“Maddalena sopra ai viali
Quando è buia la città
Con la barba ben nascosta e una gonna di taffettà
Maddalena si trascina tra i profumi di Chanel
Protettori e delinquenti e le stanze di un motel
Maddalena è un bastimento che non porta marinai
È un assurdo calendario dove il sole non c’è mai
Maddalena può fermarsi percorrendo la sua via
Tra lo scherno della gente per un po’ di compagnia
Maddalena riformato
Non è uomo che a metà
Definito, rifiutato per sessuale ambiguità
Maddalena fuori posto tra i normali non ci sta
È una specie di contorno, paradisi non ne ha
Maddalena a Casablanca come al monte di pietà
Per cambiare le sue carni alterando la realtà
Maddalena mascherata punta al largo la sua prua
Ha provato a trasformarsi quasi fosse colpa sua”.Pierangelo Bertoli, Maddalena
Sta tutto nel titolo, in quel Il futuro è donna dal quale già emerge la prosecuzione della riflessione di Marco Ferreri nei rapporti di coppia: a (s)regolare i rapporti fra uomo e donna sono una serie di equilibri, di aspettative, di ossessioni, di desideri, di dinamiche di dominio e sottomissione che costantemente mutano pelle insieme alle prospettive. Era il 1984, la rivoluzione sessuale e il radicale cambio nei costumi aveva già fatto il suo corso da oltre un decennio, e il cinema di Ferreri si era già ampiamente inoltrato nelle dinamiche uomo-donna dallo sfruttamento delLa donna scimmia fino all’evirazione di Depardieu messo in scacco dalL’ultima donna Ornella Muti, passando per La Cagna Catherine Deneuve che smette di seguire il “padrone” Marcello Mastroianni e per il ribaltamento delL’Harem nel quale gli uomini, messa (per un po’) da parte ogni loro mascolinità, attendono di essere chiamati come sostanziali concubini. Il futuro è donna, perché sono le donne a regolare ogni rapporto, a prendere ogni decisione, a portare in grembo, a dare la vita, a fare e disfare famiglie, a frenare o alimentare il desiderio maschile in base ai propri appetiti, mentre gli uomini sono degradati a oggetti poco più che sessuali, pronti a eseguire pedissequamente gli ordini di chi conduce il gioco, pronti a rendersi conto del proprio ruolo di scudo, pronti a morire per proteggere la rotondità di un ventre, una vita in arrivo, i propri amori di un’impossibile famiglia allargata e morbosa. Il futuro è donna è ancora una volta il decalogo delle ossessioni che Ferreri ha sempre messo in scena in tutta la mostruosità del quotidiano: è il cibo “per due” che ancora Ornella Muti, se possibile ancora più bella durante la sua seconda gravidanza, mentre quella che nella vita reale sarà Carolina le cresceva e prendeva forma dentro il corpo, consuma in continuazione; è un rapporto a due che non può che diventare a tre seguendo gli ammiccamenti e i desideri per poi tornare a due seguendo le tragedie; è un rapporto che non può che rivelare tutta la sua natura malata di sognato incesto: una futura madre che diventa una figlia/amante, una coppia che diventa un trio in attesa della nuova generazione, un feto che diventa bambino, mentre tutto intorno cambia, muore, piange. Fugge, ma solo dopo aver assicurato il futuro all’innocente.
