22 Maggio 2017 -

L’INTRUSA (2017)
di Leonardo Di Costanzo

Le colpe dei genitori non dovrebbero mai ricadere sui figli, e nemmeno sulle mogli. Eppure, in una società di poteri oscuri, violenti e spietati, di minacce e di sparatorie, di vittime innocenti e di inevitabile paura, è perfettamente comprensibile come un altro genitore non voglia che i propri figli convivano con quelli dei camorristi, come li tema, come li escluda anche quando accoglierli potrebbe essere l’unico modo per salvarli dallo stesso destino criminale di chi li ha messi al mondo. È una striscia di Moebius di povertà e dolore, è l’eterno rinnovarsi di un paradosso che serpeggia sotto la pelle della quotidianità e sopravvive alle generazioni, è una società di barricate, di “con” o di “contro”, di bianchi o di neri che rendono impossibili le scale dei grigi. Non si può scartare da una delle due strade parallele, non ci sono possibili biforcazioni: ci sono solo capitoli di quotidianità che scarta temporaneamente dai binari, spiragli che si aprono ma che prima o poi in qualche modo verranno chiusi, e a nulla serve una sola donna contro la collettività, a nulla serve la ragionevolezza contro la “sicurezza”, a nulla serve l’equilibrio contro la paura.
Escludendo la breve partecipazione al film collettivo I ponti di Sarajevo (2014), avevamo lasciato Leonardo Di Costanzo, documentarista nativo di Ischia attivo sin dagli anni Ottanta, a Venezia 2012 e al suo primo lungometraggio di finzione, quel L’intervallo proiettato nella sezione Orizzonti a far nascere e crescere il rapporto fra due ragazzini forzatamente rinchiusi, per un pomeriggio appunto di “intervallo” umano dalla piattezza e dall’ombra di una routine di grande o piccola collusione, in una vecchia fabbrica abbandonata alla periferia di Napoli. Dalla stessa periferia di Napoli, e dallo stesso concetto di sospensione al quale dovrà necessariamente seguire il ritorno dello status quo, mentre ognuno, più che artefice, appare come una vittima del proprio destino, riparte Di Costanzo con L’intrusa, nuova opera di finzione presentata a Cannes 2017 alla Quinzaine des Réalisateurs, nuova opera che nasce e necessariamente si radica nel territorio e nelle situazioni che lo rendono un microcosmo a sé stante, nuova opera non sulla camorra, ma su chi è costretto a conviverci, a rifiutarla, a combatterla, fra il volontariato e la prevenzione, nei modi più disparati. E disperati.

Giovanna, donna giunta dal Nord, ha aperto da diversi anni un centro per bambini, un luogo sicuro nel quale crescere lontani dalla violenza, un luogo solidale nel quale trovare rifugio, con tanto di casupola indipendente e abitabile per chi si trova in difficoltà. Un giorno, però, si presenta in grandi forze la polizia, e dalla casa che avrebbe dovuto ospitare una madre sola con due bambini esce, in manette, un noto camorrista picchiatore e omicida, ora portato via in macchina verso il probabile ergastolo. La giustizia ha fatto il suo corso, eppure Maria, che ha sì ingannato Giovanna sulla sua reale identità e sulla presenza del proprio marito, ma ora è davvero una donna sola, senza nulla a parte i due figli e realmente bisognosa d’aiuto, diventa per tutti L’intrusa, la pietra dello scandalo, una presenza pericolosa e sgradita della quale liberarsi. O meglio, lo diventa quasi per tutti, perché Giovanna e i suoi volontari sono gli unici a capire perfettamente la situazione, sono gli unici a continuare ad accettare e aiutare una donna povera condannata dalla sua parentela, ennesima vittima innocente negli atroci giochi di specchi di quel mostro fagocitante chiamato camorra. Come sono gli unici a vedere la complessità di una bambina che si rifiuta di andare a scuola perché si vergogna del padre, eppure non ha alcun problema, fra un calcio al pallone e un momento di tenerezza con la madre, a suggerire a un altro bambino di uccidere un cane “col veleno, non con la pistola, altrimenti poi qualcuno sente lo sparo e ti portano in prigione”.
L’intrusa è un capitolo, è uno spaccato, è un momento. È un’ellissi che interrompe un equilibrio precario, ma è anche uno spaccato sociale quasi documentaristico nella precisione del suo valore paradigmatico: è l’hic et nunc di una periferia nella quale la malavita e la relativa paura di chi non ne fa parte sono quasi fisici, palpabili, respirabili, come barriere invisibili che non possono più concepire le ragioni e forse nemmeno l’umanità. È un mondo di sospetti e tensione che non può che diventare teatro della lotta quasi solitaria di una donna che ha basato la sua vita sul volontariato, Giovanna, che per non tradire i propri principi disposta a difendere un’altra donna, L’intrusa Maria che l’ha ingannata, di fronte agli altri genitori, di fronte alla scuola che chiede espressamente di mandarla via altrimenti non manderanno più i bambini al centro, di fronte persino alle lacrime di una madre il cui marito è stato selvaggiamente picchiato per un pizzo non pagato di fronte alla figlioletta, da quel momento rimasta muta per lo shock. “Per me sei semplicemente Maria, una ragazza che ha bisogno d’aiuto”, e del resto l’accoglienza “è l’unico modo per salvare i bambini dalla stessa strada del padre”.

