19 Giugno 2016 -

CATCHING HAIDER (2015)
di Nathalie Borgers

Bisogna conoscere il nemico per combatterlo. Soprattutto quando si tratta di un nemico subdolo, ipocrita, melenso, viscido, furbo. E apparentemente inarrestabile, pronto a fare presa sulla paura e sull’ignoranza della gente, fomentandone il razzismo, il patriottismo deviato, un egoismo che spinge a fagocitare il proprio vicino facendosi forza della macabra soddisfazione dei deboli nello schiacciare quelli ancora più deboli. Il populismo di destra è una serpe che striscia per tutta Europa e forse per tutto il mondo, un ideale in realtà senza ideali, xenofobo, demagogico, volto ad accaparrarsi i voti, oltre che dei conservatori reazionari, anche delle fasce più basse della popolazione, quelle che arrivano a fatica alla fine del mese, quelle che sentono il bisogno di una mano tesa verso di loro, forse senza in realtà rendersi davvero conto di quanto questo braccio allungato sia solo un raggelante e nostalgico saluto fascista, e che prima o poi li spingerà inevitabilmente nel baratro. Che si chiami Front National in Francia, Interesse fiammingo in Belgio, Movimento per un’Ungheria migliore nello Stato magiaro, Alba Dorata in Grecia, Lega Nord in Italia o Partito della Libertà in Austria – ma potremmo purtroppo andare avanti a lungo nell’elenco -, il populismo reazionario si snoda dal centrodestra ai neonazisti, ormai pronto a fare di nuovo presa sul malcontento generale portando venti destrorsi in giro per il mondo e spopolando più o meno ovunque. È un male che ciclicamente ritorna a fare ancora il suo corso, è un male che striscia sotto la pelle della società e la fa lentamente marcire, è un male che fa paura, (im)prevedibile e distruttivo, è un male fatto di grandi doti oratorie, di bugie sapientemente raccontate, di culto della persona quasi imperiale e di odio di Stato.

Nathalie Borgers è documentarista francese di nascita, ma residente da diversi anni in Austria, sin dalla fine dei Novanta, i tempi in cui il Partito della Libertà si laureò alle elezioni seconda forza politica del Paese lanciando in alto la carriera politica di Jörg Haider e sdoganando definitivamente il populismo di destra. Catching Haider, la sua sesta regia, ben prima di essere un documentario che ricostruisce la vita e la carriera del politico morto nel 2008 a 58 anni in uno stupido incidente automobilistico nel quale si trovava alla guida – a volte com’è sottilmente beffardo il destino – ubriaco a 1.8, è un viaggio personale della regista nella popolazione austriaca, disperato tentativo di capire come possa un’ideologia così smaccatamente sbagliata avere ancora presa sulla gente. Quello che emerge è un paradigma agghiacciante e disturbante, che parte dall’Austria che ha ufficialmente dato il via a questa svolta a destra per interrogarsi in realtà su tutta un’Europa drammaticamente permeabile all’insoddisfazione e alla comoda via dell’odio verso lo straniero per fingere di rialzarsi dalle proprie macerie sociali. Jörg Haider è stato in realtà paradossalmente fortunato nella propria morte: ha evitato gli scandali e i processi che stanno colpendo i suoi camerati di partito e i viscidi banchieri che lo hanno sempre finanziato, non ha visto gli effetti disastrosi della sua politica acchiappavoti sulle finanze austriache – oltre 19 miliardi di euro di debito pubblico e il rischio default dietro l’angolo –, ed è ancora considerato – con un’oltranza ben oltre i limiti dell’assurdo – una sorta di eroe patriottico, un buono, un giusto, il “politico del cuore” sempre vicino alle istanze della popolazione.

Nathalie Borgers mostra le migliaia di lumini ancora accesi nel punto esatto in cui è avvenuto l’incidente mortale di Haider, mostra le riunioni campestri dei vecchi oltranzisti nazisti e neonazisti, le loro mostrine e le loro spille incommentabili sul petto, mostra le loro lamentele per la punibilità dell’apologia del nazismo mentre per un omicidio colposo ce la si caverebbe con la condizionale – glissando, evidentemente e paradossalmente, proprio sulla morte del loro eroe e sul rischio corso di compiere una strage in quell’occasione. Catching Haider ricostruisce fedelmente tramite interviste, filmati d’archivio e riflessioni in merito della regista ascesa e ritiro di Jörg Haider, la sua vita e il suo “heimat”: i genitori convinti nazisti, la Carinzia di cui fu governatore, il partito co-fondato da suo padre, i suoi discorsi a riabilitare i veterani SS come “persone perbene e coerenti”, i suoi dati truccati forniti ai giornali per poi avere fonti attendibili da citare, la sua quasi irresistibile parlantina, i suoi litigi in Parlamento con gli oppositori politici e la sua continua vita in campagna elettorale, mostrando la faccia più nera di un’Austria che ancora oggi parla di “prestazione, ordine e disciplina” come valori fondamentali.

