9 Novembre 2016 -

SEOUL STATION (2016)
di Yeon Sang-ho

Seoul Station, visto come ultimo film al Trieste Science+Fiction Film Festival, è il prequel di Train to Busan, blockbuster sudcoreano a tema zombie che avevamo visto alla Festa del Cinema di Roma e che ci era piaciucchiato con varie riserve. Di entrambi, il regista è Sang-ho Yeon, autore principalmente di film d’animazione, il più celebre dei quali è probabilmente The King of Pigs (2011), brutale dramma a tema politico che mostrava una società infantile violenta strutturata per classi sociali e sopravvivenza del più forte. Con Train to Busan, Yeon si è separato da queste tematiche momentaneamente per dedicarsi ad un film di intrattenimento puro, girato meravigliosamente ma convenzionalissimo nella struttura narrativa e nella psicologia dei personaggi. Da un punto di vista politico, in Train to Busan l’unico punto di riferimento è l’antagonista principale, l’uomo d’affari impaurito che, non capendo la differenza tra i protagonisti e gli zombie, causa molta incomprensione, alimenta la paura e, per codardia, uccide varie persone. Tra parentesi: questi zombie non sono, almeno visivamente, gli zombie romeriani, ma sono gli “infetti”, quelli di The walking dead, The girl with all the gifts e World War Z: veloci, pericolosissimi. Seoul Station è un film animato ambientato nel centro di Seoul la sera prima degli eventi di Train to Busan, ma è un “sottofondo narrativo” di cui Seoul Station ha bisogno giusto per vendersi meglio, visto che a livello logico ha poco senso: in Train to Busan sembra cominciare al mattino l’apocalisse zombie, e avrebbe poco senso che nessuno ne sappia nulla dopo una notte delirante e violenta come quella raccontata in Seoul Station. Più che un prequel, è probabilmente una sorta di “alternativa”, e in quanto tale ha pregi e difetti diversissimi rispetto a Train to Busan.

Anzi, sotto un certo punto di vista, i film sono opposti: come Train to Busan è efficace a livello di regia e di montaggio ma non di sceneggiatura, Seoul Station ha una storia forte e corposa ma uno stile d’animazione marcio e amatoriale che non riesce a essere efficace fino in fondo. Seoul Station però ha la marcia in più dell’essere innegabilmente intenso a livello narrativo e anche dell’essere, comunque, “girato bene”, nel senso proprio delle inquadrature e del ritmo invece che dell’animazione, che rimane quella che è, tra voce e disegno che vanno fuori sincrono, fondali spixelati e i movimenti bruschi che sono animati con una velocità strana che dà quasi l’idea di un rotoscopio fatto male. Le atmosfere, il creare i luoghi o il definire nei luoghi a giro per Seoul qualcosa di minimamente simile al treno di Train to Busan, sono efficacissime nel creare un’angoscia che qui invece, di nuovo, trova la propria radice e il proprio messaggio nel recupero delle tematiche sociali analizzate da Yeon in precedenza. Certo, è comunque stupido criticare troppo l’animazione per la sua scarsa efficacia, considerando come l’animazione coreana, pur esistendo da tanto tempo, stia da sempre un passo indietro rispetto a quella giapponese, e quindi è davvero difficile richiedere una qualità cristallina, peraltro da un autore come Yeon a cui, almeno nei film animati, interessa molto di più la trama e la reazione dello spettatore rispetto al comparto visivo — anche perché poi, se la storia e il comparto emotivo riescono a colpire e non annegano nello scarso apprezzamento per le immagini, allora il film può riuscire abilmente nel proprio scopo, e non siamo certo ai livelli di Where the dead go to die (2012) di Jimmy ScreamerClauz. Seoul Station, alla fine, funziona e molto bene, nonostante ci metta un po’ ad ingranare; la trama si svolge su due piani, uno “privato” e uno “politico”: il piano “privato” riguarda una ragazza che deve incontrare, nella Seoul invasa dagli zombie, il fidanzato con cui ha litigato e il padre che non vede da anni; quello “politico” riguarda la maniera in cui gli infetti cominciano a diffondersi e la maniera con la quale polizia ed esercito intendono risolvere il problema. Nella storia della ragazza abbiamo una serie di schematismi efficaci, dal litigio (con spiegone) al colpo di scena, dalla crisi di pianto alla fuga solitaria, passando per un fidanzato che sembra una parodia drammatica di RiceGum e per un padre che, in un film giapponese, non sfigurerebbe interpretato da Jun Kunimura. Nella storia più generale dell’invasione zombie invece abbiamo tre importanti dati che ci aiutano a capire cosa ha in mente Yeon quando mette in scena questi zombie visivamente uguali a quelli di Train to Busan ma inseriti in un contesto molto più vicino a quello dell’originale significato del genere, ovvero quello romeriano:

  • i primi infetti ad apparire in scena sono barboni
  • da 20 minuti dalla fine in poi, si ha più paura della polizia e dell’esercito che degli infetti
  • il cruento finale è ambientato in un “appartamento modello” disabitato.

Insomma, la malattia che tramuta in zombie i coreani sembra essere qui definitivamente una malattia sociale, che prende le classi più basse e lentamente va verso l’alto, fino a causare un’immediata reazione delle Forze Armate, una reazione cruenta e irrazionale, perché ciò che è esterno alle classi non può capire le stesse classi, e dunque una reazione che crea una specie di inferno disumano senza via di fuga che ricorda quasi certi controversi episodi che hanno coinvolto la polizia italiana nell’ultimo ventennio. Alla fine, lo scontro finale non può che verificarsi in un luogo inesistente, un “appartamento modello” iper-borghese che finisce per essere lo spazio in cui viene annullata qualsiasi sorta di umanità e anche qualsiasi sorta di limitazione di classe o di “razza” umana-zombie. Torna lo zombie politico, denuncia e metafora del capitalismo consumista più dilagante, fagocitante, assassino, dove in una stazione di polizia invasa da creature fameliche il problema sono i barboni che tentano di salvarsi, dove in un tunnel della metropolitana si può trovare inaspettatamente la più ancestrale umanità fra chi è costretta a prostituirsi per avere una casa e le lacrime di chi la casa non ce l’ha, dove la resa dei conti di una giustizia ribaltata, al pari del grande magazzino romeriano con tutte le sue seduzioni, non può che avere luogo nella falsa perfezione di una versione coreana dell’Ikea. Può solamente scorrere il sangue, che sia quello di un barbone che piange perché non ha alcun luogo dove tornare e salvarsi, o quello di un magnaccia possessivo che si finge qualcun altro per ottenere risultati, o quello di un muscoloso ammazza-infetti che muore cercando di aiutare gli altri. Con pathos, con cattiveria, con violenza.

Nicola Settis

“Seoul Station” (2015)
Animation | South Korea
Regista Sang-ho Yeon
Sceneggiatori Sang-ho Yeon
Attori principali Seung-ryong Ryu, Joon Lee, Eun-kyung Shim
IMDb Rating N/A

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