7 Marzo 2015 -

Peter Tscherkassky
il Cinema come rapporto fisico

E’ sempre difficile andare a ritroso, cercare le traiettorie di un percorso linguistico e storico che si è voluto estirpare e relegare oramai in uno spazio discriminato, tra l’archeologia e il marginalismo. Parlare di avanguardia oggi, in Italia soprattutto, non è facile anche perchè i momenti ad essa destinati sono sempre minori. Uno di questi, estremamente significativo ed importante, è stato dedicato dal Filmmaker Festival di Milano (nella sezione Fuori Formato, grazie a Tommaso Isabella e Giulio Bursi) in questi giorni a Peter Tscherkassky, ed alla collega e compagna Eve Heller. Per questo motivo ha ancora più senso porre l’accento sull’opera del cineasta austriaco nei termini dell’importanza che ricopre non solo nei confronti della settima arte, ma anche e soprattutto verso la produzione e la ricerca audiovisiva intesa come possibilità estetico-espressiva del rapporto suono-immagine. Cineasta, manufattore di cinema, sperimentatore ossessivo di linguaggi, tecniche, strumenti e possibilità espressive legate all’uso (e abuso) del materiale filmico. Al contempo, autore di testi critici (il suo splendido “Film Unframed” sulla storia di tutto l’avant-garde austriaco), organizzatore di eventi legati all’avanguardia e al foundfootage. Inoltre è fondatore e direttore della Sixpackfilm, dal 1991 al lavoro per la produzione e promozione di lavori di cinema sperimentale e di video arte austriaci.

A partire dai suoi lavori in Super8 di matrice strutturalista “Erotique”, “Ballet 16”, “Urlaubsfilm”, “Liebesfilm”, “Tabula Rasa” (1982-1988) l’occhio cerca un residuo di forme nella proiezione materica di luce e ombra, cerca tracce dell’immagine originaria che il film porta ancora con sè, pur nella più radicale manipolazione. Lavori come “Manufraktur” (1985) e “Shot-Countershot” (1987) rappresentano un chiarissimo esempio di come le tecniche moderne di composizione audiovisiva digitale crollino di fronte alla potenza espressiva dell’analogico. Tra la capacità sinestesica e la complessità multistratificata di campi, controcampi, illuminazioni e tecniche di montaggio che solo il lavoro su pellicola è in grado di garantire. Da sempre cara al regista austriaco, la pratica del found-footage è accompagnata dall’uso del formato CinemaScope, nel primo brevissimo eseperimento “Get Ready” (1999), poi nella trilogia omonima composta dal pluripremiato e seminale “Outer Space” (1999), lo splendido “Dream Work” (2001) e lo pseudo-teorico “Instructions for a Light and Sound Machine” (2005). Fino all’ultimo “Coming Attractions” (2010), riflessione sui possibili punti di contatto tra il cinema delle origini e le avanguardie, nella loro comune capacità di creare una forma di attrazione ed astrazione, da cui il titolo dell’opera, tra cineasta, attore e pubblico.

Il metraggio trovato, cercato, estrapolato sia dalla storia del cinema che dalle pellicole contemporanee, diventa per Tscherkassky punto di inizio di un lavoro ossessivo sui dettagli del fotogramma, una decostruzione iconografica, un gioco di sovrimpressioni, un attacco frontale ai sensi dello spettatore, immerso nell’alternarsi martellante del ritmo del flicker. Tramite una modalità di lavoro anarchicamente e fieramente analogica (creare copie su pellicola vergine impressionabile da materiale d’archivio e film su pellicola impressionata), in grado di operare con fotogrammi 16mm e 35mm “trattandoli” come singoli scatti fotografici su cui lavorare in camera oscura (attraverso l’uso di vari tipi di luci per l’esposizione, fino addirittura al laser) e da cui ricavare la massima potenzialità immersiva in fase di editing e montaggio. Senza in questo dimenticare lo straordinario lavoro sul suono che caratterizza tutti i film di Tscherkassky, realizzato spesso dal musicista Dirk Schaefer, ma altrettanto spesso dallo stesso autore creando traccie sonore ottiche direttamente in camera oscura, come nel caso de “L’Arrivée” (1997-1998), “Happy End” (1996) o “Nachtstück” (2006), la cui partitura sorregge e arricchisce il montaggio ritmico delle immagini.

Filosoficamente il rapporto di Tscherkassky con il cinema è di espressione puramente materica ed artiginale, un atto di amore e fisicità quasi erotica nel mostrare continuamente la (de)costruzione dell’immagine, lo spazio che sta tra la luce e le tenebre. Il lunghissimo lavoro demiurgico in camera oscura è quello di un fabbricatore di immagini (e di idee) che creano enorme spaesamento, derealizzazione ed estasi. Un approccio che fonda le radici nei padri dell’avant-garde americano (l’immenso Brakhage, su tutti) che ora diventa ancora più seminale e resistente, perchè unico, irreplicabile quanto impossibile. Nell’era in cui la pornografia del visibile e l’invasione del digitale relega l’immagine ad un momento di superficialità e commercialità, l’opera e la poetica di Tscherkassky sconvolgono come non mai per coerenza e purezza, perchè riscrivono anche la nostra storia attraverso le storie del cinema. Un’esperienza unica.

Erik Negro

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