Lyrisch Nitraat, nitrato lirico, è prima ancora che un film un’appassionata dichiarazione d’amore folle e disperatissimo al Cinema, è un cinefilo incallito cui brillano gli occhi davanti a un tesoro in nitrato d’argento, è il potere immaginifico intrappolato in un fotogramma di più di un secolo fa, la cui stessa caducità è causa di meraviglia, è il magico magnetismo di uno schermo nuovamente illuminato. È una passione totalizzante e genuina, quella che scorre fra gli ingranaggi della moviola di Peter Delpeut, la stessa dello spettatore che può riscoprire grazie al DocLisboa questo piccolo gioiello del 1991 e farlo suo. In principio era Amsterdam, i primissimi anni Novanta, quando dagli archivi del locale Film Institute spuntano fuori, come per magia, rulli di varia natura girati fra il 1900 e il 1915. Ci sono vedute, ci sono spezzoni di film di finzione, ci sono uomini e donne di un tempo passato che affollano una pionieristica sala cinematografica, c’è lo stupore magico nei loro occhi, incapaci di lasciare lo schermo anche dopo la fine della proiezione: lo stesso stupore che ha portato anche noi, al tempo fanciulli ed ora bulimici spettatori da prime file, a decidere di vivere di fotogrammi. Delpeut si ritrova fra le mani un footage eccezionale, oltre quaranta film ritrovati, dal documento storico al romanzo di avventura, dalla morte di un amico alla portata emotiva di una crocefissione e deposizione di Cristo. La cabina di proiezione, la candela nella lanterna e via con la manovella, per srotolare la pellicola e far girare l’otturatore: inizia la magia, inizia la seduzione.
Lyrisch Nitraat non ha le stesse velleità politiche e sociali che muovono sottopelle i montaggi firmati da Peter Von Bagh, non vuole usare il Cinema per fare luce su una realtà-altra, ma si concentra esclusivamente sul Cinema stesso, sulle sue potenzialità induttive ed emotive dimostrate sin dagli albori, sulla sua capacità di attrarre e rapire, sulla sua capacità di mettere in scena e restituire eventi ed emozioni. È un omaggio allo scorrere dei fotogrammi, un “ti amo” tenero e sincero, un sospiro al 35mm e al ticchettio del proiettore. Visto oggi, nel bel mezzo di una digitalizzazione forzata, selvaggia e probabilmente irreversibile, il film di Delpeut acquista se possibile ancora più vita, barlume di resistenza e di passione sfrenata per un medium in via d’estinzione, canto funebre per l’amore di una vita. Il problema, ci teniamo a precisarlo, non è il Cinema digitale in sé, mezzo espressivo validissimo come alternativa e anzi a volte necessario per comodità, costi e durate, ciò che piangiamo è la messa al bando della pellicola, con la distribuzione solo in dcp anche dei (pochi) film girati ancora con l’emulsione, sommata a restauri spesso discutibili di capolavori del passato che non vengono più ristampati nel formato originale. Quella lunga striscia forata ai lati su cui abbiamo versato così tante lacrime, per la quale tante volte ci è battuto il cuore e con la quale siamo cresciuti è destinata a scomparire, a diventare l’oggetto di culto di qualche feticista, in barba alla filologia, alla fedeltà, alla qualità. In questo senso, inconsapevolmente, Lyrisch Nitraat è un vagito di resistenza, è un manifesto, è una piccola speranza nella quale tuffarci. Come e più del ruolo del nitrato nell’esplosivo finale di Inglourious Basterds, come e più della corsa con i rulli insanguinati sotto braccio in quello di Why don’t you play in hell?
Del resto, cos’è il Cinema? Il Cinema è stupore, magnetismo, voyeurismo, memoria, documento, narrazione, illusione, passione, uomini, emozione, fantasia. Il Cinema è mostrare ed intuire, il Cinema è linguaggio, il Cinema è montaggio. Il Cinema può essere vita, può essere amore, può essere morte, ma può essere anche oblio, e non per questo perdere di fascino. Il nitrato è lirico, vuole dirci il regista olandese, perché è anche nella sua decadenza che sta la sua unicità. Ecco che quindi, dopo aver decantato le potenzialità del mezzo Cinema con amore filiale, trova spazio un finale meraviglioso, dove le parti in buono stato di conservazione lasciano lo spazio necessario alla eguale, forse ancora superiore, magia della crux desperationis, incubo per ogni restauratore ma fonte inesauribile di seduzione per il cinefilo. Le immagini in buona parte perse per sempre cercano di emergere dall’oblio, cercano di farsi intuire, mentre il centro del fotogramma, ormai inumidito oppure riarso, brilla dello splendore casuale delle carte marezzate: ogni fotogramma è un disegno, un fiore, un quadro, un fantasma. È vero, abbiamo visto montaggi di materiale d’archivio più studiati, più concettuali, più storici. Ma raramente ci era capitato di imbatterci in una tale sincerità, in una tale accecante passione, in un tale totalizzante amore, che è poi anche il nostro. Due anni dopo, Delpeut tornerà ai materiali d’archivio con The Forbidden Quest, sorta di seguito non ufficiale non disprezzabile ma nettamente meno riuscito, per lunghi tratti impelagato in una narrazione in fin dei conti sempliciotta e superflua. Ma questa è un’altra storia, e per fortuna non può intaccare la pura meraviglia di Lyrisch Nitraat, né la consapevolezza che, di fronte a questo materiale, avremmo voluto fare esattamente la stessa cosa.
Marco Romagna