15 Ottobre 2016 -

IL RITRATTO NEGATO (2016)
di Andrzej Wajda

L’ultimo applauso, Andrzej Wajda se lo è preso poco meno di un mese fa a Toronto. L’ultimo di una lunga vita e di una luminosa carriera, per uno dei fondatori e maggiori esponenti di quel miracolo cinematografico, concentrato di Storia, cuore, politica e libertà dalle oppressioni, che è stata dagli anni Sessanta in poi la nouvelle vague polacca. L’ultimo, perché l’applauso di Roma, dove Afterimage ha trovato anche la sua prima italiana all’undicesima Festa del Cinema, può arrivare solo cinque giorni dopo la notizia della sua morte, con il “nuovo film” tristemente diventato “ultimo film”, lascito finale e destinato a uscire postumo, testamento artistico e spirituale. E del resto non è affatto difficile leggere Afterimage, in uscita in Italia come Il ritratto negato, come un testamento d’artista: nei panni del biopic che racconta l’oppressione statale sul pittore Wladislaw Strzeminski, un Wajda lucido fino all’ultimo vagito, aggrappandosi per un’ultima volta a tutta la sua ossessione nei confronti della Storia del suo Paese, dipinge la Polonia nel Blocco Sovietico dal ’49 al ’52, fra il profondo fermento artistico e i disastrosi effetti della censura e della dittatura in un Comunismo ormai tristemente diventato capitalismo di Stato, culto della persona e imposizione del realismo artistico con distruzione degli stili “non utili al socialismo, e quindi avversi”. Wajda trova nella figura dell’artista un proprio alter ego storico, attraverso il quale declinare le riflessioni – che furono di Strzeminski e che (anche) lo stesso Wajda ha messo più volte in pratica nel cinema – sull’arte come risultato della visione, riflessione e lascito. Nella lezione agli studenti, Strzeminski spiega come emerga il modo di guardare di Van Gogh dalle sue tripartizioni e dall’andamento delle pennellate nelle sue tele, oppure come i disegni a contorni di un bambino derivino direttamente dal suo approccio ancora indagatore nei confronti degli oggetti del mondo – e del resto è proprio dal “modo” di vedere le cose che anche la tragica fine del pittore è dipesa, una questione di sguardo. Strzeminski, prima degli eventi narrati nel film, fu un fiero sostenitore della Rivoluzione, fu addirittura lui stesso a scrivere il manifesto degli artisti comunisti. Con il passare degli anni però, fra l’imbarbarimento stalinista e l’evolversi delle arti e della visione del pittore, il suo fermento politico era ormai una mera disillusione, e la sua arte aveva virato verso un astrattismo ispirato da Chagall e dalle arti tribali. Ma si trattava sempre del suo modo di vedere e rappresentare la realtà, in un paradosso che vede Strzeminski molto più realista di chi vorrebbe imporgli il realismo.

