20 Marzo 2016 -

IT’S SUCH A BEAUTIFUL DAY (2012)
di Don Hertzfeldt

Quando sono state rilasciate le nomination agli Oscar, una poco discussa candidatura è stata quella nella categoria del miglior cortometraggio animato: nella cinquina il cui vincitore è stato Bear Story di Gabriel Osorio Vargas e Pato Escala Pierart era presente anche World of Tomorrow di Don Hertzfeldt, autore indipendente che dalla fine degli anni ’90 ha lentamente preso il posto di uno degli autori più interessanti nell’ambiente dell’animazione sperimentale negli Stati Uniti d’America. Dal sempre nominato all’Oscar per miglior cortometraggio Rejected (2000) al mistico The Meaning of Life (2005) fino appunto a quest’ultimo World of Tomorrow, la filmografia di Hertzfeldt (classe ’76) è ricca di piccole e grandi opere tra il surrealismo umoristico e provocatorio e la filosofia cosmica, mischiando uno stile di disegno infantile, prevalentemente stilizzato e animato a mano, e sperimentalismi di ogni sorta, da deliri metafilmici (in particolare in Rejected) a inserimenti di clip di riprese della vita reale, montate e integrate in mezzo al resto con un occhio al new american cinema. Però la magnum opus di questo regista spesso sottovalutato dalla comunità cinefila (e rivalutato solo da alcune piccole cellule di appassionati di animazione su internet) è la trilogia composta dai cortometraggi Everything will be OK (2006), I am so proud of you (2008) e It’s such a beautiful day (2011), raccolti insieme nel 2012 nel lungometraggio It’s such a beautiful day.

Hertzfeldt, con il proprio tipico stile di disegno a mano di uomini stilizzati e semplificati in maniera quasi anonima e infantile, lavorando sempre sul 35mm, presenta il personaggio di Bill, uno stereotipo di uomo sfigato che soffre di un’innominata malattia al cervello (un tumore?) che causa allucinazioni, svenimenti e demenza di ogni tipo e che probabilmente lo porterà alla morte. Il sottofondo costante del film è un frullato di musica classica, voce narrante di Hertzfeldt stesso e rumori della quotidianità, con pochissimi e brevissimi sprazzi di dialogo con le voci dei personaggi del film. Il primo capitolo, Everything will be OK, mostra la quotidianità asfissiante di Bill e la deformazione di questa stessa nel momento in cui la malattia peggiora, mostra i suoi rapporti base con la madre e con l’ex-ragazza a cui è ancora affezionato e mostra in generale i deliri mentali che si pone ogni uomo. Il secondo, I am so proud of you, mostra con un flashback la delirante storia della famiglia di Bill, con storie di fantasmi, sogni e altre malattie angoscianti, mentre la vita e la malattia del protagonista peggiorano. L’ultimo segmento omonimo mostra le ultime fasi della vita di Bill prima della sua dipartita e la sua ricerca di un senso della vita mentre riconnette gli ultimi puntini dell’enorme disegno che è la propria minuscola esistenza.

L’intero film è immerso nell’ombra, in un nero senza via di fuga nel quale si creano piccole vignette sfocate di luce all’interno delle quali si svolge l’azione del film, anche con più vignette contemporaneamente. Chiuso in se stesso con un umorismo assurdo e nel contempo asciutto, che gioca sull’allucinazione e sulla crisi della sessualità, It’s such a beautiful day è un film bellissimo anche solo da un punto di vista formale, per come dà l’idea della malattia mentale e della depressione mischiando suggestioni oniriche à la David Lynch, follie tragicomiche à la Ralph Bakshi e pure ipercinetismi di colori à la Stan Brakhage. Ma tra le cose più potenti c’è anche il succitato inserimento di spezzoni girati su pellicola, inseriti in mezzo all’animazione mischiando i due piani di realtà in maniera atmosferica e piena di passione. È come se la realtà cinematografica fosse davvero la realtà e il disegno fosse una via di fuga che, nel contempo, è una chiusura in sé stessa, una chiusura autistica e malata che esclude la bellezza e ingrigisce l’azione dell’uomo. Il finale, poi, altro non è che un’estremizzazione cosmica del finale de L’ultima risata (1924) di Friedrich Wilhelm Murnau, la cui conclusione presentava una didascalia che introduceva al fatto che il regista ha avuto pietà per il personaggio protagonista, vittima del destino, e ha deciso di concedergli un lieto fine; Hertzfeldt riprende questo concetto e lo estremizza, regalando a Bill un finale impossibile: non solo non muore, ma diventa immortale, conosce ogni tipo di amore e odio, legge ogni libro, conosce ogni essere umano e anche la razza che popolerà la Terra dopo di noi, e muore solo quando muore l’Universo e regna il buio su tutto quanto.

È però emotivamente che il film è devastante: ogni piccolo particolare, ogni dialogo interiore di Bill crea una realtà parallela, un’introspezione dell’animo umano e di quei pensieri nascosti che guidano le paranoie di ogni uomo, la paura della morte, la paura degli affetti. La poesia nei piccoli particolari, anche in quei flashback onirici della storia della sua famiglia (flashback che, poi, si viene a scoprire essere proiezioni mentali create dalla malattia di Bill per cercare di spiegare razionalmente eventi inspiegabili), riesce davvero a creare, narrativamente ed emozionalmente, una dimensione di luce che esce dal buio, proprio come negli stilemi base del film, in cui la tremenda vita di un Bill qualunque, che riesce a scoprire le bellezze del mondo solo quando realizza di dover morire, finisce per essere una parabola efficacissima e commovente dell’esistere stesso. Perfettamente bilanciato tra l’umorismo dell’epoca del digitale, le filosofie esistenzialiste e sperimentalismi quasi melanconici che ricordano le avanguardie filmiche degli anni ’60 e ’70, It’s such a beautiful day è un piccolo grande gioiello tragico e postmoderno, che nella sua durata di poco più di un’ora riesce ad essere un esempio immane di maturità e di bellezza, tra i titoli più potenti del cinema statunitense recente.

Nicola Settis

“It's Such a Beautiful Day” (2012)
62 min | Animation, Comedy, Drama | USA
Regista Don Hertzfeldt
Sceneggiatori Don Hertzfeldt
Attori principali Sara Cushman, Don Hertzfeldt
IMDb Rating 8.3

Articoli correlati

KIMINOIRO (2024), di Naoko Yamada di Marco Romagna
GHOST CAT ANZU (2024), di Nobuhiro Yamashita e Yōko Kuno di Marco Romagna
LA STORIA DELLA PRINCIPESSA SPLENDENTE (2013), di Isao Takahata di Nicola Settis
SCHIRKOA: IN LIES WE TRUST (2024), di Ishan Shukla di Marco Romagna
I MIEI VICINI YAMADA (1999), di Isao Takahata di Enrico Azzano
I FRATELLI DINAMITE (1949), di Nino Pagot di Marco Romagna