13 Febbraio 2016 -

TEMPESTAD (2016)
di Tatiana Huezo

Per me si va ne la città dolente,
per me si va ne l’etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto fattore:
fecemi la divina podestate,
la somma sapienza e ’l primo amore.
Dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate“.
Dante Alighieri, Inferno, Canto III

Prima di tutto, Tempestad è un viaggio. Un viaggio verso la libertà, verso la giustizia, verso il ritorno alla vita. Ma è contemporaneamente anche un altro viaggio, un inoltrarsi nel male del mondo, nelle catene che a volte la vita ti stringe intorno al collo, nell’ingiustizia e nel dolore. Un viaggio nella realtà carceraria messicana, nei flussi migratori, nella corruzione di un paese comandato dai cartelli della droga, sostando dalle parti della vita circense: una vita di sacrificio e divertimento, libera e goliardica, ma non per questo meno tragica. La cineasta Tatiana Huezo presenta al Forum della 66ma Berlinale un film sicuramente non per tutti, commistione fra documentario e finzione forte di uno stile fra l’elegiaco e il pittorico, ma al contempo appesantito da questa unica soluzione cinematografica reiterata all’infinito. Non vediamo mai la protagonista, è la sua voce fuori campo a introdurci e trasportarci nella narrazione, dalla normale vita in famiglia all’arresto con la falsa accusa di traffico di esseri umani, dal pubblico ministero probabilmente corrotto alla polizia che calpesta con arroganza i benché minimi diritti, fino al dramma del carcere privato gestito dagli spietati narcotrafficanti del cartello del Golfo. La voce off racconta le tante umiliazioni subite, i gravi traumi vissuti, la violenza psicologica, la nudità e qualche botta, fino al tardivo rilascio per insufficienza di prove e il ritorno a casa, in pullman, per oltre 2000 chilometri. Sullo schermo, si alternano immagini forti, di alto impatto estetico ed emotivo, che vanno dal parabrezza rigato di pioggia a (necessariamente) fredde panoramiche dei luoghi di tortura, dallo scorrere delle linee sull’asfalto agli sguardi speranzosi o tristi degli altri viaggiatori. Lasciate ogni speranza, voi che entrate.

Durante il ritorno a casa, la protagonista narra la sua storia, paradigma di una giustizia corrotta, incapace, spietata. E nel frattempo, nel lungo viaggio verso la normalità, Tatiana Huezo mostra la drammatica realtà dei blocchi di polizia, i controlli dei documenti frugando a piene mani nelle borse dei cittadini come se si trattasse dei peggio delinquenti mentre i trafficanti, in accordo con le autorità, hanno via libera, i malcostumi governativi centroamericani che si impongano sul Popolo, schiacciandolo e privandolo di diritti e libertà. Dopo il viaggio nell’inferno, continua ancora quello nella paura, nella tensione di una guerra mai dichiarata e senza un nemico, ma presente, dura, forse inevitabile. Una guerra che si respira nell’aria, della quale si sente la gelida mano sul collo, in un clima opprimente con il quale convivere ma al contempo da combattere. E in un viaggio così lungo, anche le soste sono importanti quanto spostarsi: entra un’altra donna, conosciuta probabilmente per caso, circense da diverse generazioni. Nella narrazione di una storia, anche le altre storie possono essere esempio, occasione di riflessione, nuovo paradigma sociale. Ecco quindi il circo, il telone da montare, il trapezio, il trucco, la tenerezza dei bambini che zampettando scalzi imparano la vita da acrobati, l’umanità profonda e atavica della donna, il racconto delle sue gravidanze e delle sue gioie, la tradizione di famiglia che procede. I momenti conviviali, dentro e fuori dal camper, madri, figli, zii, la condivisione e un modo di vivere libero e giocondo. Ma anche il ricordo annichilente e stordente di una figlia perduta, morta in circostanze misteriose e lontano da lei.

Il secondo lungometraggio di Tatiana Huezo, nativa di El Salvador ma messicana di adozione, è un documentario senza dubbio interessante, che non si pone tanto l’obiettivo di fare luce su una realtà, ma al contrario cerca di mostrare proprio quanto questa realtà sia torbida, complessa e ambigua. Si parla di migranti, si parla di realtà carceraria, si parla del circo, ma ciò che davvero viene messo sul piatto è la malapolitica messicana e centroamericana in generale, capace di declinare in bustarelle ed errori giudiziari tutta la propria potenza distruttrice. Tempestad è un film-saggio politico ed elegante, umano e schietto, duro e ancestrale. A lungo andare, tuttavia, il linguaggio filmico scelto si fa via via più pesante, difficile da digerire, rivelando il suo principale limite in quello che, paradossalmente, è anche il suo principale punto di forza. La sceneggiatura è un racconto di dirompente forza drammatica, sul quale la regista ha installato immagini spesso splendide, girate con indubbie capacità fotografiche ed emotive. Ma non mancano lungaggini ed estetismi a volte forzati, che rivelano una durata probabilmente eccessiva per ciò che si voleva raccontare, un andamento troppo altalenante e più che una punta di pretenzione nel voler parlare di argomenti così complessi declinandoli in lirismi che a tratti si rivelano una semplice sovrastruttura per allungare il brodo, dopo che era già stato ampiamente detto tutto. Rimane però un finale sincero e potente, che parte dalla circense pronta a entrare in scena truccata da pagliaccio triste per passare a un corpo che volteggia nell’acqua, sospeso fra la riappropriazione del mondo e l’impossibilità di rimarginare del tutto le ferite, come testimoniato dalla gamba mancante. Un finale splendidamente ambiguo, complicato come la situazione mostrata e narrata, forse il reale motivo per cui Tempestad esiste. Un finale che fa tornare l’uomo a piccolo puntino su un mondo troppo grande e troppo difficile da comprendere. Un finale che fa naufragare nella disperazione, con la consapevolezza però di aver già superato i momenti peggiori, e che domani sarà un giorno migliore. Un finale per il quale, messi sul piatto pregi e difetti, difenderemo questo film fino all’ultimo.

Marco Romagna

“Tempestad” (2016)
Documentary | Mexico
Regista Tatiana Huezo
Sceneggiatori Tatiana Huezo
Attori principali N/A
IMDb Rating N/A

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