La messa in scena di Di Costanzo è necessariamente priva di fronzoli, fotografata badando al realismo, alla credibilità, alle emozioni contrastanti in un microcosmo di sole vittime, dove forse non esistono una ragione e un torto, ma esistono solo le ragioni delle due parti, entrambe granitiche. E, del resto, L’intrusa non è certo capire chi abbia ragione fra le due campane, quella di chi subisce un cancro nella società e di chi ne subisce il riflesso: ciò che interessa a Di Costanzo è scavare nell’umanità dei suoi personaggi, è fare emergere come anche la moglie di un camorrista – che, da buona moglie di un camorrista, non riesce a rinunciare ad alzare la voce e minacciare chi vorrebbe lei e i suoi figli in mezzo a una strada o per lo meno lontani dalle proprie frequentazioni – nient’altro sia che una mamma come le altre, che si sveglia di notte per mettere il biberon a bagno maria, che pulisce il pargoletto neonato, che cresce al meglio possibile la figlia nelle difficoltà di chiunque, unite a quelle di un marito in carcere per sempre e a quelle del sospetto della collettività nei suoi confronti. E a nulla serve mettersi davanti allo specchio, mettersi con cura il rossetto, essere ancora piacente: ormai il bollo d’ignominia è già appiccicato, l’integrazione è impossibile. Non qui, per lo meno. Non ha senso costringere Giovanna, buona e idealista, a una scelta dolorosa e impossibile fra bisognosi e altri bisognosi: si può solo andare via alla chetichella, si può solo chiudere quel capitolo all’improvviso, così come era stato aperto, si può solo darla vinta ai più e andare incontro al proprio – probabilmente orribile – destino. Mentre la comunità, sorridendo come se nulla fosse, può finalmente celebrare la propria festa, il carro carnevalesco che alza il cappello costruito dai bambini con lunga pazienza e con molte biciclette, i prodotti della terra coltivati insieme, la collettività che torna al suo equilibrio, per lo meno fino alla prossima svolta inaspettata, fino al prossimo capitolo, fino alla prossima intrusa. Fino alla prossima ridefinizione di una città.
Quello di Leonardo Di Costanzo è un film piccolo e sincero, semplice e potente, fatto sì di messa in scena, ma nel quale è la realtà, e ancor di più l’umanità in una realtà fatta di rapporti instabili, azioni e reazioni, l’aspetto che maggiormente interessa cogliere. È un film che ci dice che l’integrazione deve essere possibile, con ogni intruso e con ogni intrusa, con i parenti della camorra come, potremmo aggiungere, con gli immigrati, e che il rifiuto è il paradosso, ciò che spinge verso il motivo del rifiuto, il cane che si morde la coda. L’intrusa sono momenti, dialoghi, piccole aperture, sortite nella cucine comune quando finisce la bombola e costanti disvelamenti, costretti ad andare a sbattere su muri di silenzio, di omertà, di paura e autodifesa di chi è onesto, o per lo meno è convinto di esserlo. L’intrusa, film di etica e di esseri umani, di situazioni complesse e di paradossi sociali, tutti sono vittime e tutti sono carnefici, tutti hanno ragione e tutti hanno torto. E poco importa se in qualche passaggio la recitazione può risultare un po’ stentata, magari più fluida in napoletano che in italiano, fa parte della veridicità del film, del suo porsi come documento storico di una fase che, da qualche parte in Campania, ogni giorno si apre e si chiude. Il neorelismo italiano è ancora vivo e vegeto. Basta avere voglia di coglierlo, di immergercisi, di viverlo ancora.

Marco Romagna

“The Intrusion” (2017)
N/A | Italy
Regista Leonardo di Costanzo
Sceneggiatori Maurizio Braucci, Bruno Oliviero, Leonardo di Costanzo
Attori principali Marcello Fonte, Raffaella Giordano
IMDb Rating N/A

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