Nella filmografia di Marco Ferreri, Il futuro è donna è probabilmente il titolo più sottovalutato, troppo spesso considerato, a torto, un film sbagliato e confusionario quando invece è profondamente denso di suggestioni e di riflessioni, di seduzioni e di crudeltà del destino. Certo, sembrano lontani i tempi della satira sociale acidula de L’udienza, così come paiono lontani l’onirico di Dillinger è morto e lo spirito baccanal-suicida de La grande abbuffata, mentre dall’altra parte, alle suggestioni cinematografiche evocate dal lavoro del personaggio interpretato da Hannah Schygulla fra le teste giganti di Marlene Dietrich e di Greta Garbo e la proiezione di spezzoni tratti da L’angelo azzurro, manca forse ancora quella maturazione tragica e definitiva, “Il cinema è morto”, che farà chiudere la carriera a Ferreri con il magnifico e nostalgico Nitrato d’argento, presentato a Venezia pochi mesi prima dell’infarto che porterà via per sempre uno dei registi più “ostinati e contrari” che la cinematografia non solo italiana ricordi. Con la collaborazione di Piera Degli Esposti – omaggiata al Biografilm 2017 (anche) con questa proiezione in un magnifico 35mm del tempo – e della scrittrice Dacia Maraini, Ferreri aveva appena completato il magnifico Storia di Piera, e venne quasi naturale mantenere la stessa “formazione” per la stesura della sceneggiatura di Il futuro è donna, quasi a riecheggiare anche in fase di scrittura quelle che saranno le dinamiche del trio messo in scena. E infatti, probabilmente a causa del doppio sguardo femminile, Il futuro è donna risulta come un film atipico nell’opera di Marco Ferreri, meno “perfido” del solito, meno freddo, meno distante. Sta tutto in quei ripetuti «E io?», in cui qualcuno è sempre insoddisfatto, solo, irrazionale nei suoi sentimenti e desideri sempre più contrastanti. Per lo meno finché gli uomini non perdono definitivamente, finché non si perpetra ancora una volta la distruzione di un uomo degradato a oggetto, ormai inutile. Perché poi sta tutto anche nel finale, in quel lascito di vita dopo l’irrompere della morte, in quel saluto illacrimato di una madre che riporta sì al classico cinismo ferreriano, ma che in un certo senso lo ribalta, perché ogni donna ottiene il meglio, ciò che voleva: chi mantiene la sua indipendenza, chi avrà il figlio che mai era riuscita ad avere, chi avrà una madre con la quale crescere.
Inizia tutto per caso, da un tentativo di violenza sessuale in un locale, da una richiesta d’aiuto che viene accolta, e la coppia composta da Anna e Gordon, lui che impazzisce per lei al punto di ritrovarla bendato seguendone solo l’odore, si trova di fronte Malvina, una ragazza sbandata e incinta, sola con la perfetta rotondità del suo ventre e delle sue gote, proiezione di quella gravidanza sempre desiderata, eppure mai arrivata. È un ventre che può interrompere i litigi, intenerisce, fa deflagrare i sentimenti. La dinamica è quella di un gioco di ammiccamenti e tentazioni, di desideri e di gelosie, di sesso e di doppia consapevolezza: da una parte quella di non poter avere un bambino, dall’altra quella di non saperlo crescere. Fra repentini cambi d’umore e le difensive indecisioni che anticipano la passione, quello che sui sviluppa fra i tre è un vortice fatto di desiderio che diventa sesso e poi forse amore, in cui sono sempre le donne a condurre il gioco, a sedursi a vicenda e poi a sedurre insieme l’uomo, e mai il contrario. Anzi, ogni volta che qualcun altro avvicinerà Malvina e/o Anna, minaccioso o disperato, vestito o nudo, verrà puntualmente respinto, allontanato, spinto verso quell’autodistruzione dell’uomo che Ferreri ha sempre teorizzato. Fra vestiti scambiati, pance finte, serate nei locali, dormite in macchina e amore sui letti, il cinema di Ferreri passa ancora una volta per il degrado urbano e sociale, per il cadavere trovato in macchina ancora con la siringa nel braccio, per chi sfonda i cancelli per il concerto di Pierangelo Bertoli, e insieme ai cancelli finirà anche, nell’orda barbarica umana, per calpestare e sfondare il cranio di Gordon, mentre il concerto non potrà che continuare quando ormai il pubblico non c’è più, e sugli spalti sono rimasti solo Anna, Malvina, la sua pancia e il corpo ormai senza vita dell’uomo che le ha amate fino alla fine. Ferreri ambienta la sua storia in un mondo che non esiste, che passa senza soluzione di continuità, con la Alfa Giulietta targata Messina guidata da Anna, dalla riviera romagnola dei locali ai primi centri commerciali a Milano, passando per il Palasport di Ferrara e per le spiagge che guardano verso la Valle dei Templi in Sicilia. Rimane Hannah Schygulla, il frugoletto fra le mani, il tempo di un addio. È il destino, è un’auto che parte ancora una volta sgommando, è Ornella Muti, non più rotonda, che si allontana per sempre salutando con la mano, sicura che la sua progenie sarà amata e protetta dalla buona madre che lei non sarebbe mai potuta essere. Il futuro è donna, perché è nelle donne che è riposto l’ultimo barlume di speranza.
Marco Romagna