Wladislaw Strzeminski, fra i maggiori artisti polacchi non solo del Novecento, è stato osteggiato per la sua arte avanguardistica e quindi non allineata, è stato considerato un nemico da quella stessa Rivoluzione in cui aveva creduto e che aveva portato avanti in prima persona nonostante il braccio e la gamba persi durante la Prima Guerra Mondiale, è stato licenziato dall’Accademia d’arte da lui stesso fondata e nella quale gli studenti lo adoravano, è stato radiato dall’albo degli artisti con divieto di comprare colori e di lavorare – nemmeno nel settore delle decorazioni, a dipingere effigi di Stalin –, la stanza da lui installata in Accademia è stata smantellata e così pure i suoi mosaici “tribali” per quanto anticolonialisti, buona parte delle sue opere sono state distrutte, le sue teorie sono state bandite, i suoi studenti hanno passato guai per aver cercato di aiutarlo a portarle avanti, e infine è stato lasciato morire di tubercolosi e di fame, perché “chi non lavora, non mangia”. Il ritratto negato mette in scena l’oppressione statale, il calcagno fetente della dittatura, non tanto nella povertà e nelle privazioni, quanto nei limiti imposti all’arte, fra una libertà di espressione da riconquistare e la necessità intrinseca di parlare agli spettatori presenti e forse ancor più ai posteri. Del resto, la Storia recente polacca, spartita fra l’invasione nazista e le politiche stranianti dello stalinismo, è quella di una nazione passata da un regime all’altro, da un’imposizione all’altra, da una barbarie all’altra. È una nazione che ha lavorato – e sta ancora lavorando – sulla propria memoria storica, sulla propria identità, sul superamento dei propri traumi. In questo senso, Afterimage, a dispetto dell’after del titolo, non guarda al futuro, né gli interessa farlo nonostante i problemi che affliggono la Polonia nel presente. Ma sarebbe ingeneroso considerarlo un limite del film, che invece guarda ancora al passato per il semplice motivo che ritiene ancora necessario farlo, e nel mettere in pratica questo suo punto fermo esprime una lucidità di lettura, scrittura, costruzione e montaggio assolutamente straordinari per un autore novantenne, anche quando si tratta di un grande Maestro.

Andrzej Wajda, mettendo in scena gli ultimi anni di Strzeminski, il suo viaggio incubale nella più subdola delle rappresaglie di Stato nata da una risposta piccata al ministro della Cultura, lascia la radio accesa in sottofondo a ricordare che tutti i cittadini, nessuno escluso, partecipano alla Rivoluzione, fa portare festante la bandiera rossa in corteo alla figlia dell’artista perseguitato, lavora sul rapporto fra il professore e gli studenti in un crescendo emozionale che non potrà che alimentare la tragedia, ma lascia anche il tempo poetico a Strzeminski per portare i fiori – “Blu, come i suoi bellissimi occhi” – sulla tomba di quella moglie un tempo tanto amata e che ora nemmeno lo ha voluto al funerale. L’ultima regia di Andrzej Wajda è vellutata, attenta ai dettagli ma al contempo quasi invisibile, discreta, minimale nel limitare al massimo i movimenti di macchina e nel far rifulgere la splendida patina giallastra che spesso si incrocia nei film dell’Est. Fra raccordi di montaggio di estrema classe e una cura a non cadere mai nel patetismo, neppure quando cedono le gambe di Strzeminski o quando il paraocchi della dittatura lancia e mette a segno le proprie stoccate, Afterimage parla delle ragioni dell’astrattismo in abiti assolutamente realisti, certosino nella ricostruzione degli ambienti dei fumosi anni Cinquanta, asciutto nei dialoghi, fedele agli avvenimenti storici, narrativamente inattaccabile e al contempo politico, tenero e straziante. Certo, non siamo più dalle parti di Samson, de I dannati di Varsavia o di Cenere e diamanti, i più grandi capolavori di Wajda degli anni Sessanta, e pensando ai problemi politici sociali che serpeggiano per l’Europa di oggi qualche maligno non avrebbe difficoltà a scorgere qualche granello di polvere sulla visione politica – sguardo retrospettivo di un anziano autore – che il film porta avanti. Ma, come già detto, non è questo il punto, e Afterimage (o Il ritratto negato che dir si voglia) è la chiusura degna e ben più che dignitosa della carriera di un grandissimo cineasta, narratore d’altri tempi, acuto osservatore della Storia. Un uomo libero, prima di tutto, un uomo che ha saputo capire la realtà e metterla in scena. Un uomo che ha trovato il suo modo di guardare. Dovremmo imparare a farlo tutti.

Marco Romagna

“Powidoki” (2016)
Biography | Poland
Regista Andrzej Wajda
Sceneggiatori Andrzej Mularczyk (screenplay)
Attori principali Boguslaw Linda, Aleksandra Justa, Bronislawa Zamachowska, Zofia Wichlacz
IMDb Rating N/A

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