7 Febbraio 2016 -

ARTIST OF FASTING (2016)
di Masao Adachi

Tutta la città si occupava allora del digiunatore; a ogni giorno di digiuno aumentava l’interesse del pubblico; tutti volevano vedere il digiunatore, almeno una volta al giorno; e negli ultimi giorni c’erano perfino degli abbonati che sedevano intere giornate davanti alla sua piccola gabbia; anche di notte avevano luogo delle visite alla luce delle fiaccole, per aumentare l’effetto; quando il tempo era bello la gabbia veniva trasportata all’aperto, e allora erano specialmente i bambini a cui veniva mostrato il digiunatore; mentre per gli adulti costituiva spesso solo uno spasso, a cui si partecipava perché era di moda, i bimbi lo guardavano ammirati a bocca aperta, tenendosi per precauzione per la mano, mentre egli, pallido, nella sua maglia nera, con le costole esageratamente sporgenti, sdegnando perfino una poltrona, se ne stava seduto sopra paglia sparsa qua e là, facendo a volte un cenno cortese con la testa, a volte rispondendo alle domande con un sorriso sforzato o allungando un braccio attraverso le sbarre per far palpare la sua magrezza; e finiva poi per sprofondarsi in se stesso senza occuparsi più di nessuno, neppure del battito dell’orologio – così importante per lui – unico mobile della sua gabbia, per guardare fissamente cogli occhi semichiusi dinanzi a sé, succhiando di quando in quando un sorso d’acqua da un minuscolo bicchierino, per inumidirsi le labbra.
Franz Kafka, Il Digiunatore

A volte basta poco per fare una rivoluzione. Masao Adachi, già storico sceneggiatore per Nagisa Oshima e Koji Wakamatsu, torna dietro alla macchina da presa per parlare al Giappone e forse al mondo intero con un’allegoria politica e sociale sublime e destabilizzante, pronta a fare emergere vizi e virtù di una società troppo rigidamente regolata dalle leggi del mercato e del consumismo, di una religione che pare non avere più senso, di un mondo talmente fondato sul desiderio, sul nazionalismo intollerante e sulla pornografia da dimenticare del tutto l’umanità. Tratto da Un digiunatore, breve racconto di Franz Kafka, Artist of Fasting mette in scena un uomo che, senza spiegare i motivi del suo gesto, siede in una via di negozi e inizia uno sciopero della fame. Un non-gesto che cristallizza la propria invettiva in un muto immobilismo, sfida a una società che non consente mai di fermarsi, riflettere, stare da soli. Quella dell’uomo è una piccola rivoluzione, che trova proprio nella sua assenza di motivazioni ben definite la sua ragion d’essere. Forse il motivo è una protesta, forse si tratta del digiuno ascetico che tutte le grande religioni monoteiste hanno prima o poi affrontato per santificarsi, forse è semplicemente una forma d’arte, che la società nelle varie squallide manifestazioni che Adachi mette ironicamente alla berlina inizia a cogliere ergendo l’uomo a eroe per caso. Forse, ancor più semplicemente, non ha fame, non c’è nulla di suo gusto. Ed ecco che quindi i bambini iniziano ad interessarsi a lui, i passanti lo fotografano, mentre il governo inizia a ritenerlo pericoloso perché spingerebbe la gente nel caos e opta quindi per un ricovero coatto cui seguirà inevitabilmente un nuovo sciopero della fame. Fino a quando curiosi impresari teatrali con modi drammaticamente yakuza non estorceranno all’uomo un contratto firmato con il sangue: gli verrà costruita intorno una gabbia dalla quale mostrare le sue labbra arse e la sua vicinanza con la morte come se fosse un animale allo zoo, fra monaci in preghiera, seguaci socialmente reietti ma di squisita umanità, gente che accorre a un oracolo che non risponderà mai alle loro domande, ipernazionalisti che al grido “banzai” evocano l’harakiri fra la bandiera nipponica e quella imperiale i cui raggi sembrano propagare anche tutti i silenzi, i tabù e le ipocrisie del Giappone.

