Non avevamo idea della forma da dare al film!” Così si apre il commento del regista al terzo episodio di As mil e uma noites nel catalogo del Torino Film Festival, dove il trittico di Miguel Gomes, già acclamato a Cannes nella Quinzaine des Réalisateurs, è stato presentato nella sezione Festa mobile. Tale frase spiega in parte come avvicinarsi al progetto in quanto spettatore, dato che i tre volumi non formano un unicum coerente, pur avendo la stessa poetica di fondo (l’uso della struttura fiabesca per raccontare la crisi del Portogallo di oggi), ma sono tre unità filmiche distinte, fruibili separatamente (difatti per rappresentare la nazione portoghese agli Oscar nella categoria del film straniero è stato scelto il secondo episodio, O desolado, il più autoconclusivo dei tre, che non è comunque riuscito a conquistare la nomination). Tasselli di un puzzle serio e al contempo giocoso, un esercizio di narrazione e registri dove la dura realtà incontra la vena poetica e cinefila del regista, meno radicale e audace rispetto al viaggio monocromatico e muto di Tabu ma comunque aperto all’esplorazione mitopoietica. In questo caso, trasportando liberamente Sherazade nell’universo austero, a tratti disperato ma comunque incantevole e divertente del Portogallo odierno.
La parola-chiave in questo contesto è “liberamente”, come spiega lo stesso Gomes con la scritta iniziale di ciascun film: As mil e uma noites non è una trasposizione ufficiale dei racconti narrati da Sherazade, ma ne adotta la struttura per raccontare in modo meno convenzionale ciò che sta accadendo nella patria del regista. Questi è la figura centrale della premessa del primo volume, O inquieto, che scaturisce da eventi reali legati alla chiusura di un cantiere navale. Recatosi in loco per documentare l’accaduto, Gomes non si ritiene capace di portare sullo schermo la realtà, e così fa ricorso alla finzione, alla fiaba, scomodando la sempiterna figura di Sherazade, che in realtà rimarrà sostanzialmente invisibile fino al terzo episodio, O encantado. Da qui parte il gioco delle Mille e una notte, che in O inquieto si presenta nella sua forma più spudoratamente episodica, mentre in O desolado, dopo l’eccelso episodio del giudice, un gioiello di assurdità tragicomica nel mezzo di un anfiteatro, il grosso della narrazione è occupato da un episodio unitario, un racconto di crisi condominiale attraverso gli occhi di un cane, unico personaggio veramente felice nel microcosmo malinconico di Gomes. Infine, O encantado mette in primo piano la vicenda di Sherazade, prima di una lunga digressione sui fringuelli che metterà a dura prova la pazienza di molti spettatori, per poi condurre ad un finale che tale non è. Una scelta forse inevitabile, dal momento che lo stesso regista non sa come andrà a finire questo capitolo della storia odierna del Portogallo.
As mil e uma noites è un’opera schizofrenica, giocosa, cupa, ambiziosa, divertente, assurda, frustrante, limitata ed infinita, viaggio sempre più rarefatto fra la realtà e la fiaba. Dura nel complesso sei ore (un terzo in meno rispetto ad un montaggio provvisorio al quale allude Gomes nel commento di cui sopra), ma potrebbe tranquillamente andare avanti all’infinito, o fermarsi prima, perché quel senso di incompiutezza (voluta?) non si allontanerà mai. E in quel vuoto apparentemente incolmabile si cela il coraggio di un’operazione smaccatamente anticommerciale, “da festival”, che è comunque riuscita ad attirare l’attenzione produttiva/finanziaria di due mercati di non poco conto quali la Francia e la Germania (guarda caso, patrie dei due festival dove Gomes ha goduto dei successi maggiori della sua carriera), con l’aggiunta della Svizzera (dove il regista è stato per anni insegnante in una scuola di cinema, vantando tra i propri allievi la giovane promessa Basil Da Cunha), paese in cui questo trittico è uscito in sala nel corso dell’autunno. Chi conosce bene le varie kermesse cinematografiche europee sarà particolarmente felice di leggere nei titoli di coda il nome di Olivier Père, veterano della Quinzaine – dove fu lui a presentare al pubblico l’opera seconda di Gomes – e di Locarno e ora volto ed anima di Arte France Cinéma, che contribuisce alla realizzazione di molte opere coraggiose e “difficili”, tra cui il recente Pasolini di Abel Ferrara.
Questo film, uno e trino, in apparenza senza forma, riflette in modo intelligente e al contempo spassoso sull’idea di crisi, trasportando il concetto dal mondo esterno al microcosmo filmico, portando sull’orlo della miseria non il popolo portoghese come insieme ma solo l’alter ego di Gomes, un avatar che fugge dalla realtà ma ne viene inevitabilmente travolto. Facendosi contaminare dalla povertà che affligge il suo paese, egli non può che lasciare il suo excursus senza un traguardo vero e proprio, fermandosi impotente dinanzi alla disgrazia che non risparmia nessuno, nemmeno gli artisti. As mil e uma noites è la crisi fatta cinema, un urlo disperato che si prolunga per tre volumi in cerca di chi sia disposto ad ascoltare. Novello Sherazade, Gomes cerca di sfuggire alla morte (del suo paese) celebrando la vita (del cinema), un atto folle e coraggioso – per lo meno nell’attuale contesto socio-politico portoghese, anche e soprattutto per quanto concerne l’industria dell’audiovisivo – che fa ridere, arrabbiare, riflettere e piangere. Questo viaggio di sei ore è perfetto nella sua imperfezione, poiché nella natura ineluttabilmente frammentaria di un’operazione troppo ambiziosa rispetto all’oggetto che intende raccontare – della serie: ci vorrebbe quasi un secondo trittico, a distanza di qualche anno – troviamo la passione e l’integrità di un regista che, pur “fallendo” in parte, ha qualcosa da dire, per immagini, parole e scritte, e lo fa con onestà e brio. Una trilogia dichiaratamente impossibile, il regista che ci mette (letteralmente) la faccia, mentre scrive e riscrive regole sociali e cinematografiche e puntualmente le infrange, perfettamente coerente nella propria incoerenza: l’autore sarà anche in crisi, ma da questo può scaturire una riflessione tutt’altro che banale sul suo ruolo nella conservazione e trasmissione del sapere, della realtà e della cultura. Questo è Miguel Gomes, prendere o lasciare. Anzi, prendere e basta.
Max Borg