i protagonisti, ponendosi come esseri mostruosi e “cattivi” del film, in Zombillenium la prospettiva viene ribaltata: qui, con respiro magnificamente burtoniano, sono proprio i mostri i protagonisti, il punto di vista, i “buoni” per i quali parteggiare. Quello che in Romero era lasciato sottinteso, ovvero il sostanziale ruolo di vittime della cannibalizzazione da parte del capitale che, per i non-morti, sta all’origine del loro diventare inconsapevoli e inarrestabili carnefici guidati dal puro istinto, in Zombillenium si palesa in una vera e propria classe operaia, composta per la stragrande maggioranza da zombie ma anche da demoni, streghe e altri mostri “non affascinanti” schiacciati dalla classe dominante dei vampiri, magari in combutta con esseri umani ancor più vampireschi di loro. Zombillenium verrà accantonato e snaturato per aprire a Vampirama, altra allegoria sorniona nella quale viscidi e vanitosi succhiasangue à la Twilight si esibiscono per arrapare frotte di ragazzine, ma i vampiri, da vampiri, finiranno per sciogliersi come neve ai primi raggi di sole, e il popolo, da popolo, non potrà che ribellarsi e lottare fino al ritorno della giustizia sociale.
Quasi nessuno si salva, nei cunicoli metaforici di Zombillenium. Né gli esseri umani ancora vivi, investitori pronti a tradire altri imprenditori come a calpestare lavoratori in nome del profitto, né la scuola, incarnata da una professoressa lunatica che quasi bullizza i bambini e in particolare la piccola e sola Lucie. E non si salva, per lo meno da vivo, nemmeno Hector, il protagonista, che non certo per caso è inizialmente un ispettore del lavoro che non ha il minimo scrupolo a far chiudere fabbriche e negozi con annessi licenziamenti e famiglie rovinate, e che da padre vivo non ha il minimo scrupolo nel chiudere la figlia già orfana di madre in un collegio per vederla solo nel weekend. Solo una volta morto e assunto a Zombillenium, man mano che la rabbia e la paura di un padre protettivo lo trasformano, un po’ come Hulk, in un demone (buono e a fin di bene) sempre più grande, sempre più rosso e con le corna sempre più minacciose, saprà ritrovare la sua umanità perduta, le sue responsabilità di padre e l’amore di una figlia, alla quale magari regalare anche una madre tatuatissima e volante come Gretchen, strega e figlia (manco tanto segreta) del diavolo. Un diavolo che, per quanto Male assoluto, è pur sempre anche lui un padre, che non potrà che restituire alla figlia, messo di fronte al suo eroismo e alla sua profonda voglia di giustizia, i poteri che le aveva tolto per sedare il suo spirito ribelle. E poi c’è, ambiguo e complesso, ma a suo modo eroico e assolutamente positivo, pure il personaggio di Francis Von Blodt, vampiro creatore e direttore del parco, che è sì l’assassino di Hector, ma si scoprirà andando avanti una sorta di salvatore dei mostri dalle fiamme dell’Inferno, in grado di convincere Satana ad aprire il parco/limbo e a non pretendere le anime chi ci lavora. È un direttore giusto, sotto il quale tutti i lavoratori hanno pari diritti, sotto il quale non esistono divisioni di classe, e sarà il primo, una volta destituito, a scendere fra gli strati più umili della popolazione di Zombillenium per rimboccarsi le maniche e faticare insieme a loro. Dall’iPad al sudore, dalle telefonate demoniache su Skype alla bava del Cerbero che ringhia contro i servi. La sua caduta dalla direzione del parco alla ruota/aratro da spingere alle porte dell’Inferno per dare energia al campo è l’ingiustizia più grande, è il momento più smaccatamente politico, ed è l’anticamera per la nuova ribellione, quella definitiva, quella che salverà il parco e le anime (angelicamente dannate) di chi lo popola.