Di fronte all’uomo si alternano gli astanti: chi ne è incuriosito, chi coglie l’opportunità di farne un business, chi lo inquadra per la televisione, chi ne approfitta per sbandierare la procacità dei propri seni facendosi fotografare succinta con lui. Così come Tsai Ming-Liang, nella serie Walker, aveva declinato nella lentezza di un monaco buddhista il necessario contraltare a un mondo troppo rapido e schiacciato dalle leggi economiche, Masao Adachi attraverso la fauna che si raccoglie intorno all’immobilismo dello scioperante si interroga sul destino dell’uomo, sull’oppressività della società e dell’esercito, sulla mancanza di senso che hanno ormai tradizioni e religioni in un mondo così in corsa, sulla natura fagocitante di un mondo dello spettacolo che prende, usa, cannibalizza e getta via, sulla marcescenza di un erotismo diventato ormai un mero livellamento pornografico privo di qualsivoglia intimità. Dentro e fuori la gabbia, il corpo viene ostentato ed esibito come una bandiera, fino a caustici inframezzi sospesi fra l’onirico, il grottesco e il sardonico: mentre un uomo sta morendo, pornodottoresse di ‘medici con frontiere’ in tenuta sadomaso e alle quali non importa minimamente se il paziente sopravviverà o meno si lanciano in procaci giochi erotici evocando l’ISIS al grido Je Suis Charlie. Adachi, memore delle proprie idee e del proprio passato, osa e colpisce, ma non è certo la mera provocazione il suo obiettivo, quanto piuttosto risvegliare le coscienze critiche di un Paese: è la funzione primaria del Cinema d’autore, in fondo, corroborato sin dagli anni Sessanta dalle sue sublimi sceneggiature.

Nei quattro personaggi che rimangono fissi davanti all’uomo, Masao Adachi riesce a condensare maggiormente tutta la sua verve politica ed emotiva: i due bonzi in preghiera aspettano invano che l’uomo, al pari di Maometto, Gesù e Buddha, venga santificato o illuminato dal proprio digiuno, mentre i due ragazzi discutono di quanto sia rilassante e necessario rimanere davanti a un uomo così calmo e immobile in un mondo rutilante e rumoroso, nel quale le voci sono troppo alte e gli impegni troppo gravosi. Dopo che lei verrà violentata dalla stessa società che non si fa problemi a rubare le elemosine a un moribondo e lui brutalmente ucciso, il loro amore da troppo tempo dissimulato darà vita ad una sequenza di uno strazio ancestrale che non può che richiamare alla mente lo splendido Caterpillar di Koji Wakamatsu, sceneggiato nel 2010 dallo stesso Adachi. Il sesso, in contrapposizione all’industria pornografica, ritorna finalmente ad essere una cifra autoriale, un grido di libertà, una sovversione registica e artistica. In quella che tecnicamente sarebbe una sequenza di necrofilia, Adachi declina invece tutto l’amore e tutta l’umanità di due persone messe in un angolo e poi annientate proprio dalla stessa società che avrebbe dovuto abbracciarle, tutta la tenerezza ormai perduta, tutto il dolore per l’ennesima gioia negata dalla violenza. Così come nei lacrimosi accessi al talamo della moglie fedele all’uomo senza più braccia né gambe in Caterpillar, la scena di sesso fra i due giovani vive di una forza intima ostinata e devastante, che passa dai baci alle ferite per giungere allo strazio di un amore ormai impossibile, postumo, ucciso dal mondo e dall’imperialismo economico.

Con Artist of Fasting, Masao Adachi ritorna quindi a quegli istanti sublimi e stordenti del Cinema di Oshima e Wakamatsu al quale aveva così fortemente contribuito, ritorna a quell’allegoria politica, economica e sociale che parla direttamente alla testa e al cuore dello spettatore, ritorna a interrogarsi sulla necessità di vincere le zoppie di una società fagocitante e spietata, ritorna a urlare la necessità di ritrovare l’uomo in luogo delle logiche disumane che governano un mondo drammatico e grottesco. È un film che parla al Giappone del Giappone, pronto però a valicarne i confini per rivolgersi a tutti, dai più radicati tradizionalisti ai più emancipati filoccidentali, fino a noi spettatori all’International Film Festival Rotterdam 2016, che a Masao Adachi ha dedicato una retrospettiva culminata in questo nuovo lavoro. Artist of Fasting è un film apertamente schierato, profondamente politico, apice di un percorso che, in passato, ha portato lo stesso Adachi alla militanza nella Japanese Red Army, all’arresto, a un’assenza dal Cinema di quasi 30 anni. A volte basta poco per fare una rivoluzione: basta stare fermi in un angolo a digiunare, mentre il mondo gira intorno e svela da solo tutte le sue ferite, tutte le sue ipocrisie, tutte le sue falle. Una sfida immobile e silenziosa, un’inespressività beffarda, fino al simulacro che sopravviverà anche al piombo e che, auspicabilmente, diventerà memoria, monito, necessità. Quello di Masao Adachi è un film imperdibile, illuminante, acuto, doloroso. Una visione indispensabile, da portare nel cuore. Pur certi che, prima o poi, moriremo tutti in questa ossimorica e folle prigione chiamata libertà.

Marco Romagna

“A Hunger Artist” (2016)
104 min | Drama | Japan
Regista Masao Adachi
Sceneggiatori Franz Kafka (short story), Masao Adachi (screenplay)
Attori principali Tomorowo Taguchi, Sakurako Kaoru, Hiroshi Yamamoto, Shu Wada
IMDb Rating N/A

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