A partire dalla mucca bionda della Carinzia, sorta di “razza ariana” fra i bovini che Haider ha in sostanza fatto rinascere sostenendo economicamente allevamenti specifici, il documentario di Nathalie Borgers mostra le mancate risposte di un Haider incalzato da un presentatore televisivo (“Lei è nazista? Lei è fascista? Lei è populista?”) in un silenzio-assenso assordante fatto di sorrisi sornioni e faccia di bronzo, mostra i suoi modi dittatoriali raccontati ancora oggi alla stregua delle gesta di un santo, mostra la sua necessità di dare spettacolo con tanto di squallidi cori tirolesi sul palco e di ancor peggiori videoclip, mostra le sue sfuriate neonaziste contro gli stranieri “che rubano il lavoro agli austriaci”, racconta delle somme di denaro pubblico elargite ai cittadini della Carinzia mettendo nei fatti in ginocchio le finanze statali, mostra chiaramente – commentandolo fuori campo – il fumo negli occhi lanciato durante le interviste, racconta tutta la questione Gheddafi con una benzina a basso costo totalmente illegale, parla dell’acquisizione di una compagnia aerea, mostra le strutture nei fatti carcerarie dove venivano rinchiusi i criminali “non abbastanza criminali”, momento nel quale è impossibile non pensare ai lager per oppositori e alla ostentata aria da sceriffo del tirolese. E poi, anche se il film non lo fa, la mente torna in Italia. Perché dalla voce di Haider si ascoltano discorsi pressoché identici a quelli dei vari Borghezio, Gentilini, Salvini: le invettive antieuropee, la pericolosità dello straniero, “L’Austria agli austriaci”. E nei suoi modi, forse ancor più amplificati, è impossibile non scorgere troppe raggelanti analogie con il ventennio berlusconiano: la presenza ossessiva in TV, la spettacolarità, la capacità di mentire con granitica convinzione. Spingere sull’insoddisfazione popolare e sui comizi fuori dagli schemi come biscottino per l’elettorato, dalla marcia su Roma alle tette su canale5, dall’ampolla di acqua del Po al V-day. Si, perché la risposta non è nemmeno Grillo, meno destrorso ma forse ancor più populista nel dire a chi lo ascolta esattamente quello che vuole sentire, ma questa è un’altra storia… 

Il documentario parla poi anche delle paradossali voci sulla presunta omosessualità di Haider, voci così contrastanti con la sua smaccata omofobia di facciata, voci sempre osteggiate dalla famiglia ma potenzialmente suffragate dal profluvio di giovani baldanzosi che hanno fatto carriera nel Partito in seguito alla sua ascesa. Ma è intelligente a lasciarle quasi come sottofondo, come aneddoto curioso e nulla più, perché il punto del film non è il paradosso, ma la paura. La Borgers è sinceramente spaventata dal razzismo serpeggiante, dalla cecità della popolazione nel capire quanto sia stata dannosa la politica di Haider e quanto siano pericolosi i suoi emuli, dalla drammatica adesione ai suoi principi e ai suoi dettami. E studia il passato recente e il presente, perché bisogna conoscere il nemico per combatterlo. Soprattutto quando si tratta di un nemico viscido e furbo come il populismo di destra. Catching Haider è una lettura politica, è un drammatico stato delle cose, è la necessità di cambiarle ancora una volta. Dal punto di vista strettamente cinematografico non si registra forse nulla di speciale, tutto sommato classico nella struttura per quanto molto personale, ma si tratta di un documento storico che già oggi potrebbe permettere a diverse persone di aprire gli occhi e sarà in futuro fondamentale per tentare di capire le nostre storture. Quando questa ondata reazionaria sarà di nuovo il ricordo glorioso di una Resistenza, e potremo finalmente respirare di nuovo tutti la stessa aria.

Marco Romagna

“Catching Haider” (2015)
91 min | Documentary | Austria / Germany
Regista Nathalie Borgers
Sceneggiatori Nathalie Borgers
Attori principali N/A
IMDb Rating 5.8

Articoli correlati

SEE YOU IN TEXAS (2016), di Vito Palmieri di Nicola Settis
THE NIGHTS STILL SMELL OF GUNPOWDER (2024), di Inadelso Cossa di Marco Romagna
SANTIAGO. ITALIA (2018), di Nanni Moretti di Marco Romagna
CLORINDO TESTA (2022), di Mariano Llinás di Nicola Settis
PELIKAN BLUE (2023), di László Csáki di Marco Romagna
NOMAD: IN THE FOOTSTEPS OF BRUCE CHATWIN (2019), di Werner Herzog di Nicola Settis