Ritrovando la propria umanità e la propria figlia, Hector ritrova anche la coscienza di chi lavora occupando le sfere più basse della piramide sociale. I vampiri sono affascinanti nel loro charme, nella loro capacità di sparire e riapparire, nel loro trasformarsi in sciami di pipistrelli, nei loro denti bianchissimi e appuntiti. Ma sono gli zombie, i demoni, le mummie e i lupi mannari, quelli “brutti”, quelli che nessuno vuole vedere, a permettere alla ruota di girare e al parco di andare avanti: è il popolo che lavora dal basso, dalla porta dell’Inferno, svolgendo le mansioni più umili e faticose, ad avere le chiavi della società. Senza il suo sudore, la macchina di Zombillenium/Vampirama, e quindi dello Stato capitalista, non potrebbe mai funzionare. Ma, a volte, per capirlo bisogna avvicinarsi alle fiamme dell’Inferno. La morte e dannazione di Hector, e il suo diventare una creatura di proprietà di Satana, diventano quindi la sua salvezza, la sua vita eterna, il suo ritrovare amore e famiglia, il suo modo per vivere per sempre felici e contenti. Ai bordi dell’Inferno, a Zombillenium, parco a tema fatto di mostri veri, finalmente spaventoso e quindi divertente, finalmente in attivo, finalmente salvo dalle minacce di chiusura imposte dalle ragioni del capitale, finalmente governato secondo criteri di equità e giustizia, l’uomo-mostro si trasforma nel mostro-uomo, come a dire che appartenere al diavolo con tanto di corna e ali può essere molto meno grave dell’appartenere alla società dell’economia e del lavoro. E proprio in questo paradosso, nella necessità di andare al di sotto della superficie per capire e giudicare persone e situazioni complesse, nella necessità di rifiutare le classificazioni preconfezionate, nella necessità di rimboccarsi le mani e combattere quotidianamente per la giustizia, sta tutta la vis politica di Zombillenium, tutta la sua potenza, tutta la sua lucidità.
Capita di rado di trovarsi di fronte a prodotti tanto smaccatamente schierati, specialmente nel cinema d’animazione. Zombillenium è arrabbiato, graffiante, dissacrante, acidulo, per molti versi anarchico, ma mai sopra le righe. Racconta una storia, e lo fa animando una schiera di personaggi infernali che si muovono in un mondo allegorico della periferia/inferno di ogni città. È stato realizzato nella Francia delle banlieue, ma Zombillenium potrebbe essere in ogni angolo del mondo, ovunque ci sia diseguaglianza sociale, ovunque ci siano oppressori e oppressi, ovunque ci siano classi sociali da limare e da abbattere. Ovunque ci sia una regolamentazione del lavoro che calpesta i diritti fondamentali degli individui, ovunque ci siano servi e padroni. Ovunque ci sia crisi, ovunque serva un’idea geniale per rilanciare lo spettacolo. Quello di De Pins e Ducord è un film profondamente operaio, sognante, marxista, ostinatamente dalla parte dei lavoratori, di chi fatica per il bene comune, di chi lotta. È una piccola perla con la quale volare, prima con la Mini e poi sulla scopa, e infine fra le braccia di un padre ritrovato. Fra le nuvole, verso l’infinito. Oltre la morte, oltre l’aspetto mostruoso, oltre le ingiustizie e le storture. Perché “We are the working dead” e, oggi come ieri, “A working class hero is something to be”.

Marco Romagna

1 “Zombies don’t run”, amava dire Romero scagliandosi contro la sostanziale telenovela di The Walking Dead, rivendicando la lentezza e la goffaggine dei “suoi” non-morti come ben precisa metafora delle trame del capitale.

“Zombillénium” (2017)
78 min | Animation, Comedy, Fantasy | France / Belgium
Regista Arthur de Pins, Alexis Ducord
Sceneggiatori Alexis Ducord, Arthur de Pins (book)
Attori principali Emmanuel Curtil, Alain Choquet, Kelly Marot, Alexis Tomassian
IMDb Rating 6.7

Articoli correlati

IL VENERABILE W. (2017), di Barbet Schroeder di Erik Negro
BLADE OF THE IMMORTAL (2017), di Takashi Miike di Marco Romagna
L'AMANT D'UN JOUR (2017), di Philippe Garrel di Erik Negro
MADAME HYDE (2017), di Serge Bozon di Marco Romagna
LA STANZA DELLE MERAVIGLIE (2017), di Todd Haynes di Marco Romagna
BARBARA (2017), di Mathieu Amalric di Erik Negro